venerdì 21 dicembre 2007

Il Pornografo di Garlasco




PAVIA (21 dicembre) - Si aggrava la posizione di Alberto Stasi. Il fidanzato di Chiara Poggi, uccisa ad agosto nella sua villetta di Garlasco, unico indagato per l'omicidio, è stato nuovamente interrogato dal pm Rosa Muscio alla presenza dei suoi legali. Nel pc del ragazzo infatti sono state trovate foto e filmini pedopornografici. Secondo l'accusa il giovane avrebbe divulgato via internet minorenni nudi o intenti in atti sessuali. Il giovane ora è indagato per i reati di detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico, ma davanti al pubblico ministero ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere.
L'accusa Restano chiusi nel loro silenzio sia gli avvocati di Alberto Stasi, sia la famiglia. Secondo le nuove accuse Alberto avrebbe scaricato attraverso il software «e-mule», «divulgandoli» due foto e un video che ritraevano «minori di anni 18, con gli organi genitali in vista e in atti sessuali con altri minori e/o adulti». Nel suo pc Compaq e sull'hard disk di interfaccia Usb, Alberto avrebbe conservato altre 13 immagini e nove filmati di ragazzini. Il movente del delitto Secondo gli investigatori, non è escluso che il contenuto inedito del computer, rintracciato dai Ris di Parma grazie alle analisi informatiche, possa rappresentare il movente del delitto di Chiara. La ragazza, infatti, potrebbe aver scoperto quelle foto sul pc del fidanzato: ne sarebbero nate fortissime tensioni, e la ragazza potrebbe aver minacciato di denunciare Alberto.


Il problema principale dei giornalisti è che assai spesso finiscono con il credere a quello che scrivono; l'appeal commerciale del fattaccio di Garlasco, diciamolo chiaramente, è sempre stato piuttosto basso visto che la vicenda si è trasformata dopo poco tempo in un clamoroso vicolo cieco investigativo.
Anche il quoziente di spendibilità dei particolari truculenti e/o sessuali è piuttosto basso, una brava ragazza di provincia massacrata nella sua villetta, la sonnolenta e grigia topografia del Nord industrializzato, un sospettato con faccia d'angelo e studi bocconiani alle spalle. Nemmeno l'intervento a gamba tesa delle gemelle Cappa, con i loro patetici fotomontaggi e le stampelle e i volti da modelle lampadate anoressiche, e l'entrata on stage di Corona hanno rivitalizzato il tutto. D'altronde una Nazione che si nutre di bambini frantumati, rapiti, violentati, vallette, tette esibite a tradimento, Cogne, Tommy, Rignano Flaminio, Erba, tronisti e criminali fusi assieme nel regno catodico pretende sempre il meglio. Ecco allora, dopo che in questi giorni persino la morte di Meredith a Perugia iniziava a segnare il passo e a provocare i primi sonori sbadigli, Alberto Stasi indagato per il reato più turpe che vi sia in circolazione; detenzione di materiale pedopornografica.
Stipati sul suo pc, vi sarebbero stati vari files pornografici con soggetti minorenni; curioso ovviamente che lo Stasi abbia basato gran parte della sua tesi difensiva proprio sul pc, sul fatto cioè che sarebbe rimasto a casa a lavorare alla sua tesi battendola sul portatile mentre Chiara veniva uccisa e poi si sia dimenticato che in quel pc vi erano varie foto "compromettenti". Strano davvero, avrebbe dovuto immaginarlo che la polizia lo avrebbe passato a setaccio in ogni modo possibile. E allora o lui è molto molto stupido oppure polizia e giornalisti ci stanno per regalare la nuova chicca destinata poi a cadere nel vuoto...

