mercoledì 27 febbraio 2008

Il Baratro


( immagine fotografica realizzata da Hannabi ; http://www.flickr.com/photos/hannabi )
La notizia è questa (la riporto da TGcom, 24 Febbraio 2008) :
La procura di Ancona ha ordinato il sequestro in tutta Italia del libro "Il piccolo Tommy", scritto dall'avvocato Stefano Catellani, dedicato alla vicenda del bambino di 17 mesi rapito ed ucciso nell'aprile 2006. Per la procura il libro, scritto dal legale degli zii di Tommy, violerebbe il codice di procedura penale che vieta la pubblicazione degli atti di un'inchiesta prima della conclusione del processo di secondo grado.
Si racconta la storia del rapimento attraverso l'uso di intercettazioni, verbali ed atti che sarebbero ancora coperti dal segreto istruttorio. La pubblicazione del libro era già stata criticata, al momento dell'uscita nel 2007, da Laura Ferraboschi, avvocato di Mario Alessi, indagato insieme a Salvatore Raimondi e Antonella Conserva per il fatto. Il legale aveva presentato un esposto alla procura di Parma che aveva poi girato gli atti ad Ancona.
Anni fa ho avuto modo di conoscere un avvocato specializzatosi in crimini sessuali; una persona decisamente nella "norma", abbastanza brillante, con studio super-accessoriato, arrivato alla professione relativamente tardi, tutto sommato non un arrivista e nonostante la delicatezza delle materie che affrontava una persona con cui poter parlare tranquillamente. Questo avvocato scrisse una serie di fascicoli ad uso interno dell'Ordine Forense, per fornire una casistica e svolgere una disamina degli aspetti sostanziali, procedurali, psicologici e sociologici dei vari fenomeni criminali legati alla sfera sessuale; uno dei casi, lo ricordo assai bene, riguardava un tossicodipendente che aveva violentato la madre, una storia decisamente brutale e che ricordo con una certa precisione perchè per puro caso un giorno mi capitò di parlare con il violentatore, venuto lì a studio a portare altri incartamenti e a sincerarsi dello stato delle cose processuali (si trattava in questo secondo caso di reati legati alla droga, avendola scontata almeno in parte la condanna per lo stupro).
Il tizio in questione era decisamente folkloristico, tossico da piena iconografia alla Amore Tossico o alla Imperatore di Roma, ammasso rottamato di sinapsi e neuroni arsi dalle sostanze spicotrope, andatura dinoccolata, parlata romanesca estremamente greve; l'esatto contrario di ciò che mi avrebbe potuto affascinare. Eppure leggendo quel fascicolo in cui i suoi crimini erano stati descritti con minuzia e con una certa perizia letteraria, lontana cioè dal solito frasario amorfo della burocrazia legale, non avevo potuto reprimere un moto di genuino interesse; intendiamoci, non era il nuovo Peter Kurten, ma se non altro la sua vicenda esulava dall'ordinario processuale.
Visto che lo aveva reso molto più interessante di quanto non fosse, ricorrendo alle belle lettere, consigliai all'avvocato di scrivere anche qualcosa di fiction, di usare materiali reali debitamente mimetizzati per motivi letterari; mi confessò candidamente di averci pensato, ma poi mi disse qualcosa del genere "non vorrei farli diventare più umani e accattivanti di quanto non siano".
In effetti, a prescindere da come uno la possa pensare dal punto di vista morale, la latente umanizzazione di autentici rifiuti è un rischio grave; anche per chi non si pone scrupoli di ordine etico, capita spesso di innalzare sugli altari dei falliti sputacchianti che possono presentare un qualche interesse per ciò che hanno fatto ma non certo per quello che sono.
Eppure ultimamente sembra che l'avvocato sia rimasto in decisa minoranza; sempre maggiore infatti il numero di operatori legali, avvocati e persino magistrati, che si dedicano alla scrittura. In alcuni casi si tratta di opere totalmente finzionali, ma in altri casi viene creata una commistione totalizzante tra dato processuale autentico e narrativa. Il libro di De Cataldo sulla banda della Magliana è ampiamente finzionale, ma si basa su fatti realmente accaduti. I libri di Giuttari sul Mostro di Firenze uniscono indagini vere e frammenti metanarrativi.
Ma ora si avanza l'istant-book di natura schiettamente true crime; atti processuali pubblicati e commentati e messi assieme, raccordati, dalla personalità di spicco del momento. Il libro sulla vicenda del piccolo Tommy è stato sequestrato perchè viola un precetto che prima che legale è logico; pubblicare degli atti processuali fornendoli di un commento, prima che la vicenda sia coperta da cosa giudicata, rappresenta una indebita intromissione nella sfera di valutazione e di giudizio dei giudici. Ma in realtà a me piacerebbe sapere perchè quel libro ha visto la luce...
Il nome del piccolo Tommy è diventato santificata icona da esibire su tanti siti e blog genericamente devoluti alla lotta contro l'abuso sui minori; scopo legittimo, anche se la strumentalizzazione emotiva della atroce vicenda è palese. Qualcuno, ancor più probabilmente, ha iniziato a farsi i conti di fine mese e a servirsi del ricordo illanguidito dalle lacrime per vendere brutali emozioni spingendo sull'acceleratore del disgusto e dell'orrore.
Alessi, mi sembra evidente, è al massimo un "mestierante" del terrore, un mostro di infimo ordine, privo di qualunque carisma, da "vendere" ad una platea di casalinghe anestetizzate da Porta a Porta e Matrix e sommerse dal fiume di fango di Perugia, Garlasco, Cogne, Erba, delitti e processi consumati in tempo reale attraverso i mezzi mass-mediatici; la parola d'ordine è interazione, il probo cittadino vuole avere l'illusione di poter far pesare la sua opinione, di decostruire mirabilmente nemmeno fosse laureato a Quantico i sottesi strutturali dei vari delitti. Il baratro in cui si è precipitati, ad adeguate condizioni, può essere interessante; questa ondata di morbosità è pura pornografia, la gente compra, vende e commenta emozioni, ipotesi, possibilità. Il fatto scompare. Il bambino diventa un ologramma sfuggente e lontano, da esibire solo per rinverdire il down della droga catodica. Ed ecco allora la nuova frontiera dei libri in tempo reale, porzione estroflessa di una realtà altra, segmento impazzito vomitato fuori dallo schermo televisivo e caduto come un asteroide di merda nel salotto di migliaia di abitazioni.

martedì 26 febbraio 2008

Nana's Devotion; Saturno Buttò



SATURNO BUTTO'

Figurati, tableaux vivants, neogotiche pale d'altare per i misteri di una oscura religione. La critica si è sbizzarrita per trovare definizioni che diano un'idea della pittura di Saturno Buttò veneziano, nato a Portogruaro nel 1957.
Si iscrive nel 1971 al liceo artistico di Venezia e successivamente all'Accademia di Belle Arti, diplomandosi al corso di pittura nel 1980. Se si eccettua il decennio legato agli studi, Saturno non lascia mai Bibione, cittadina veneta sul mare, dove vive e lavora.
L'artista sostiene sempre con convinzione l'importanza avuta dall'esperienza veneziana per la sua formazione; il liceo lo inizia al disegno classico ed evidenzia quella che è sempre stata una sua vocazione: la figura. E' un periodo questo di continuo lavoro a matita su carta, in cui non esistono variazioni al rigore monocromatico dei disegni, eccetto una timida comparsa (nell'ultimo anno di liceo) di velature ad acquerello, preludio forse al clima più vivace dell'accademia a cui Saturno approda dopo la maturità artistica nel 1976.
Paradossalmente è proprio l'atmosfera di totale libertà d'espressione che lo convince ad abbandonare, anche se temporaneamente, matite e pennelli a favore di "nuove tecniche" come film, fotografia e varie esperienze legate alle correnti artistiche più in voga in quegli anni quali Body Art e Conceptual Art...
Non cambia però l'interesse per l'elemento umano, che se al liceo viene vissuto in chiave prevalentemente oggettivo anatomico, con l'accademia la ricerca si sposta sul soggetto, sul carattere e le sue implicazioni psicologiche. La "fusione " delle due esperienze determina a partire 1980 (anno dei ritorno a tecniche artistiche più tradizionali) la linea che caratterizzerà anche in seguito tutta l'arte di Saturno: una pittura di forte impatto realistico, basata sul disegno e improntata al tema dei ritratto.
Il successivo decennio si connota per una costante ricerca di perfezionamento della tecnica ad olio che viene interpretata con gusto dei tutto personale che lo condurrà allo stile unico delle tavole degli anni novanta.
Nel 1993 espone per la prima volta in pubblico e pubblica il catalogo monografico "Ritratti da Saturno 1989-1992".
NANA

Che cosa prova in questo momento ?






