lunedì 19 novembre 2007

Un giorno nella vita degli altri







Credere nei diritti umani ci ha fatto perdere ogni residuo di umanità.
Frutto avvelenato di un giacobinismo intellettuale che non conosce senso del ridicolo, il livore con cui sedicenti intellettuali si scagliano contro ogni ipotesi di differenziazione tra razze, popoli e culture è un indice privilegiato di quanto l’intellettualità sia caduta in basso.
Queste brave massaie della speculazione filosofica perdono il loro tempo a pontificare di amore universale, di tolleranza, di rispetto, e tra un party luminescente e una vacanza mondana celebrata però con enfasi proletaria tentano di convincerci di quanto gretto e rozzo sia il nostro animo, reso insensibile alla bellezza da decenni di accelerazione sociale consumistica. Il loro afflato educativo, e sappiamo un po’ tutti che davanti ai loro occhi ancora aleggia il mito del buon selvaggio e risuonano nelle orecchie le litanie di autocolpevolizzazione del mondo occidentale, tracima ogni argine di sopportabilità, diventa un fiume in piena, logorrea criptica di messaggi espliciti e subliminali che ci grondano addosso ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette.
Io non sono un intellettuale. Non voglio nemmeno compilare la domanda di ammissione al ristretto club, perché la semplice compagnia di una certa fauna avvezza alla predica, al moralismo peloso e alla carità destituita di fondamento e serietà è qualcosa che esula in toto dai miei gusti.
Biglietto di prima fila per gli spettacoli di Dario Fo o Moni Ovadia, i concerti dei Modena City Ramblers e di Jovanotti e di Bono, Gomorra di Saviano, l’impegno sociale cristallizzato in qualche fotogramma video, Paolo Rossi e Sabina Guzzanti e Fabio Fazio e Serena Dandini, la crema progressista produce continuamente elaborazioni culturali e rumina dolore per la discriminazione sempre più palese a danno di donne, handicappati, immigrati.
Persino incamminandosi lungo il tappeto nero che l’amministrazione veltroniana ha gentilmente messo a disposizione di Dario Argento per la proiezione del grottesco La Terza Madre non puoi sfuggire alla sensazione di politicamente corretto, di inutilità diffusa e soffusa. Aldilà del film, su cui esprimere un parere serio sarebbe impossibile vista la quantità di spropositi recitativi e qualitativi contenuti nella pellicola, vera fiera campionaria della decadenza di quello che ingiustamente era definito un talento del cinema italiano e che alla fin fine si è rivelato giusto un Muccino da reality show con contorno di cadaveri ed esoterismo alla Mago Otelma, mi piace pensare al progressista Argento come una persona seriamente partecipe della brutalità che affligge il mondo, uno di quelli che al semaforo si mettono a parlare coi lavavetri di oppressione capitalista e imperialismo salvo poi sgommare velocemente appena la luce verde gli consente di tornare nella sontuosa casa che il suo talento cinematografico gli è valsa.
Più in generale il giacobino, tutto copertine dei libri di Marx, studi alla Sorbona e champagne, ha di insopportabile che tollera tutto fuorchè l’intelligenza; in fondo la brama, la teme, la desidera questa intelligenza di cui legge e di cui sente parlare ma non potendosela permettere decide di combatterla ed allora inscena crociate degne di altri tempi, colorati auto-da-fe emotivi in cui linciare tutto ciò che non rientra nella sua stereotipata fede. Tutto ciò che altera l’equilibrio new age del suo amor proprio deve essere fatto scomparire sotto il tappeto, e coperto di cenere e vergogna di modo che a nessuno venga in mente di andare a rovistare là sotto per rivivificare le idee intelligenti.
Se persino l’autore di film in cui la gente viene brutalizzata, fatta a pezzi, massacrata in tanti fantasiosi modi non trova di meglio che darsi una comoda spiegazione sociologizzante di tutta la violenza che ingombra il mondo contemporaneo allora significa che proprio non ci siamo. Se questo regista giustifica la sua opera e pietisce consenso spacciando i suoi prodotti per metafore di ciò che ci circonda, significa che gli ultimi bagliori della speranza si estinguono come un tramonto non particolarmente memorabile.