Carl Larsson - L'anima nordica




Cantore della natura, della patria, della tradizione contadina dunque pagana, Carl Larsson fu probabilmente il pittore più popolare della Svezia. Raramente un artista è riuscito a descrivere così fedelmente l’anima di un popolo. Per tutte queste ragioni vogliamo rendergli omaggio con questo scritto sperando di renderlo più popolare al pubblico italiano che non lo conosce. Carl Larsson nacque a Stoccolma il 28 maggio 1853. Di umili origini, cresce nei quartieri bassi i più poveri e malfamati della città. Fu ammesso a 13 anni ad un corso preparatorio all’Accademia delle Belle Arti a cui s’iscrisse tre anni più tardi. I suoi disegni di studente lo portano ad essere assunto come illustratore di Kasper, il più importante giornale satirico svedese. Diventa disegnatore reporter itinerante in Svezia e col suo guadagno mantiene la famiglia. Nel 1877 si installa a Parigi lasciando un salario sicuro e soddisfacente per dedicarsi completamente alla pittura, alternando i soggiorni presso la colonia degli artisti svedesi di Parigi ai reportages disegnati in Svezia. Prova a cimentarsi con l’arte decorativa, realizzando la su prima pittura murale, le illustrazioni per libri, specialmente quelli dei racconti di Andersen. Difficoltà economiche lo portano a Grez en Seine-et-Marne, villaggio rifugio degli artisti. Lì incontra Karin Bergöö, con cui si sposerà ed avrà sei figli. L’arte di Larsson si trasforma: "Improvvisamente tolsi le scaglie che mi avevano coperto gli occhi, un'atmosfera si era rotta. Io vedevo per la prima volta la natura. Ero stato nelle bizzarrie della lordura e l’acqua mi estraniava scombinando le idee. Quelle restavano. Non avevo aperto le mie braccia alla natura, ma semplicemente era entrata. La terra calda, la terra che genera sarà ormai l’oggetto della mia pittura".

Questo fu per Carl Larsson il suo primo periodo di successo. La sua arte rispondeva all’ideale artistico dell’epoca, che acclamava questa pittura che respirava la gran salute e la bellezza della natura. Quello che caratterizza la "pittura di plein air" è l’armonia tra l’uomo e la natura. I motivi folkloristici sono onnipresenti nella sua pittura, che cercava di ritrarre i contadini nel loro ambiente naturale. Il suo successo al salone di Parigi e le vendite di opere allo stato francese e a quello svedese migliorano la sua situazione finanziaria, ed egli decide nel 1885 di far ritorno al paese natale per scoprire e dipingere la natura svedese. Ma dopo qualche tempo sceglie altre fonti di ispirazione: la pittura monumentale e le immagini d’interni familiari. Contemporaneamente si impegna fortemente nella rivolta contro gli insegnamenti dell’Accademia delle Belle Arti e la politica delle acquisizioni di stato. I giovani artisti svedesi in rivolta organizzano le loro esposizioni e formano un sindacato, l’Associazione degli artisti, sul modello dei sindacati socialisti. Larsson lascerà l’organizzazione nel 1891 per protestare contro la sua politicizzazione: "questo stato di sciopero generale ha dato un bel colpo al mio vecchio liberalismo. Io credo ormai che i grandi ed i potenti debbano restare al di sopra, in una frase, credo che la forza superi il diritto! (...) Il dispotismo illuminato, questo è, in questo momento, il mio ideale politico.-