Che cosa prova in questo momento, signora ?
Adesso che i suoi teneri figlioli sono stati rinvenuti mummificati nel fondo di un pozzo e lei sa perfettamente che hanno subìto una agonia lunga e dolorosa, rimasti lì nella tenebra soli e disperati e rosi dal dubbio di essere stati abbandonati, ancora vivi, feriti, traditi dall'amore deviato del loro stesso genitore, li può immaginare se vuole mentre arrancano sui gomiti e con le ginocchia lacere, una scia rossa di sangue dietro di loro, stridulo vociare e misericordiose richieste di aiuto che muoiono venti metri sopra, nella campagna immersa nella scenografia della notte.
Ci dica, signora.
Che genere di pensieri le affollano la mente?
Che razza di idea si è fatta del trapasso dei due fratellini?
Odia suo marito?
Ci dica, signora; ci comunichi ogni segreto recesso del suo animo, il suo animo incupito dalla fine delle illusioni e dei sogni che aveva faticosamente eretto come sovrastruttura protettiva, per non impazzire, per non suicidarsi, per non sdilinquirsi nella consunzione mentale.
Crede che siano stati gettati dentro già cadaveri o che al contrario siano stati lì fatti morire di fame, sete e per la paura, per il freddo, sovrastati dal gracidare di rane, dal frinire dei grilli, dal sibilare del vento tra le assi marcite del podere ? Fame e sete e dolore e angoscia e mille lacrime, lacrime che sono anche le sue adesso; lacrime empaticamente protese alla definizione di una comunione di intenti e di sentimenti.
Riuscirà ancora a vivere?
A guardare dritta negli occhi una mamma felice di coccolare i suoi figli?
Come cambierà la sua esistenza?
Mutilata nella richiesta di un perchè universale, sofferenza, strazio e pianti tremolanti di notte, e all'ora di cena, l'affetto perde senso, nessuno la capirà mai signora, ma nonostante tutto ci dica, ci dica cosa sente crescere nel suo cuore.
Il pubblico vuole sapere.

giovedì 21 febbraio 2008

Una insostenibile aura di mortalità neon





La morfologia dei sensi non appaga la voglia di sesso. Ti dici; una volta ancora e poi basta, sarà sufficiente questo ennesimo tentativo di calarsi nell'atmosfera fumosa della strada e poi si potrà dare inizio ad una vita più o meno rispettabile, qualunque cosa significhi rispettabilità. Vuoi un matrimonio in abito bianco, una promessa eterna d'amore, un lavoro con cartellino da timbrare tutte le mattine, dei figli cinguettanti e scorrazzanti per casa ? Cosa ti brucia dentro il petto, e non parlo dell'infarto che ti strapperà all'affetto dei tuoi cari facendo di te meraviglioso padre da lapide tombale, io parlo di bisogno fisiologico alchemicamente trasmutato alla luce, tra i bagliori, del neon rosso. I corpi, come anatomia di un desiderio divenuto deserto e irradiante sezioni geometricamente carnografiche dell'odio, odio come sentimento assoluto, metasessuale, cosciente e lucidamente preordinato alla conquista di ogni singolo metro di terreno, corpi ed odio si uniscono, danzano, brillano nel lucore delle aree depopolate dove chi odia vive e chi non odia perde il suo tempo; cemento, vetro, ferro, il serpente ritorto e contorto tra spire metalliche e post-graffitate, aule industriali da rave, volto spettrale dell'immigrazione sdilinquita nei noduli plastici della prostituzione da strada, non night club, non gang bang rispettabili da villa circonfusa nel verde da piano regolatore decentrato, ma soluzione alla Dachau, in cui il corpo è venduto contestualizzato esibito, assurge a paradigma di un sesso frignante e mercificato, in cui si prende ciò che si vuole solo se si è culturalmente preparati alla battaglia. Le tue risposte sono esaurite davanti l'ultimo boccale di birra, come fosse un algido ricordo da faccia riflessa tra la spuma ed il vociare dei clienti, mi domando da cosa origini questa sicurezza, dove esiste la certezza dell'amore e della compagnia, se mai esiste; perchè di illusioni ne abbiamo viste tante, viste e sentite, come una puntata del nuovo corso di Chi l'Ha Visto. Piace frignare al mondo moderno, come una società di mutuo soccorso che trasla l'amore sui conti correnti bancari e sulle firme d'apertura di credito la nuova famiglia, il nuovo vincolo di sentimenti decisivi, si fa sangue, poca carne, nessuna trasgressione; io rifletto spesso sulla disintegrazione, su quelle vite che naufragano e vanno alla deriva e nel rombo di un aereo o nello sferragliare di un treno si consumano nella notte, direttrici della fine del desiderio, morte delle illusioni, il peso insostenibile della realtà che confligge con l'esistenza, e con le sue urgenze. Le vite scompaiono anche prima della morte, è un dono l'invisibilità, una strada senza ritorno di lunga e dolorosa dignità; le immagini sono fotogrammi sgranati di corpi in vetrina, tra tette, neon, tacchi a spillo e droga, cielo stellato che si ritaglia uno spazio vitale tra i tetti bassi della capitale olandese, traffico a passeggio e puntolini di carne, Casa di Anna Frank, monumenti, case protestanti e puttane, sesso, erotismo, fiche, feticismo e sadismo, nel frullatore si consuma il cortocircuito dei sensi. Chi scompare, chi si allontana, anche se non sa cosa sta facendo, compie una scelta, un ultimo viaggio, e mette malinconia vederne i resti plastificati esibiti da genitori che provano dolore quando ormai è troppo tardi, i pianti, le recriminazioni, i consuntivi esistenziali che virano al rosso, e sentire di sogni e baci e carezze e tante facezie illuminate dalla telecamera, il viaggio della speranza, le domande alle ragazze in vetrina, la droga, il perchè della droga, come si finisce nel tunnel della droga. Mi piacciono i parallelismi metaforici dal sapore topografico, scorie architettoniche prestate alla sociologia facile facile; tunnel della droga, come un anfratto scuro che si stende carsico e malevolo nel ventre molle della città. E mi piace la parola "urgenza"; segnala una velocità, una accelerazione in termini di bisogno, una drammatica assuefazione. Ecco; non capisco perchè non hai fatto la sua stessa scelta, perchè non sei scomparso nella notte, invece di adagiarti su queste dimensioni che oggettivamente non ti rendono giustizia. Adesso ti stai solo giustificando. E non è bene.

mercoledì 20 febbraio 2008

Il Business dell'Orrore





Il quotidiano Il Messaggero (di oggi 20 Febbraio 2008) riporta la seguente notizia :


PALERMO (20 febbraio) - Per oltre sei mesi una bambina di 12 anni avrebbe subito in silenzio le violenze sessuali del padrino di battesimo: alla fine, però, ha raccontato tutto, facendo scattare l'arresto dell'uomo e dei genitori che avrebbero acconsentito alle violenze sessuali. L'ennesima vicenda di pedofilia è accaduta a Palermo. I carabinieri del Comando provinciale di Palermo hanno arrestato i genitori naturali e il padrino di battesimo della piccola. Le indagini hanno portato alla luce situazioni drammatiche di degrado familiare e ambientali e il timore di eventuali ritorsioni nei confronti della minore. Le violenze accertate dagli investigatori si sono protratte per circa sei mesi fino a quando la bimba, pur tra mille ritrosie, ha raccontato lo schock subìto.


Di pochissimi giorni fa invece la vicenda che ha visto un pedofilo siciliano recidivo violentare una bambina di 4 anni, che le era stata affidata dalla quantomeno incauta madre della bambina stessa, vicenda che come prevedibile ha sollevato un putiferio coinvolgendo ogni possibile livello logico ed argomentativo (i cavilli burocratici e legali che permettono ad un tizio che ha già violentato tre ragazzine di essere a piede libero per decorrenza dei termini e per aver impugnato la sentenza di primo grado, visto che come noto nelle more del gravame si è liberi; una certa liberalità della magistratura di sorveglianza che nel caso specifico ora sta gettando la croce della responsabilità sul ritardo di un rapporto dei sempre presenti RIS; la mancata informazione che avrebbe potuto rendere più accorta la madre).
La madre della bambina, mentre i politici si accapigliavano per promettere sanzioni draconiane contro la pedofilia (come se già non ci fossero...) e nel solito turbinante coro di strazio e dolore retroattivo, ha ammesso a vari telegiornali di sapere quali accuse gravavano sull'uomo, che tra l'altro si è pure rivelato essere un suo mezzo parente. L'uomo comune si domanda spesso, dopo aver compreso tremante e sudato che alla madre non rimane l'alibi dell'ignoranza, come sia possibile che un genitore affidi ad un pedofilo conclamato la propria figlioletta; eppure bisognerebbe dire che quello di Agrigento non è stato un unicum.
Nonostante Veltroni vada chiedendo da tempo l'istituzione di un registro nazionale dei Criminali Sessuali, in cui siano schedati stupratori, molestatori, pedofili, con tanto di dati sensibili, anagrafici, luogo di residenza, il problema dell'informazione è un problema decisamente relativo; quello del Registro sarebbe un provvedimento demagogico, e grave. Su quali siano i nefasti effetti raggiunti da leggi di gogna pubblica nel mondo angloamericano, mi sono diffusamente interrogato in un post dell'anno scorso ma sinceramente non credo farete fatica ad immaginarli. Ma aldilà di questo, va detto e va detto con forza che la sensibilizzazione delle famiglie è un conto, altro a dirsi invece questo provvedimento da lettera scarlatta capace solo di ingenerare clima di sospetto, paranoia, con conseguenze anche sulla psiche dei minori.
Molte associazioni di lotta alla pedofilia di questa lotta hanno fatto innegabile business; tra richieste di sostegno finanziario, fondi, libri pubblicati, convegni a pagamento, consulenze in aula di tribunale, la mole di denaro che muovono è abbastanza impressionante. L'aspetto più paradossale però è che per vivere e proliferare devono continuamente dare l'idea che i bambini siano circondati da Mostri in agguato, da cacciatori (o predatori, come amano dire loro...) che seguono l'immagine stereotipata classica di Orchi in impermeabili che attendono le sfortunate vittime all'uscita di scuola o che addirittura si insinuano nelle scuole stesse.
Vi ricordate la traumatica vicenda di Rignano Flaminio?