Mi hanno incuriosito quelle rapine perpetrate da immigrati in cui si sono registrati come vittime alcuni vippetti, i quali nonostante i volti tumefatti e il comprensibile shock hanno voluto puntualizzare a favore di taccuini giornalistici e telecamere che non covavano risentimento nei confronti degli immigrati stessi; anzi, abbiamo sentito, le infermiere che li hanno curati in ospedale erano anche loro immigrate, immigrate gentili, servizievoli, calorose ed umane. Bontà loro, come faremmo se non ci fossero queste legioni di donne immigrate.
Oh, non fraintendete, perché lo penso anche io. Lo penso sul serio.
D’altronde la voglia di discutere di Voltaire, Diderot e Rousseau con una qualche prostituta rumena inginocchiata sulle sterpaglie è forte, fortissima, peccato lei non possa rispondere avvinta come è dal succhiarmi il cazzo; nulla di eclatante, succhia meccanicamente ed in maniera stupida, roba che sarebbe da cazziare i suoi protettori, dire loro “in tutti questi mesi, invece di pensare solo a terrorizzarla, a picchiarla, a lavarla per punizione in vasche colme di acqua gelida, invece di mettere sulla sua inutile carne un cartellino con il prezzo per rivenderla mille volte alle varie bande e ai night club, non avreste potuto insegnarle a scopare in maniera sensata?”. Probabile che non ci siano più quei protettori di una volta, quelli che non si facevano scrupolo di nulla e che volevano davvero tutelare i loro investimenti e la soddisfazione dei clienti fornendo loro delle ragazze educate ai sani piaceri del sesso hardcore, la tutela del consumatore elevata a paradigma comportamentale ed operativo, quei protettori sapevano quello che facevano, insensibili alle richieste di amore e carità, appostati tra le frasche sulle loro macchine con il motore sempre acceso, pronti a sgattoiolare fuori per regolare i conti vecchi e nuovi e per sincerarsi che le ragazze stessero adempiendo al loro compito. Invece questi nuovi devono aver ceduto alle lusinghe dei diritti umani, e così persino il sesso è stato guastato dal cancro progressista.
Ad un puttana d’altronde si chiede poco, succhiare un cazzo e leccare le relative palle, giusto qualche volta l’extra di gingillarsi con lo sfintere del cliente, farsi scopare in culo e fica secondo un tarrifario compartimentato rigidamente, e con alcune prestazioni da accordare via via. Semplice, lineare.
Vorrei sapere da ogni africana qualche delucidazione sul mito del buon selvaggio, mentre passano i minuti e le vedo grufolare sul mio cazzo.
Vorrei sapere da ogni rumena che cosa ne pensa dell’ingresso del suo paese nella comunità europea, mentre stantuffo loro nel culo con crescente foga e ben pronto a venire.
Io, e voglio lo sappiate, non considero queste puttane dei semplici pezzi di carne, non sono così egoista o stupido o ottuso; io le considero delle persone, e non potrei fare altrimenti. Perché solo cercando di vedere dietro le loro pose fintamente civettuole, dietro la trasgressione comprata un tanto al chilo, dietro il trucco pesante e i vestiti provocanti, dietro le mosse di chi sembra in apparenza rotta a tutte le esperienze della vita, si può ottenere la genuina soddisfazione, quella cioè di chi compra una vita, di chi si insinua a tutti gli effetti nell’anima dell’altro e riesce a trarne fuori la pura essenza.
L’empatia, a patto di non abusarne, è una gran cosa. Ci rende partecipi di un meraviglioso magma di dolore e sofferenza, un universo roteante di luce nera intessuto come una sinistra melodia di tanti particolari, di tanti ricordi, di tanti luoghi dispersi oltre la linea d’orizzonte.
Piccola dolce prostituta slava, sola davanti un distributore di benzina, tra sfarfallamenti neon e il vento che agita i rami dei pochi alberi ancora piantati nell’asfalto.