Un concorso per una pittura murale fu bandito dal museo Nazionale di Stoccolma per affrescare otto ali di muro. Larsson sottopose ripetutamente alla commissione i suoi lavori di carattere storico ma la decisione non veniva presa. Si occupò della decorazione del nuovo liceo femminile di Göteborg scegliendo come tema "a donna svedese nel corso dei secoli" (13 composizioni imponenti istoriate di ricchi ornamenti). Trasferendosi a Sundborn, vicino a Falun, nella provincia di Dalarna, Larsson cerca di creare un’arte specificamente svedese, fatta di una pittura più aspra, talvolta anche più brutale. Si immerge nella foresta della Dalarna per ricercare i motivi più primitivi. Voleva riformare i gusti dei suoi contemporanei mostrando loro la cultura contadina; era per lui dovere dell’artista quello di esprimere la gioia che gli procuravano i paesaggi, le feste, gli artigiani e i costumi svedesi. Il contadino è per lui un simbolo nazionale: "Quando il paese è in pericolo, è sempre presente per la sua difesa. Con quello che produce e con il suo sangue!". Ma questa tendenza doveva presto sfumare sotto l’influenza sempre maggiore delle sue riflessioni sulla pittura monumentale e del suo lavoro di illustratore. Con lo sviluppo della riproduzione a colori egli aveva la possibilità di raggiungere un pubblico più sempre più ampio. Una serie d’acquarelli accompagna i suoi scritti apparsi nel 1894 col titolo di La nostra casa. Sosteneva a suo modo di dipingere una specie di "documento familiare da trasmettere ai futuri capi famiglia": "(...) Io immagino di aver fatto tutto con molto buon senso che credo possa servire da modello. Un modello chiaro, tipicamente scandinavo, l’opposto della standardizzazione tetra e senza stile che inizia a corrompere i focolari domestici svedesi alla fine del XIX secolo". Larsson detestava ora l’immagine di Parigi, che simboleggiava per lui tutto quello che si doveva bandire. Riscopriva sempre più i legami che lo univano alla tradizione svedese ed alle proprie origini contadine. Acquista una fattoria e, nel 1903, per il suo cinquantesimo compleanno, viene festeggiato calorosamente da tutti. La sua carriera è all’apogeo. Poi la sorte sarà meno felice. Ulf, il figlio primogenito, muore due anni più tardi. Il suo vecchio amico August Strindberg lo attacca pubblicamente in modo ignobile. Il morale di Larsson ne risente. Nel suo nuovo scritto La casa del sole sorprende per il contrasto tra i suoi dipinti di un’infanzia spensierata, le immagini solari di Sundborn e la sua prefazione disperata.Una pittura monumentale Dopo qualche insuccesso Larsson riesce, nel 1908, a rendere concreto un suo vecchio sogno: realizzare gli affreschi interni del famoso Museo Nazionale di Stoccolma. L’entrata di Gustav Vasa a Stoccolma il giorno di San Giovanni del 1523 è una pittura murale monumentale, solare ed eroica, dalle linee chiare e limpide. Oltre a questo lavoro del vestibolo ovest restava un progetto da completare. Larsson invia al Museo uno schizzo con un motivo d’epoca pagana, Sacrificio del Solstizio d’inverno (Midvinterblot), che contrasta totalmente con l’immagine piena di gioia estiva del re trionfante. Egli lo spiega così: "Ecco il sacrificio di un re per il bene del suo popolo" (per ottenere un buon raccolto). Questo progetto viene fatto oggetto di critiche molto forti sia per il soggetto che per la forma. La commissione dichiara che Carl Larsson doveva terminare il lavoro ma che non si poteva accettare come soggetto il sacrificio benevolo di un re, evento non confermato da nessuna fonte storica. La Commissione propone che si dipinga una rappresentazione del Solstizio d’inverno senza questa componente macabra. Nel 1914 Larsson rifiuta e scrive al Ministro dell’Industria e a quello del Culto di non interessarsi alle decorazioni dei muri! A suo rischio e pericolo e senza l’appoggio di nessun mecenate dipinge lo stesso il Sacrificio del Solstizio d’inverno con le dimensioni di un murale (3,60 m. per 13.60 m.). Il dipinto fu appeso per prova nel 1915, ma la Commissione del museo rifiutò di acquistarlo, mantenendo la sua richiesta verso Larsson per un soggetto di decorazione meno sensazionale e, così si direbbe oggi, più politicamente corretto. Larsson non si degna nemmeno di rispondere. La polemica cresce ed arriva fino al governo tanto che Larsson declina definitivamente l’ordinazione nel 1916. L’inquietudine per il destino di questo dipinto avvelena i suoi ultimi anni. Infaticabilmente egli continua nonostante tutto a dipingere i suoi acquarelli domestici tanto amati dal pubblico. Nel 1910 aveva acquistato una piccola casa nella fattoria di Lövhult nel comune di Hammarby che era stata di proprietà dei suoi avi. La famiglia Larsson ritorna sulla terra dei suoi antenati, l’anello si chiude. Dipinge la chiesa e il cimitero del villaggio con un'opera intitolata Le tombe dei nostri avi. Durante i suoi ultimi anni dipinge soprattutto ritratti su commissione e scrive le sue memorie (che saranno pubblicate col titolo Jag (Io). All’inizi del gennaio del 1919 viene colpito da una leggera crisi apoplettica. Muore tra i suoi cari il 22 dello stesso mese.