Sempre il Messaggero, questa volta del 19 febbraio ci informa che :


ROMA (19 febbraio) - La testimonianza della sesta bambina, ascoltata in sede d'incidente probatorio, identificata come una delle 19 presunte vittime di abusi della scuola materna Olga Rovere di Rignano Flaminio, ha segnato un duro colpo per gli inquirenti. La bambina di cinque anni, ha infatti parlato di «maestre cattive che dicevano cose brutte ai bambini», ma ha aggiunto anche che queste cose gliele ha dette la mamma, che a sua volta l'aveva saputo dalla madre di un altro bambino. La bambina inoltre ha ammesso di non ha mai partecipato a nessuna di quella famose gite, che prevedevano il trasporto dei bambini a casa di una delle maestre e i relativi abusi di cui queste sono accusate insieme all'autore televisivo Gianfranco Scancarello, una bidella e il benzinaio cingalese Khelum Weramuni Da Silva. Delle gite ne aveva però sentito parlare dai suoi compagni di scuola.L'avvocato del cingalese, Domenico Naccari ha così commentato la testimonianza della bambina interrogata stamattina dalla neuropsichiatra infantile Angela Gigante, l'esperta che funge da tramite con il gip di Tivoli, Elvira Tamburelli: «La testimonianza della bambina conferma l'inconsistenza del quadro accusatorio, ossia quello che sosteniamo noi da tempo». Piero Cardamone, uno dei legali di parte civile ha invece interpretato diversamente la testimonianza della piccola, facendola apparire come «un'ulteriore conferma della genuità e della spontaneità dei racconti fatti dai bambini a proposito di quanto accaduto E' la riprova che non ci sono mai stati tentativi di indurre i piccoli a dire il falso». La piccola ha riferito che a scuola si trovava bene e che giocava con gli altri bambini e con le maestre nel cortile. Per lei dunque le maestre erano buone e si sono trasformate in cattive in seguito alle parole della mamma. Nonostante questo l'avvocato che assiste la bambina, Mirko Mariani, sostiene che non vi sia alcuna svolta nella vicenda: «La bimba ha detto di aver appreso tutto dalla madre per un meccanismo di difesa, voleva evitare altre domande, altri approfondimenti. Insomma escludiamo che sia stata sottoposta a meccanismi di induzione. Anche in passato la piccola ha messo in atto questo comportamento di difesa. Inoltre non dimentichiamo che la bimba è risultata positiva alle benzodiazepine dopo l'analisi tossicologica effettuata su un capello». Dopo di lei un'altro bambina di cinque anni è stata ascoltata nella stanza del tribunale di Tivoli appositamente allestita per i bambini della scuola. La bimba ha parlato di tre maestre, Patrizia, Silvana e Luciana, ha accennato a «medicine e punture» e ha parlato di giochi fatti in un'altra scuola definita «bella», ma essendo la bambina più piccola fra quelle interrogate, l'esito dell'esame risulta piuttosto complesso.


Mesi e mesi fa paragonai la Scuola di Rignano alla tragica vicenda di paranoia statunitense che va sotto il nome di McMartin; troppe discrepanze, troppi elementi stereotipici che sembrano uscire da qualche libraccio sensazionalistico a base di abusi satanici e leggende metropolitane, troppo pochi riscontri oggettivi, e troppa solerzia investigativa nel dare addosso agli indagati fatti passare da subito come colpevoli.
In questo nostro paese, le associazioni antipedofilia (non tutte ci mancherebbe) si distinguono per le loro tattiche shock, per i toni sparati e crudi, per l'uso disinvolto di immagini brutali che dovrebbero far comprendere ai genitori l'abisso di orrore della pedofilia ma che solo contribuiscono ad accrescere il clima di insicurezza e di sospetto. Richieste di gogna, di pena di morte, occhiate in cagnesco per il maestro, l'insegnante di ginnastica (tutte professioni da pedofili...), l'odio che erompe dal cuore, scenari d'inferno, si spinge sulle emozioni e ben poco su dati scientifici, psichiatrici e statistici. Ma allora cosa vendono alcune di queste associazioni ? Quale servizio offrono ?
La paura. Ecco cosa.
Dire che gran parte degli abusi sono consumati e perpetrati in contesto familiare, da conoscenti o comunque da persone che hanno libero accesso ai bambini proprio perchè in contatto con il contesto familiare, rende poco in termini di emozione e di fobia; ed allora è meglio spezzare il vincolo di fiducia, bypassando il sospetto che magari le famiglie potrebbero non essere tanto amorevoli, e costruire storie di Internazionali Pedofile potentissime e disposte a tutto, delineando vividi quadri di messe nere, espiantii d'organi, snuff movies, e chi più ne ha più ne metta.
Che esistano pedofili più o meno organizzati è un dato di fatto, ma che il numero degli stessi sia quantificabile in migliaia di unità è opinabile soprattutto perchè le statistiche fornite dalle associazioni antipedofilia a sostegno di queste loro tesi non vedono mai l'indicazione univoca e precisa delle fonti. Una metodologia fortemente criticabile.


Il Tgcom del 16 febbraio ci dice :


Per problemi economici due ragazze di 14 e 16 anni, di cui una con un lieve ritardo mentale, erano costrette a prostituirsi. Gli agenti della Squadra mobile di Enna, coordinati dal vice questore Tito Cicero, hanno arrestato i genitori delle adolescenti con l'accusa di abbandono aggravato di minore e un anziano per violenza sessuale aggravata. Le due ragazze si sarebbero concesse ad anziani per 10 euro.
I due coniugi G.C., 49 anni, e di G.L., di 39, raggiunti dall'ordinanza eseguita dalla Squadra Mobile, su ordine del gip del Tribunale di Enna, sono indagati per abbandono di persone minori o incapaci aggravato. Le ragazze non frequentavano le scuole ed erano lasciate libere di girare fino a sera per le vie cittadine senza controllarne in alcun modo i movimenti e le frequentazioni, e senza contribuire alle loro esigenze economiche, al punto da determinare le due minorenni, spiegano gli investigatori, a compiere atti sessuali a pagamento con adulti. Il terzo arrestato è un commerciante di 68 anni, incensurato, accusato di violenza sessuale continuata, consumata e tentata. L'uomo, secondo quanto accertato, pagava 10 euro per ogni rapporto e induceva le sorelle a compiere atti sessuali facendo leva sullo stato di indigenza della famiglia e abusando della loro inferiorità fisica e del loro evidente ritardo psichico. I tre destinatari della misura cautelare sono stati accompagnati presso le proprie abitazioni, a disposizione dell'autorità giudiziaria. Mentre personale dell'Ufficio minori della Divisione anticrimine della questura, ha proceduto al trasferimento delle ragazze presso una struttura di sostegno.