Ti immagino arrivata in gommone, con tutto il tuo carico di illusioni. I sogni e le manie di grandezza. Vedi le pornostar resuscitate e inghiottite dal miracolo catodico e fatte icone per l’infanzia e ti fai idee, bestia, idee di riscatto sociale, arricchimento alle spalle di un gonzo italiano sufficientemente ricco e innegabilmente stupido, magari timidi provini per il cinema o in subordine per il teatro.
E invece.
Invece sei finita qui, dove il qui equivale a dire una traversa non particolarmente pulita di Viale Marconi.
A spompinare, a farti fottere in fica e nel culo, a vendere quei pochi brandelli di umanità, di dignità, il tepore di casa e le lacrime che ti scivolano dagli occhi arrossati, e mi piace, mi piace comprare la tua umiliazione, il tuo degrado, sapere che quando ti avrò sborrato dentro io continuerò ad essere un uomo libero e rispettabile , mentre tu rimarrai una schiava del mercato del sesso. Preda di incubi notturni e pugni e richieste sempre pressanti di soldi. Venduta da una banda all’altra.
Come un pezzo di carne. Ma con il bonus di una dignità umana da piegare.
Fatta sfilare in bikini o nuda per la gioia di compratori di ogni nazionalità che si danno appuntamento in feste campionarie dello schiavismo.
Dove cazzo sono i tuoi genitori, eh ?
Lontani, irreali, dispersi in una città di merda, bestie come te, un mare di mezzo e montagne e cieli e rotte aeree.
Certo, c’è sempre la speranza che un cliente si innamori e cerchi di riscattare il tuo culetto .
Puoi immaginare qualcosa di più patetico di un tizio anonimo talmente ridotto male nel suo privato , talmente oppresso dal dolore della solitudine metropolitana, da quei silenzi notturni e vagheggiamenti dietro le finestre socchiuse a spiare le coppie felici e i baci e il carrozzone dell’amore istituzionale e i Natali trascorsi ancora in famiglia nonostante i primi peli grigi di barba e una età che non lascia più spazio ad alibi , da dover essere costretto a farsela sentimentalmente con una puttana?
Qualcuno che si autoinganni pensando a balle come l’amore e il rapporto di coppia e la famiglia e a tutte le possibilità che per un motivo o per un altro gli sono state negate , mentre per te lui non è che un’ àncora di salvezza, uno spiraglio di luce in questa terra di oscurità perenne.
A prescindere da aspetto fisico e reali sentimenti e cazzate simili.
Tu non hai sentimenti, e lo sai perfettamente. Non puoi permetterti di averne.
Lo seguiresti anche se fosse un vecchio bavoso.
Lo seguiresti anche se fosse calvo o storpio o totalmente ripugnante.
Lo seguiresti per poterti dire una persona libera.
Eppure c’è qualcosa di meravigliosamente decadente in questo quadro di disperazione notturna. E ci penso mentre sto fermo in macchina, a trafficare con un pacchetto di sigarette.
In attesa di accostarmi e comprarti.
E’ proprio il senso della tua esistenza, della tua vita passata, il cercare di assegnare una fisionomia precisa alla tua carne; le tue aspirazioni necessariamente infrante rendono bene il quadro della tua abissale disperazione. E questo tutti i soloni del progressismo e del femminismo, gli ultras dei diritti umani, non riescono a capirlo; sono talmente lontani dal senso della realtà, talmente avvinti dal suono del loro continuo pontificare di rispetto della persona umana da essersi scordati cosa sia l’umanità.
Quel fascio di nervi, sangue, carne, emozioni, sogni, desolazione, solitudine che ci vediamo strisciare accanto tutte le notti, nelle pinete e nelle sale-massaggio, nelle saune e nei peep-show, quella vasta congerie di corpi nudi pronti a dispensare piacere. Siamo in un territorio ben distante da quello in cui gli assassini di Profondo Rosso o Phenomena fanno scempio di qualche corpo femminile la cui consistenza tradisce il suo essere una mera materializzazione in celluloide, ancora più lontani dal minimalismo di torte calde e logorrea amorevole in cui Caritas, operatori umanitari e presentatori tv si affannano a riscattare dal ventre cupo della terra queste povere sciagurate. Tutta questa plastica non ha significato. E’ vuota ed inutile, e profondamente anti-umana.
E, cosa ancora più grave, tremendamente noiosa.

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