La Morte nulla toglie





"Chi vuol aver un attimo solo la sua vita, essere un attimo solo persuaso di ciò che fa - deve impossessarsi del presente; vedere ogni presente come l'ultimo, come se fosse certa dopo la morte: e nell'oscurità crearsi da sé la vita. A chi ha la sua vita nel presente, la morte nulla toglie"
"Ognuno è il primo e l'ultimo, e non trova niente che sia fatto prima di lui, egli deve prendere su di sé la responsabilità della sua vita, che su altri non può ricadere"
"L'uomo nella via della persuasione mantiene in ogni punto l'equilibrio della sua persona; egli non si dibatte, non ha incertezze, stanchezze, se non teme mai il dolore ma ne ha preso onestamente la persona. Egli lo vive in ogni punto"
"Ogni suo attimo è un secolo della vita degli altri, - finché egli faccia di sé stesso fiamma e giunga a consistere nell'ultimo presente."
Carlo Michelstaedter


(pic by Sleep)

martedì 18 dicembre 2007

Pentii Linkola on the Jokela massacre, "too small"




JOKELA, FI (N3) -

After the Jokela High School massacre in Finland, where the 18-year-old student Pekka-Eric Auvinen killed eight and wounded ten people, radical ecophilosopher Pentti Linkola has gone out in public media to support Auvinen's motives and ideas.

Linkola comments to the Finnish newspaper Hufvudstadsbladet:- The massacre was too small. In the long run it doesn't help shooting some fellow students. What is needed is a larger movement to reduce the population. -

The statement has created wild debates in media around Auvinen's anti-humanistic views and the growing radicalism in how the West should deal with its environmental problems. While political celebrities such as Al Gore has suggested that the industrial countries must reduce the carbon oxide emissions and sell more "green" products to save our planet, people like Pentti Linkola believe the current climate changes are only a symptom of the real problem: overpopulation.

Linkola, during an attempt from Swedish newspaper Expressen to interview him, answers:- I don't think anyone will wake up to the real question of fact, despite all warnings about the climat change. -

Pentti Linkola calls himself an ecofascist and believes Western democracies have overindustrialized their natural land due to individualism and obsession with consumer products. He advocates mass genocide, war, famine and a strong dictatorship to keep the population under control.

domenica 16 dicembre 2007

L'amarezza; Cioran






Dio: una malattia dalla quale immaginiamo di essere stati curati perché nessuno ai nostri giorni ne rimane vittima.


Soltanto chi non ha approfondito nulla può avere delle convinzioni.


La conversazione è feconda soltanto fra spiriti dediti a consolidare le loro perplessità.


Colui che avendo frequentato gli uomini si fa ancora delle illusioni sul loro conto, dovrebbe essere condannato alla reincarnazione.


Un tempo, davanti a un morto, mi chiedevo: "A che gli è servito nascere?". Ora mi faccio la stessa domanda davanti a ogni vivo.


Il male, al contrario del bene, ha il duplice privilegio di essere affascinante e contagioso.


Quando si sa che ogni problema è un falso problema si è pericolosamente vicini alla salvezza.


La timidezza fonte inesauribile di disgrazie nella vita pratica, è la causa diretta, anzi unica, di ogni ricchezza interiore.


L'unico modo di conservare la propria solitudine è di offendere tutti; prima di tutti coloro che si ama.


Quando al risveglio , si ha la luna per traverso è inevitabile che si approdi a qualche atroce scoperta, anche solamente osservandosi.


Nei momenti critici una sigaretta porta più sollievo che i vangeli.


Tutto è nulla, anche la coscienza del nulla.


Ammettendo l'uomo, la natura ha commesso molto più di un errore di calcolo: un attentato a se stessa.


Talvolta si vorrebbe essere cannibali, non tanto per il piacere di divorare il tale o il talaltro, quanto per quello di vomitarlo.