martedì 19 febbraio 2008

Cultura Porno su Radio Bandiera Nera

Bagliori da un Inferno verde - Druunatic











Un’urgenza viscerale scorre solitaria e sinuosa come carne adombrata dal sospetto di una prossima morte, di un evento drammaticamente luttuoso, asettico e formale lo scatto imprigiona il flusso emozionale della stanza; lo vedi quel corpo formoso, il seno generoso ed esibito a pelo d’acqua, i capezzoli eretti, e la bocca sigillata dal nastro isolante, lo sguardo stordito dal trucco e dalla paura, dal deflusso dell’adrenalina e dal ghiaccio che si sedimenta nelle vene. Un corpo imbellettato e prigioniero dello sguardo vitreo della fotocamera, una costruzione scientificamente preordinata, solidificata, cercata e fortemente voluta, le calze a rete strappate, la donna scomodamente adagiata come uno di quei cadaveri di prostitute a spasso per le acque di qualche fiume, vittime di invisibili serial killer devolute alla pianificazione del senso esistenziale di una fotografia che si fa feticismo.
Feticismo, ossessione compulsiva, ricerca di un Graal di sangue, carne e sperma, immagini la fotografa dall’altra parte dell’obiettivo intenta a dirigere, esigere posizioni e sguardi, eccitata dall’idea di vampirizzare nella fotografia un frammento di vita altrui; la feticizzazione è una cristallizzazione organica del piacere, rendere la modella plastica innestata nella nostra anima, come un cannibale postmoderno nell’algido nitore formale del latex fetish.
Sappiamo tutti perfettamente che la scena sadomaso e fetish ormai è divenuta una risibile variante del carnevale, in cui esiste solo una preoccupazione; quella di assecondare il gusto altrui, di cedersi alle voglie voyeuristiche dei propri simili, ben lieti di condividere gusti e idiosincrasie e scelte di vita. Il tutto scade a moda.
Poche nobili eccezioni, pochi isolati casi ci fanno sperare per un domani migliore, un domani in cui l’artista sia libero di appagare le sue manie e le sue depravazioni quotidiane, i suoi capricci estetici e metasessuali, attraverso il fuoco della creazione; la perfezione della tecnica non è davvero importante, perché sono sempre stato genuinamente convinto che se qualcuno ha una storia interessante da raccontare è meglio che non si lambicchi in sperimentazioni e sofismi espressivi, lasciando da parte l’ampollosa avanguardia e le fumisterie concettuali e focalizzi i suoi sforzi sulla linearità del messaggio. E se a ciò aggiungiamo la sentita necessità di vivere in coerenza i propri piaceri, i casi statisticamente accertati diventano ancora meno.
In totale disaccordo con il sottoscritto, i soloni delle tipizzazioni fetish e SM si guarderebbero bene dal ritenere la fotografia di una Olivia Gay o di uno Stephen Shames fotografia fetish. Talmente avvinti dalle loro comode epifanie consumate nei dungeon-bordello, nello scintillare del latex e del pvc, tra schiocchi farlocchi di frustini, cera fusa ed espressioni di una body-art assai spesso fuori di contesto, questi epigoni della trasgressione in cuoio non comprendono che la soddisfazione del piacere è un imperativo di sublimazione del feticismo; l’ossessiva presenza dell’oggetto del desiderio nei nostri pensieri, nelle nostre opere, nei nostri discorsi, diviene feticismo nella sua più pura accezione.
Le prostitute della Gay hanno perso la dignità in qualche anfratto illuminato di rosso, tra corpi emaciati e altri abborracciati e cellulitici e droga e costipazione, strali di sofferenza che si accalcano come parassiti nella vagina dell’inferno, donne negre, donne cubane, donne olandesi, vorticare di vetrine e bagliori e desolazione di potenza carsica ma ben viva. Ogni lucore, ogni stolida presenza, ogni cicca gettata a terra, ed i preservativi, le rapide contrattazioni, gli odori che puoi solo immaginare ma che pure ti eccitano. Se non è feticismo questo…
E allo stesso tempo la povertà morfologica di strade americane, ghetti, slums, cemento grigio come il cielo morente, graffiti di fame e ragazzini malati, drogati, che vendono i loro corpi, ecco l’oggetto delle attenzioni di Shames e della sua carità, compulsione sparata ad alzo zero contro il vizioso sguardo dell’empatico voyeur.
O l’Araki che senza tecnica, senza sosta, senza tregua, col suo cavalletto in mano si insinua nel ventre di Tokyo per cristallizzare il tutto ed il nulla promanante dalla frenesia abitativa della capitale nipponica, polaroid seriali che come le vittime di Albert Fish giacciono adesso spiattellate tra le austere sale del Palazzo Fontana di Trevi, in una esibizione/confronto che ti costringe a guardare nel cuore eccitato di Araki stesso.
Pur con tutte le adeguate cautele del caso, cautele dettate dalla personalità delle urgenze sessuali che differenziano, l’arte della fotografa underground danese Druunatic percorre gli stessi sentieri. Sentieri intessuti di fini arabeschi di carne e sesso e in alcuni casi anche di cliches fetish ricontestualizzati; l’esperienza di Druunatic nel momento creativo è quella di un atto di appropriazione dell’esistenza della modella-partner, ideale vittima che soggiace e si piega alla volontà di chi la riprende, ed eterna, nello scatto.
Una serie fatta di assordante chiaroscuro verdognolo, camera di morte e di dolore intessuto di smeraldo, ombre, sinuose forme femminili, acqua che sciaborda nella vasca, guardi quegli occhi e dentro le iridi leggi il sapore del piacere che Druunatic prova nella costruzione del set.
La fotografia come processo di sessualità sublimata, il contatto e la ricerca delle improvvisate modelle, l’idea su come allestire il set, l’oggetto del desiderio che emerge potente e devastante, la ragazza che si spoglia e che si veste poi di nuovo come crisalide di farfalla secondo le imperiose direttive della fotografa danese, la ragazza ne asseconda i gusti, le idee, e quando sarà premuto il clic sulla macchina fotografa si determinerà una palese scissione nell’esistenza dell’improvvisata modella; da una parte la ragazza tornerà alla sua consueta e più o meno normale esistenza, dall’altro però persisterà questa immagine, questa foto che la imprigiona e la rende altra da sé. Domina, schiava, pezzo di carne, non importa il ruolo che Druunatic impone, perché è comunque lei a rimanere in controllo, a cannibalizzare l’identità sfuggente e liminale della modella, a farne uso masturbatorio, che possa titillare il cervello e il clitoride.Pur tecnicamente non perfetta, la fotografia di Druunatic nasce e muove da alcune esigenze assolute, immani, che titaneggiano sulla sterile definizione di arte che siamo soliti utilizzare per descrivere il feticismo nobile. E nell’uso/abuso di alcuni luoghi comuni del fetish, dal tema religioso all’abbigliamento fatto di corsetti e latex, da determinate caratterizzazioni vampiriche ad altre di pieno dominio gotico, Druunatic vive le sue sessioni di hardcore fotografico, determinata a succhiare fino al midollo l’essenza delle sue partner-modelle.
Dimostra il suo talento anche negli scatti di ambiente religioso, in cui l’austero silenzio delle chiese protestanti danesi si unisce in sinergia porno-decsrittiva a crocifissi barocchi e cascate di luce ed abiti talari autentici; fotografie di non secondaria importanza, pur se magari meno viste e considerate dai frequentatori del sito Web della fotografa. E che invece confermano l’importanza del percorso formativo ed umano di Druunatic, alle prese con la soddisfazione dei suoi bisogni primari.
La sua dimensione schiettamente underground, autodistribuzione-autoproduzione, la porta a collaborare con magazine del settore Fetish, il Fetish di Marquis, SkinTwo, A, anche se certamente merita di più; merita soprattutto di non essere confusa con la massa amorfa di gotici da dopolavoro. Troppo differenti le motivazioni, troppo differente il contesto di azione e di vissuto.
Come l’immagine rovesciata di un Se Stessi, quella immagine richiamata nella drammaturgia di Sarah Kane o nel languore dolciastro e ossuto della poesia di Trakl, gli scatti di Druunatic sono un fotografare la sua stessa anima, una via crucis di masturbazione, sadismo, piacere saffico, clitoridi stropicciati e furiosamente smanettati, seni strizzati, gambe flessuose, calze a rete, sangue, tacchi alti, corsetti.
Emerge l’Inferno interiore, in tutta la sua maestosa grandezza, tra ierofaniche presenze post-demoniche, quale party fetish nel Nono Cerchio trasmutato alchemicamente in forma dissoluta di scantinato gotico.
Lunga vita all’Inferno.

sabato 16 febbraio 2008

Manikarnika Ghat


Il lucore delle pire funerarie si confonde con il cielo cremisi colto al tramonto tra un volo pindarico di Aironi e le prime luci del centro cittadino, tremule fiamme le cui creste si fondono in energia simbiotica con i neon dei bordelli e macchine ed esalazioni ed un arancio smorto lassù nella stratosfera e morte consunta odore di carne fusa dove le fiamme attecchiscono figure macilente come la danza mistica di Shiva, nere di pece e bianche di cenere, lunghi capelli incatramati e vesti altrettanto nere come la desolazione delle mille battaglie di Kali Ma, ed ogni passo su quella spiaggia dalla sabbia imputridita è uno scricchiolare di ossa, macinate dal passaggio del tempo, un orrore insondabile, volti contorti dalla illuminazione rincorsa e mai davvero raggiunta, visioni dal Manikarnika Ghat processioni pietose e piangenti di spose morte vecchi giunti al termine della loro esistenza ragazzini e bambini le cui carni impure vengono scaricate senza eccessivi complimenti tra le acque limacciose del Gange, acque incupite dai corpi arsi senza soluzione di continuità sulle pire e pezzi di carne ed ossa e lembi e costati in una necromacelleria del desiderio, Kundaliniyoga praticato alla velocità high-tech di una India dimenticata e forse mai davvero esistita, le figure emergono dall’abisso e cantano un mantra infinito di orrore e luce perché non c’è tenebra in quello sfacelo di carne ed i volti straziati dalla malattia dalla consunzione dall’abuso di droga si fermano ad osservare i cadaveri arsi ed i becchini Dom intoccabili e scansati sdegnosamente dai Bramini e dai poliziotti eppure quel passo fiero e nero, come l’artaudiana inondazione di corvi neri che dalla mente di Van Gogh finisce nella solitudine deprivata di una istituzione manicomiale, fende la via si chiude a riccio nella autoreferenzialità sadhu mistica contemplazione della bellezza di Shiva capelli lunghi come i suoi, solo imputriditi come le acque del Gange dentro cui scaricano fogne e deiezioni cittadine, i Bramini persino, nonostante in tutta evidenza tradiscano il peso del loro disgusto e della loro costernazione, vedono quelle figure lacere e debosciate che s’avanzano tra i cadaveri, tra le bolle di pus, tra i teschi essiccati utilizzati come stoviglie domestiche e come monili da far ciondolare dal collo, li vedono accostarsi alla pira su cui il corpo è adagiato, può essere una donna o un uomo o un fuoricasta ma alla figura in nero non importa, il primo Bramino è impietrito dall’orrore, non avrebbe mai creduto di poter finire faccia a faccia con quell’incubo, ed intanto i Dom fermi e silenti stringono tra le mani il sacro fuoco di Shiva che qui a Benares non si è mai spento e che riluce da millenni, incurante di inverni, tempeste, guerre, carestie, solo lo Smashan è davvero reale, con quel pungente lezzo di carne decomposta e bruciata, un odore che colpisce i sensi e riconduce alla realtà della miseria umana, sublimazione di una ordalia da giocarsi mentre più ad Ovest, tra Goa ed il mare, la redenzione si compra tra gli abborracciati rave organizzati sulla punta dell’Oceano, è in quel momento che la desolante voce, cupa come le giungle del Ladakh, si alza ad intonare il più sinistro dei mantra e tutta la folla devota e pia giunta sullo Smashan per porgere l’estremo saluto al congiunto morto capisce che bisogna onorare il sacro uomo giunto dal suo campo, che sorge giusto un chilometro più in là e dove il sacro uomo conduce una povera retta via di misticismo necrofago, tra ossa macinate teschi fegati spappolati erbe allucinogene e bevande d’urina, a volte un cervello sottratto e ingoiato di notte tra le ombre dei vicoli più nascosti ma sempre una parola gentile nel nome di Shiva sulle labbra increspate, dovreste vederlo con quale gioia si avvicina al morto ed invoca la misericordia del Dio, di quella tenebra da cui lui è definitivamente fuori, i Bramini, i Dom, i turisti fermano i loro respiri e per un attimo, un attimo che sembra eternarsi e cristallizzarsi come il fiato durante una gelida tormenta d’inverno, capiscono che l’Aghora appena materializzatosi è una rappresentazione sensibile della volontà di Shiva, smettono di rilucere i flash delle macchine fotografiche, smettono di salmodiare i Bramini supplici, smettono di formicolare e di brulicare come insetti o puntini di carne tutti gli affaccendati necrofori della spiaggia, ed ora sullo Smashan regna il silenzio, un silenzio che cresce e si espande ed ingravida il senso estetico delle ultime notti trascorse, lancinanti bagliori traslucidi come processione assopita di Monsoni e poi ancora la lacera smunta smagrita figura riluce di un nero cupo come l’abisso nietzschano dentro cui guardare per essere guardati e poi ancora il fuoco crepitante si adagia contro la pietra angolare incrostata di escrementi di scimmia o Ganesh la tua misericordia cade lontana dalle persone che invocano l’universale potenza della Shakti e sempre più su l’Aghora fuma e beve e danza ebbro di un vino carnale mestruo di carne andata a male davvero come fosse un brulichio di vermi non c’è altra scelta che stare fermi a contemplare a godere ad osservare a cercare di captare l’energia insonsandabile che come una fredda primavera satanica si abbatte sulla scogliera della dignità umana, l’Aghora supplice scarnificato emana un lezzo pungente di morte decomposizione dolore troppe lacrime caduche troppi soli abbozzati dentro il cuoio capelluto fu allora che dissi al Maestro di lasciare che la strada mi si liberasse davanti e lui, incline al poco divismo di Bollywood e alla necrotizzazione del desiderio ma senza aver letto Virilio né, suppongo ma il tempo è caritatevole e potrà smentirmi, Spare che qui di sigilli o di Posizioni della Morte ben poco si vede e a dire il vero ben poco si vede di tutto come cani che guaiscono le figure dei becchini ed i padroni dello Smashan si contendono le esequie i pezzi fumanti e furenti della carne morte niente sigilli dicevo niente volontà cristallizzata come un pigmento primitivo nell’ambra atavica, penso che nei suoi lontani eremitaggi indiani trascorsi su scoscesi crinali digradanti in un mare smeraldo di foreste e timide nebbie mattutine persino l’Io Alpinistico di Crowley si sia guardato interiormente dentro ed abbia convenuto con le distese argentee di stelle e con la luna madreperlacea che a tre quarti in un cielo gonfio di presagi se ne stava là sopra a vegliare sui contorni dell’Eone di Horus, si tu grande Madre tu Kali dalle molte braccia sono certo saprai accogliere un tuo povero figlio smarrito che torna nel ventre segreto del mondo, io non ho la parola di Agharta, io non ho il vetro ed il cristallo di cui sono intessuti i sogni ma ho i residui quasi brandelli li chiamerei di una potenza interiore tra tramonti mefistofelici e wagneriani ed anche qui tra fuochi e Nath e Naga Baba nudi ma festanti e guerrieri e soprattutto teschi ossa e drappi smilzi camuffati dalle pieghe della notte ho ritrovato il perduto significato della mia ricerca perché so che Crowley perse del tutto la via, praticamente e metaforicamente, e tra una lettura attenta sullo Yoga, una puttana scarlatta tantrica ed un sesso promiscuo da consumarsi con gli enti traslati tra i livelli della psiche so bene che poi si perde tutto e lui lo perse, gran parte di quella tradizione meravigliosa imperiale evocatoria e turrita lui la barattò con l’epifania di una pornopromesa che fluisce e garrisce come un fiume di bandiere, lascia che la tua mente sia sconvolta sussurra l’Aghora con voce di tenebra e velluto, Kina Ram, prosegue l’Aghora, nelle sue ricerche disperse tra lo smashan e l’Ashram vicino all’ardente fuoco di Shiva insegnava che anche un ramoscello nella notte infernale, quando i sensi sono terrorizzati ricettivi e sensibili ebbene i sensi scambiano il ramoscello aggrovigliato agli alberi per un serpente pericoloso e allora indietreggiano si chiudono in un tragico silenzio in un mutismo abbacinante la paura di perdere la strada e la vita per un doloroso morso ma Kina Ram nel suo peregrinare esorta ed invita chi lo segue a non avere paura ad accostarsi al ramoscello e a disvelarne la vera entità per quello che essa davvero è ovvero solo un piccolo pezzo di legno, viva la morte viva l’illusione disvelata viva la presenza disvelata di una grande certezza trionfo della volontà dietro una forma volitiva assoluta, Kina Ram ci ha indicato cosa fare e il Maestro si ferma a guardarmi come se volesse capire dai miei tratti somatici dalla mia barba dai miei capelli lunghi e non curati dalla collana di ossa umane che porto al collo se io abbia compreso quel tremendo segreto, si rispondo la morte non è che il principio e tu Maestro lascia che ti dimostri la mia devozione e lui sorridendo inizia ad aspirare dalla pipetta in ceramica fuma ganja fuma una volta poi due poi tre e ridacchia e sputa a terra mentre alle nostre spalle inizia il canto funerario le carni dei cadaveri sono arse si spande l’odore della morte bruciata come pollo al forno e lui borbotta serenamente e mi dice vai vai e dimostrami che hai capito ed io come una ombra mi sollevo da terra e mi allungo sui profili della costa mentre l’acqua sciaborda ed umetta la sabbia e i fumi passati tra le volte celesti, te lo dimostrerò Maestro e me ne vado tra le stradine secondarie che collegano la spiaggia, lo smashan e il dedalo di ristoranti per turisti e io so che camminando soddisferò il potere che arde dentro di noi, non ci sono ramoscelli in questa nostra dimensione non ce ne sono davvero più ma se ne possono parare in questo paradiso/inferno di dissoluzione e allora fai ciò che vuoi diventa il nostro paradigma e sia fatta la nostra stessa volontà dissoluta.

venerdì 15 febbraio 2008

Il Sadico Criminale






Da THE CRIMINAL SEXUAL SADIST , pubblicato in FBI Law Enforcement Bulletin, February 1992


di Robert R. Hazelwood


I racconti di ogni criminale confermano che è la sofferenza della vittima, non il dolore fisico e psicologico, che è sessualmente eccitante. Tutti gli atti e i crimini sessuali sono originati dalla fantasia. Tuttavia, contrariamente alla normali fantasie sessuali, quelle del sadico sessuale sono incentrate sul controllo, sull’umiliazione, sul dolore, sulla violenza. Non appena le fantasie del sadico sessuale variano, cambia anche il grado di violenza. Alcuni individui mettono in pratica i loro desideri sadici nei confronti di oggetti. Uomini violenti sono spesso crudeli verso gli animali, ma senza averne un’eccitazione sessuale… qualcuno che è attratto sessualmente dalla sofferenza di un animale è probabile che sia un sadico sessuale e un soggetto zoofilo.
Le mutilazioni della vittima dopo la morte sono attribuite erroneamente ad un comportamento di tipo sadico. In molti di questi casi l’offender uccide velocemente la vittima e non cerca di prolungarne la sofferenza che è in totale contrasto con le azioni del sadico sessuale. Persone con questa condizione mettono in evidenza crudeltà, aggressività in contesti sociali e lavorativi, molto spesso nei confronti dei sottoposti. Molti di questi individui sono spesso affascinati dalla violenza, hanno piacere nell’avvilire ed umiliare gli altri. In questa condizione la finalità di questo comportamento non è quello di provocare una forma di eccitazione. Si fa riferimento in questo caso al disturbo sadico di personalità che, però, nella edizione del DSM-IV è scomparso. Da uno studio condotto dall’autore sui sadici sessuali è emerso che tali soggetti torturavano intenzionalmente le loro vittime con martelli, pinze, con morsi, causando bruciature, inserendo oggetti nel retto della vittima. Oltre alla violenza di tipo fisico, anche una violenza psicologica era inferta sulla vittima. Il legare, imbavagliare, bendare gli occhi erano tutte azioni che avevano la finalità di provocare una sofferenza psicologica.
La crudeltà di un atto criminale, anche se di tipo sessuale, non sempre è sinonimo di sadismo.
La crudeltà spesso evidente, cosi anche le minacce o altre forme di abuso verbale, forzare la vittima a descrivere gli atti sessuali in azioni che sono compiute da un desiderio di vendetta per ingiustizie reali o immaginarie. Dall’analisi dei casi di sadismo sessuale oggetto di studio da parte dell’autore è che le devianze sessuali sono spesso associate ad altre anormalità sessuali. Infatti molti soggetti si intrattenevano in attività di tipo omosessuale, altri effettuavano telefonate oscene (Scatologia telefonica) o erano dei “guardoni” (Voyeurismo). Molti dei sadici studiati prendevano dalla vittime oggetti che appartenevano loro come fotografie, documenti di identità, abbigliamento intimo, gioielli Per i sadici tali oggetti avevano valore di un trofeo della loro conquista. Tuttavia nessuno di questi criminali ha trattenuto parti del corpo della vittima.
Ciò conferma che il sadico sessuale non ha alcun gusto per una ”preda” che ormai è morta.

Solo ghiaccio e silenzio




A volte l'inferno ha nomi esotici.
Dekalb è una cittadina a cento chilometri a nord di Chicago, borgo sonnolento prediletto da studenti del North West. A giudicare dal suo nome e dalla sua morfologia diresti che è destinata a non entrare mai nella cronaca nera.
Come una cattedrale di cristallo stagliata contro la linea d’orizzonte e flagellata senza sosta da raffiche di vento, la Northern Illinois University di Dekalb assiste all’evoluzione dell’ennesimo corso di studi, quietamente adagiata nella sua pace dei sensi; giornata di ordinaria routine, via-vai di studenti per i corridoi, burocrazia, veloci saluti sulla scalinata d’ingresso, le aule accaldate e gremite di studenti vocianti, qualche scherzo, ore di laboratorio a trafficare con embrioni di topo e cadaveri di rane.
Il primo colpo si abbatte come una meravigliosa sorpresa. Lo scoppio sordo tradisce l’umana frustrazione, e la sublimazione di una volontà di potenza lasciata a marcire sotto il pesante pastrano; l’orrore ancora deve arrivare, fermo in seconda fila tra qualche decina di Cabrini-greens, il traffico cittadino impazzito e nuvole di fiato condensate in volute concentriche troppo prese dall’ascendere al cielo per accorgersi di quel ragazzo che ha iniziato a macellare i suoi ex compagni di corso.
La bassa sociologia non appartiene a chi dispensa la morte; solo dopo, solo quando i corridoi gelano nel silenzio, tra rare ed isolate richieste di aiuto e di misericordia, il rantolo degli agonizzanti e le strazianti lacrime dei sopravvissuti a far da ideale cornice, come pure la montante ondata di sirene di ambulanze e polizia, puoi veder emergere nei notiziari dei tentativi di comprensione. I giornalisti non vogliono davvero sapere o far sapere cosa sia successo; molto più prosaicamente ardono dal desiderio di decostruire la carnografia, la sala piena di studenti trasformata in surrogato di poligono, le urla, le recriminazioni, la pietà chiesta e non accordata.
Bullismo. Frustrazioni sociali o esistenziali. Nulla importa più quando i colpi prendono a disegnare traiettorie di morte in quel silenzio accademico, quando aprono gigli di sangue sulle carni di ragazze e di ragazzi, la neve fuori continua a fioccare mentre dentro è il piombo a scendere copioso. Sinistre visioni di un inferno medievale, tavole di un Dorè educato da Commando e da altre tonnellate di action-movies, oh si che splendore di decomposizione cerebrale in quegli istanti di rapida fuga, di occhiate impaurite, quando gli occhi si velano di pianto e si tenta, con l’istinto di autoconservazione elevato all’ennesimo grado, di farsi scudo con il cadavere crivellato del proprio migliore amico o della propria ragazza.
Due pistole ed un fucile, con scientifica metodologia il carnefice comparso dal gelo prende la mira, spara, continua a prendere la mira, seleziona le vittime, uccide, ferisce, solo se ne ha davvero bisogno ricarica; il panico degli altri è la sua più vera corazza, perché nessuno pensa di andargli incontro e di fermarlo, nemmeno quando lui si ferma pensieroso e soddisfatto a ricaricare. Non esistono più eroi, non ci sono i futuri Obama o i marines che se ne andranno in Irak per insegnare un po’ di civiltà, le magliette di Nelson Mandela o di Al Gore i pensieri di solidarietà universale e di aiuto globale finiscono scaricati dritti nel cesso, ed ogni colpo, ogni pallottola, diventa la cartina di tornasole dell’ipocrisia.
Nessuno aiuta nessuno.
Tutti calpestano tutti.
Ogni vincolo affettivo, di autorità, di amicizia è distrutto e fatto a pezzi; professori e assistenti vengono travolti dall’orda impazzita di studenti, ragazze vengono gettate a terra e usate come tappetini, si bada solo a guadagnare nel più rapido tempo possibile l’uscita, una qualunque uscita che adesso sembra irreale e distante come un’oasi nel deserto di ghiaccio.
Difficilmente sapremo se l’assassino ha scelto la data simbolo di San Valentino per mettere in atto i suoi proposito di sfoltimento del genere umano, ed in fondo importa poco; importa solo a qualche obeso presentatore tv che grazie a lui avrà risolto i problemi di palinsesto per le prossime quattro settimane. Sfortunatamente per i giornalisti, la cronaca nera non è come il vino e con l’andare del tempo perde di valore. La gente vuole storie nuove, morti fresche e dolorose interviste direttamente dal campo di battaglia, un po’ come la miriade di nuove starlette che si affacciano nel mondo del porno, destinate ad effimera vita di crisalide spermatica.
San Valentino è una giornata del cazzo. Lo aveva capito per primo Al Capone, e solo lui oggettivamente riuscì nella titanica impresa di renderla più interessante del solito, con quel rendez-vous di corpi crivellati e morbido abbraccio di sangue e piombo che ancora oggi incute un certo rispetto. Coppie cinguettanti di amore, tubanti come nella più disgustosa delle raffigurazioni plastiche da spot tv, rituali di ipocrisia consumati sotto l’occhio vigile del killer.
Mettiamola così; esistono buone possibilità che quegli stessi innamorati che si erano in mattinata scambiati languide effusioni e promesse di amore eterno, si siano poi liquefatti e calpestati a vicenda sotto la spinta propulsiva dell’acciaio a canne mozze. Curioso destino quello di chi si umetta le labbra gorgogliano nemmeno fosse un mantra il termine amore, reiterandolo nel tentativo di autoconvinzione, per poi vedersi ogni singola parola ficcata in gola a viva forza da un pazzoide emerso letteralmente dal nulla.
Mi piace pensare che da qualche parte in questo nostro povero mondo del cazzo un emulo di Al Gore o di Bono Vox stesse pontificando con tono vaticinante della necessità di aiutare economicamente il Terzo Mondo o di combattere il surriscaldamento atmosferico, che fosse intento come un Testimone di Geova dell’impegno sociale a convincere platee oceaniche di quanto gretto ed insensibile sia il mondo occidentale, e mentre il demente troneggia sull’auditorium e parla parla parla demagogico come pochi ecco che a milioni di chilometri di distanza un rispettabile killer entra in azione e sventra la cappa di ipocrisia.
Che la pace sia con voi. Bang, bang, bang. Catena di montaggio della morte post-industriale, un colpo un morto o un colpo un ferito; ormai la potenza delle moderne armi da fuoco rende cecchino specializzato persino un qualche tordo miope bullizzato fino al giorno prima. E spara, colpisce, uccide, punta, mira, tace in rispettoso silenzio di modo che unica colonna sonora siano i singhiozzi, gli scoppi sordi, le grida di panico e aiuto.
Dove è adesso la carità invocata da Bono Vox per i popoli africani?
Dove sono i concerti Live Aid e il loro disgustoso e zuccheroso carrozzone di buoni sentimenti?
Dove è il grigio travet ex vicepresidente USA Al Gore, riciclato paladino della causa ambientalista?
Si staranno interrogando su queste crudeli notizie, certi che sia il ventre molle e pingue, troppo pasciuto, della società occidentale il mandante della strage; e mentre loro perdono tempo a pensare, o a farsi dire cosa pensare da ben pagati ghost-writers, il nostro eroe del giorno continua la sua opera incessante di pulizia metropolitana
Le mura dell’aula sono tinte di rosso e sforacchiate, come un arazzo di Bayeux fuori tempo massimo. A terra giacciono corpi mutilati dalla furia omicida, bocche ansimano cercando di inalare l’ultimo soffio di aria, i feriti si trascinano faticosamente sulle braccia, lasciandosi dietro una ingloriosa scia di lumaca, campioni di atletica e di football, persone coi fisici asciutti, orgoglio del campus e delle ragazze che possono assaggiarli, adesso piagnucolano invocando il nome della madre e nascondendosi dietro le cataste di cadaveri.
La fuga è il momento della verità; non conta l’allenamento, la forza, la sagacia, conta solo il sangue freddo, glaciale, che riesce a farti capire e prevedere le mosse dell’assassino. L’umanista, l’intellettuale che coltiva illusioni di amore fraterno, rimarrà cristallizzato al suo posto e guarderà fisso il killer, incapacitato a capire per quale motivo un essere umano stia mettendo in atto quello scellerato piano; vorrebbe davvero sapere, capire, chiedere, parlare all’assassino e dirgli di riflettere, ma fortunatamente per noi spettatori le sue ecumeniche stronzate vengono spazzate via da un proiettile calibro 22 che gli conficca nel cranio.
Buon San Valentino, teste di cazzo.
Solo quando il killer si reputa soddisfatto, mentre fuori ruggiscono le pattuglie della polizia, le ambulanze affollano il piazzale di ingresso del Campus, genitori affranti e giornalisti in erezione perenne si danno il cambio nel turbinio dei sentimenti, l’assassino percepisce nitidamente di aver esaurito la sua funzione, rivolge un silenzioso grazie alla NRA e rivolge la canna del fucile contro di sé.
Un ultimo colpo.
E quando lo sentono, echeggiato dalle aule ormai deserte, poliziotti, paramedici, giornalisti, genitori, curiosi, studenti scampati alla strage, rimangono impietriti. Muoiono i rumori.
Dentro, il caldo confortante della morte.
Fuori, solo ghiaccio e silenzio.

martedì 12 febbraio 2008

Dalla Lista di Schindler alla Lista Nera






Black List. Specificamente in inglese, tanto per rendere meglio il senso criptico ed impenetrabile dell'orrore, di un comportamento che assomma il disprezzo dell'uguaglianza, dell'amore per il prossimo ed un gretto razzismo nero come il motore invisibile dell'odio.
Viene da immaginare fauci (anch'esse rigorosamente nere) spalancate ad ingoiare nel vortice del nichilismo l'umanità tutta, pile di cadaveri emaciati, stelle di David appuntate sulle carni straziate, la fornace rossa e baluginante del cielo d'inferno che si schiudeva sopra i campi di morte...ed in effetti non le abbiamo dovute immaginare queste visioni, questi insondabili recessi di abominio (meta)storico perchè ci sono stati frullati davanti agli occhi tutti i giorni da quando qualcuno ha rinvenuto online una Black List con nomi di docenti ebrei. Orrore, appunto.
L'ululato della disperazione si è steso come un tetro sudario, a ricordarci miserie e dolori del passato e a pochi giorni dalla Giornata della Memoria ecco tornare di nuovo Dachau, Ravensbruck, Dora, Buchenwald, pagine di una sofferenza ormai divenuta metafisica dell'odio; ad evocare letteralmente questo ritorno, quella lista contenente in apparenza 162 nomi di docenti ebrei.
Intollerabile. Esecrando. Mostruoso. Il Ministro degli Interni Amato immediatamente promette che verità sarà fatta e che il responsabile sarà assicurato alla giustizia, la comunità ebraica tuona contro il risorgente antisemitismo e paventa cause risarcitorie contro l'estensore della immonda lista, l'intero mondo politico costernato invita a reagire a queste provocazioni. Il Ministro dell'Università Mussi dichiara che chi ha stilato quella infame lista è degno erede di Eichmann...
Impegnativo essere definiti erede di chi ebbe a dire di voler seguire nella fossa con una risata i 5 milioni di ebrei che aveva liquidato.
E chi sarà mai questo mancato carnefice avvinto dalla immessione online dei dati privati altrui ?
Ma soprattutto da cosa origina questa lista di docenti ebrei accusati dall'omonimo blogger, Re Shaulos II, di fare proselitismo e lobbying filosionista?
Sarà il caso di ricordare a chi sembra sempre così solerte al fattore Memoria di un certo appello contro l'antisemitismo apparso sul Corriere della Sera del 14 maggio 2005 p. 6, sollecitato e redatto da LUZZATTO AMOS , Presidente Unione delle Comunità ebraiche italiane (UCEI) e da MEGHNAGI DAVID , docente presso l'Università Roma Tre, Full Member International Psychoanalytical Association (IPA) e siglato da vari intellettuali, docenti universitari; appello pubblico, apparso su quotidiano di vastissima diffusione, in concomitanza con un evento preciso che, per citare letteralmente dall'appello/petizione, "Denunciamo il grave episodio di boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane, promosso da un’associazione accademica britannica, l’ultimo di una serie di episodi intolleranza in diversi atenei europei".
Quella della minacciata rottura delle relazioni inter-universitarie tra Atenei europei e quelli israeliani è una questione spinosa emersa negli anni passati e che ha riguardato anche la nostra Cà Foscari di Venezia; questioni squisitamente politiche (l'Accademia Britannica e la Cà Foscari protestavano contro il massacro dei palestinesi scientificamente attuato da Israele e contro le drammatiche condizioni di apartheid in cui versano i palestinesi stessi) che nulla hanno naturalmente a che vedere con l'antisemitismo. Nonostante nel loro appello tanto Luzzatto quanto Meghnagi si siano dottamente e diffusamente soffermati sulla spiegazione delle radici culturali dell'antisemitismo, paventano nuovamente il quadro di una Europa sul baratro del rientrante Reich hitleriano.
Il problema principale è che tanto gli estensori quanto gli aderenti (non tutti ebrei, vi figura persino un islamico, il deputato della Margherita e docente universitario Khaled Fouam Allam...) di questo appello hanno acconsentito che i loro nomi venissero pubblicati sul quotidiano milanese e che di conseguenza divenissero di pubblico dominio. La lista, in poche parole, se la sono scritta da soli...
Avvezzi al detto "cantarsela e suonarsela da soli", l'hanno fatta riemergere dall'insondabile ventre del Web in questa delicata congiuntura politica (e non mi riferisco alle elezioni).
Conoscete la Fiera del Libro di Torino ? E' una delle più importanti fiere librarie d'Europa, ospita dibattiti, stand, presentazioni di libri, e ogni anno elegge un Paese del Mondo ad ospite d'onore. Questo sarebbe stato l'anno dell'Egitto, ma sfortunatamente per i ragazzi delle Piramidi il 2008 è l'anno che coincide con il quarantennale del riconoscimento internazionale (nemmeno operato da tutta la comunità internazionale, si aggiunga) di Israele...e allora alla Fiera di Torino hanno pensato bene di cassare l'Egitto e di immettere più o meno surrettiziamente Israele.
E' un vero peccato che questo cambio di programma, repentino e discutibile, non sia andato giù a tutti e che decine di intellettuali, arabi ma non solo (si segnala la dura lettera di Vattimo apparsa pochi giorni fa su La Stampa), abbiano proposto un boicottaggio della Fiera stessa. Surge Carnifex! a questo punto, detti intellettuali sono stati additati alla pubblica gogna e tacciati, in alcuni casi velatamente in altri esplicitamente, di ANTISEMITISMO.
E in questo clima arroventato salta fuori la Black List, che in realtà esiste e circola da 3 anni e che non è nemmeno una lista ma un pubblico appello. L'anonimo blogger l'ha copiata, ne ha estrapolato i nomi e li ha presentati come docenti ed intellettuali che operano lobbismo filo-israeliano. Ha sbagliato nel dire che si tratta di docenti ebrei, alcuni infatti come già visto e detto non lo sono; ma non ha sbagliato nell'affermare che svolgono comunque una attività filosionista. D'altronde quell'appello firmato risponde in toni apocalittici e polemici ad una questione, il boicottaggio delle Università israeliane, che è questione politica, paventando il solito spauracchio del razzismo e dell'antisemitismo; ma il boicottaggio non era stato proposto contro l'ebraismo, ma contro Israele e per motivazioni ben precise. Ma evidentemente qualcuno ha frainteso (o voluto fraintendere...).
Giorni e giorni a sorbirci il solito pistolotto, ovviamente coi politici in testa a questa poco edificante canea, per scoprire che se la cantano e se la suonano da soli...ah, che bellezza.

sabato 2 febbraio 2008

Il Ragno Rosso


Quelli come me non si ispirano ai film, sono i film che si ispirano a quelli come me

David Harker, assassino cannibale, rispondendo alla domanda se fosse stato ispirato dal film Il Silenzio degli Innocenti

Nessuno può negare che i serial killer siano tra tutte le varie tipologie di delinquenti quelli più fantasiosi; generalmente il crimine viene percepito coma una scorciatoia verso una vita più agevole e semplificata, o come una alternativa al lavoro, ne diventa evidente la morfologia economicistica devoluta ad un insieme di pratiche routinarie che esattamente come un qualunque lavoro ordinario e rispettabile forniscono un salario, mentre invece l’omicidio seriale essendo legato alla soddisfazione di impulsi primari a base sessuale si situa totalmente fuori da questa prospettiva.
E non fatevi ingannare dal termine “modus operandi”, non è routine, non è la ruota di un ingranaggio di morte, e forse non è nemmeno una firma in senso di delimitazione del territorio, ma solo un esercizio di praticità che in alcune condizioni può essere mutato. D’altronde esistono e sono esistiti alcuni killer capaci di mutare modo di uccisione, persino target di vittime, e via dicendo, divenendo imprevedibili e affinando con il tempo le loro arti omicidiarie.
Il giovane polacco Lucian Staniak amava invece la routine omicidiaria, e si curava che ogni suo omicidio somigliasse al precedente; c’è un solo particolare però che rende così peculiare la sua figura. Agiva nella Polonia degli anni sessanta.
Un periodo in cui perfino negli Stati Uniti si ignorava il concetto criminologico di assassino seriale, il termine doveva ancora essere coniato e l’FBI era lungi dal creare speciali squadre che si occupassero delle analisi comportamentali e delle indoli devianti; figuriamoci oltre la Cortina di Ferro, nel paradiso socialista.
Ma Staniak era un tipo particolare anche per altre sue caratteristiche; in primo luogo era un poeta ed un artista, ed anzi unì queste due sue passioni redigendo meticolosamente i biglietti di rivendicazione dei suoi atroci crimini usando della tempera diluita di color rosso. In stile Jack lo Squartatore erano le sue poetiche elucubrazioni inviate alle autorità, e in stile Jack lo Squartatore erano pure i suoi delitti.
“Non c’è felicità senza lacrime, non c’è morte senza vita. Attenti! Vi farò piangere”, non oso immaginare la faccia del redattore che si trovò a leggere questa lettera, alla vigilia della festa nazionale polacca. Non sapeva ovviamente come avrebbe dovuto interpretarla; minaccia di un terrorista, pazzo esibizionista, scherzo di cattivo gusto?
Quando il giorno successivo fu trovato in un parco pubblico il corpo nudo ed eviscerato di una diciassettenne, quella lettera assunse un valore del tutto differente, anche se Staniak non mancò di far pervenire un nuovo messaggio che a scanso di equivoci chiarificava le sue responsabilità.
“Ho raccolto un fiore succoso a Olsztyn e farò lo stesso da un’altra parte, perché non c’è vacanza senza funerale”.
La grafia, incerta ed in colore rosso, fu confrontata con quella della prima lettera e si scoprì che a scrivere entrambi i bigliettini era stata la stessa mano. Le autorità a questo punto si allarmarono, perché non erano evidentemente pronte a livello metodologico ed operativo per far fronte ad una emergenza del genere; non si trattava di un crimine insurrezionale, lato sensu politico, né di un delitto comune dettato da un qualche movente che potesse essere ricostruito ed investigato. Si trattava invece di una feroce e cieca esplosione di furia omicida dettata in apparenza da uno straniato senso del piacere. La scienza criminologica dell’epoca, e quella comunista in genere, non si dimostrava molto propensa, anche per fraintesa pruderie, ad accettare l’idea che una persona potesse sublimare impulsi affini alla sessualità attraverso l’omicidio; non si dimentichi che gran parte delle analisi di delitti sessuali condotte da psichiatri della fine dell’ottocento e degli inizi del 1900 erano state bandite in tutti i principali paesi totalitari, e l’assassino sessuale stesso liquidato come perverso frutto della malata società borghese..
Sei mesi dopo il ritrovamento del cadavere nel parco pubblico, Staniak tenne fede alle sue promesse e macellò una ragazzina di sedici anni che tornava a casa da una manifestazione studentesca, la violentò ripetutamente, la picchiò ed infine la strangolò con del filo di ferro che le tranciò la gola e finì quasi per decapitarla.
Ormai in preda a raptus in accelerazione, Staniak si dedicò alacremente alla pittura, recandosi sistematicamente presso l’Accademia di pittura della città in cui viveva; tentava sfogando le sue pulsioni artistiche di tenere a bada l’istinto omicida, ben sapendo che se avesse colpito a distanza troppo ravvicinata sarebbe divenuto identificabile. Fu così che si trascinò fino al 1 novembre, festa di Ognissanti, ed in questa occasione mise a segno uno dei suoi crimini più brutali ed efferati, uccidendo (o meglio; martoriando) una giovane donna a colpi di cacciavite ed inserendole nella vagina, nel pieno dell’agonia, un tubo metallico che le aveva slabbrato le grandi labbra e lacerato il clitoride ed i tessuti interni. Per celebrare degnamente quell’exploit, Staniak inviò una nuova missiva ai giornali.
“Solo le lacrime di dolore possono lavare la macchia della vergogna; solo i morsi della sofferenza possono estinguere le fiamme della lussuria”.
Dopo sei mesi, nella ricorrenza del Primo Maggio, festa dei lavoratori e come tale particolarmente sentita in un paesa di comunista di lunga tradizione operaia come la polonia, Staniak mise in atto il suo delitto più raccapricciante; violentò e massacrò una diciassettenne nei sobborghi di Varsavia. Non pago dell’aver martirizzato il cadavere con un coltello affilato, apriì la cassa toracica della vittima e si mise a trafficare con gli intestini, srotolandoli come fossero festoni putrescenti e li attorcigliò sulle gambe nude della ragazza.
La scena che si presentò agli occhi dei poliziotti intervenuti fu sconvolgente.
A questo punto la psicosi era dilagata. Ed i giornali, in forza delle rivendicazioni sistematicamente mandate loro da Staniak, lo soprannominarono Ragno Rosso, proprio perché si firmava sempre con quella vernice diluita di colore rosso. Il primo serio errore, l’assassino lo commise alcuni mesi dopo, alla Vigilia di Natale, quando dopo aver orrendamente ucciso un’altra diciassettenne su un vagone del treno non perse tempo e infilò nella casella postale del vagone stesso la sua lettera di trionfo. Ma i poliziotti questa volta, scoprirono quasi subito che la sorella della vittima, una quattordicenne, aveva subito lo stesso destino due anni prima, sempre per mano del Ragno Rosso; era evidente quindi che entrambe conoscessero il loro carnefice. I problemi di Staniak non finivano però qui; tutte e due le sorelle erano state modelle presso un’accademia pittorica di Cracovia, e gli investigatori avevano accertato che le lettere di rivendicazione erano vergate con una vernice diluita particolarmente utilizzata dai pittori.
Intanto, nei mesi precedenti, erano stati raccolti alcuni indizi che collegavano l’assassino alla città di Katowice. Fu così che la polizia decise di analizzare il registro dei soci dell’accademia dei pittori di Cracovia per vedere quanti di loro fossero originari di Katowice; con loro sorpresa scoprirono che ce n’era uno solo, tale Lucian Staniak. Perquisirono il suo armadietto e trovarono colori rossi e un abbozzo di dipinto che mostrava una donna eviscerata dal cui ventre spuntavano fiori.
Prima che potessero mettergli le mani addosso però Staniak fece in tempo a consumare un ultimo omicidio, ai danni di una studentessa di diciassette anni.
Catturato, venne rapidamente processato ed internato per il resto dei suoi giorni in un manicomio criminale.

venerdì 1 febbraio 2008

Hitler è un problema metafisico ?


Da poche settimane è uscito per Mondadori l'ennesimo libro che reca sulla copertina il nome di Hitler, questa volta a cimentarsi con l'argomento è Giuseppe Genna. Romanzo - ci informa la dicitura posta immediatamente sopra il marmoreo e funereo volto di Hitler, "romanzo metafisico" si premura di aggiungere l'autore nelle interviste sin qui rilasciate.
Termine pretenzioso, metafisica. Anzi, Metafisica perchè nel suo senso filosofico puro è ricerca metodologica dell'Assoluto, quella branca di indagine del sapere che fluisce come un fiume di dicotomie imponendo che si usino molte molte maiuscole; e così via nel florilegio di un male, genericamente indeterminato, ed il Male, titanico, sinistro, fiammeggiante, una memoria e la Memoria. Ignoro, devo essere sincero, quanti siano stati sino ad oggi gli scrittori e gli storici che hanno apposto sul frontespizio dei loro libri quel geroglifico satanico che il nome di Hitler rappresenta. Forma di meta-esorcismo artaudiano, io credo; perchè non vorrei dover pensare a mera mossa pubblicità: no, direi di no, la metafisica (anzi, la Metafisica visto che qui parliamo della incarnazione più cogente del male, anzi del Male) mal si coniuga con le strategie di marketing. O no?
Ho fatto un favore a Genna, anche se non se li merita i miei favori. Mi sta antipatico. Non ho remore a dirlo. Chi viene da un dignitoso passato di cronista e commentatore di cultura di destra (scritti su Drieu La Rochelle, ad esempio, in termini positivi) e poi si ricicla, pubblicato da Mondadori, nel ruolo di coscienza politicamente corretta, arrivando alla pretenziosità di voler decostruire una Metafisica sussunta nel nome del Fuhrer più che di persona in corso di maturazione di idee e prospettiva mi sa di opportunista. Dicevo del mio favore; è molto semplice, e sta racchiuso in quel punto interrogativo che invece Genna vedrebbe come fumo agli occhi. Certo, perchè lui invece è per il lapidario assertivo; problema metafisico, punto (se non addirittura punto esclamativo). Hitler è il Male, è la non-persona, è quella figura sadicamente troneggiante sugli orrori della Storia (e verosimilmente della meta-storia) che richiama tanto la descrizione che di Sade ci forniva Swinburne, e che credo di aver richiamato in qualche post più sotto. E pure altra coincidenza, Hitler finisce proprio sopra Gilles de Rais, ce ne sarebbe di che crogiolarsi sull'immaginaria amaca dell'amore universale.
Ma io quel punto interrogativo l'ho dovuto mettere. Questione deontica, assolutamente. Perchè innanzitutto di quale metafisica (anzi, Metafisica) sta parlando Genna? Quella originaria e primeva alla Platone, o quella di Schopenauer o di Klages o di Baader ? Di cosa stiamo parlando ? Di una Metafisica come ricerca dei fini ultimi o di una prevalenza dello psichico sul fisico, per dirla in chiari termini weiningeriani ?
No perchè il romanzo, lungi dall'essere metafisico, parte subito chiamando in causa il povero Lupo Fenrir, sublimato nella forma di visione ed apparso al sognante giovanissimo (sette anni) Adolf Hitler, che tornato poi a casa in ritardo viene cinghiato dal dispotico padre in una edizione antesignana della cinghiamattanza. Pensate, il padre non accoglie come giustificazione quella del mitologico Lupo, probabilmente nemmeno lo Stormo Tempestoso sarebbe stato giustificazione degna; tempi grami quelli per gli studenti, se nemmeno le fauci assolute di una divinità potevano evitare le striature a sangue sul culo.
Un vero dramma che uno parta da ambizioni metafisiche e poi si trovi davanti un quadro di abuso familiare che sembra uscire fuori dai vaneggiamenti orgonico-reichiani di fascismo come necrosi della pulsione sessuale. Non da meno gli exergo che Genna appone come sigillo (o epitaffio?) all'inizio del suo opus; uno, prevedibile, è di Primo Levi. L'altro è del regista Lanzmann. Quello che ritengo maggiormente significativo lo riporto integralmente :
È fatto divieto agli ebrei di concedere a Hitler vittorie postume
614ma norma del canone ebraico istituita da Emil Fackenheim, in La presenza di Dio nella storia.
Genna, qui sì preso da puro afflato metafisico (mi perdonerà se non lo metto maiuscolo, ma è un aggettivo e persino l'indagine filosofica si deve arrestare davanti alle regole grammaticali...escluso Heidegger, ovvio), si indigna e si oltraggia perennemente ogni volta che gli si adombra la possibilità di una banalizzazione di questo Male che va sotto il nome e le sembianze di Adolf Hitler. Ogni scivolamento verso la descrizione di un Hitler umano diventa "postuma vittoria". Rabbia rossa per l'idea dell'Hitler malato, e quindi fondamentalmente umano, mostrato nel film La Caduta. Satana-Hitler è un paradigma, e come tutti i paradigmi ha sempre una salute di ferro.
Devo ammetterlo; anche io sono ben contrario alla banalizzazione della figura di Hitler, ma per motivi che immagino farebbero cadere a Genna tutti i capelli e i denti. Sono talmente contrario alla banalizzazione, alla volgarizzazione, di questa figura da aborrire (mi perdonerete il mughinismo) i libri che esibiscono tronfi il suo nome in copertina. Li trovo pretenziosi, e noiosi. Peggio di quei gialli in cui l'assassino è il maggiordomo. Anche qui sai sempre cosa aspettarti; lunge e dettagliate descrizioni di un cielo d'inferno, tra cataste di cadaveri, campi di morte e goticismi poco lirici ma molto pornografici. In aggiunta alla consueta frustrazione del piccolo Hitler imbianchino, economicamente spiantato.
Mantenere la memoria (anzi, no; la Memoria) come esercizio letterario? Come missione religiosa ? Non so, a volte credo che Norman Finkelstein avesse perfettamente ragione; ormai Olocausto e Nazismo (tutti e due rigorosamente maiuscoli...) sono divenuti oggetti tipici di campagne di marketing e di merceologia, una sorta di feticismo lucroso che produce campi di sterminio su celluloide come fossero dei Jurassic Park seriali. Oppure mi sovvengono alla memoria le pagine scritte da Raymond Federman nell'antologia Schegge d'America. Il fatto che tanto Federman quanto Finkelstein siano ebrei dovrebbe far riflettere Genna.
Sì, perchè se lui si indigna tanto per la mancanza di afflato metafisico nella ricerca su Hitler, storiografica o narrativa, altri invece si indignano per la strumentalizzazione meramente commerciale di quello specifico evento. Davvero una sconfitta, e Genna lo ammetterà, dover constatare che Hitler vende bene...