In Solitudine, Silenzio e Tristezza; Gomez Davila






Nicolás Gómez Dávila nasce il 18 maggio 1913 in Colombia, a Cajicá, nel dipartimento di Cundinamarca, di cui è capoluogo la capitale dello Stato iberoamericano, Santa Fe de Bogotá, da una famiglia dell’alta società. Non si laurea e della sua formazione si possono considerare regolari solo gli studi, elementari e medi, compiuti privatamente durante una lunghissima permanenza in Francia, dai sei ai ventitrè anni.


Un ricco eremita in casa propria


La sua naturale avidità intellettuale si esprime nelle pratiche della lettura e della riflessione, confermate e trasformate — per così dire — da stile di vita in destino da un incidente occorsogli a cavallo, incidente che lo condiziona e contribuisce a relegarlo, dai primi anni 1960, in casa propria, «ubicata in un’affollata via di Bogotá, in mezzo al traffico e al rumore della strada, come un monumento preistorico che la routine sembra condannare alla dimenticanza, nonostante la sua isolata bellezza»: in questi termini Óscar Duque Torres, uno dei suoi pochi critici, descrive suggestivamente l’abitazione, in stile Tudor. Così Gómez Dávila vive quasi trent’anni come in clausura, da «certosino dell’altopiano» — la definizione è dello stesso critico e l’altopiano è quello dov’è situata Santa Fe de Bogotá, a 2630 metri d’altitudine —, nella «cella» costituita dalla sua monumentale biblioteca, di oltre trentamila volumi, soprattutto in lingua originale, dal momento che rifiuta le traduzioni: greco, latino, tedesco, inglese, portoghese, francese, italiano, russo e, naturalmente, spagnolo. Vi riceve una mezza dozzina d’interlocutori — fra loro il critico e scrittore Hernando Téllez (1908-1966), il dotto frate minore Félix Wilches (1905-1972) e l’uomo politico conservatore, diplomatico e appassionato d’arte, Douglas Botero Boshell (1916-1997) — e l’abbandona quasi solo per la «cappella», la chiesa del convento francescano de La Porciúncula, nella stessa via.Torna in Europa nel 1959, per un soggiorno di sei mesi con la moglie, María Emilia Nieto de Gómez, sposata quasi immediatamente dopo il suo rientro dalla Francia. Muore il 17 maggio 1994, mentre s’appresta a studiare il danese per accostare Søren Kierkegaard (1813-1855), seguendo la moglie, scomparsa l’anno precedente, e lasciando tre figli e alcuni nipoti.


Gli scritti: «glosse a un testo implicito»


Di fatto Gómez Dávila è autore di una sola grande opera continua, Escolios a un texto implícito, la cui pubblicazione inizia con questo titolo nel 1977, prosegue nel 1986 come Nuevos escolios a un texto implícito e si conclude, nel 1992, come Sucesivos escolios a un texto implícito. Tutti questi volumi hanno la stessa struttura e sono frutto della medesima concezione: una sequenza di escolios, di «glosse», in un certo senso anticipate, con il modesto titolo di Notas, nel 1954 in un’edizione privata in Messico, quindi, nel 1956, sulla rivista d’avanguardia colombiana Mito.In apparenza diverso è il volume Textos I, del 1959, un testo unico con qualche rara suddivisione, che raccoglie pensieri in paragrafi l’uno seguente l’altro, poi «svanito» nella stessa consapevolezza dell’autore, così come costituiscono eccezioni, dal punto di vista formale, i saggi Il vero reazionario e De Jure. Ma in Textos I, che non avrà il seguito che il titolo lascia intendere, sono già presenti i caratteri delle glosse, meno il «testo implicito»: un pensiero libero e concentrato e un’espressione ricercata.La fortuna dello «scrittore reazionario» o la «celebrità discreta»
Gli scritti del pensatore colombiano vengono proposti al pubblico, nonostante la sua ritrosia e solo grazie all’interessamento dei pochi ma fedelissimi amici: trattandosi però di amici socialmente e politicamente altolocati, si dà il caso inconsueto di un autore «sconosciuto» pubblicato da editrici «nazionali» nel senso di «pubbliche», di quelle il cui catalogo suggerisce piuttosto un deposito di «classici da non leggere più» che non una vetrina di nuovi talenti. Inoltre — la notazione è dello stesso Gómez Dávila —, «lo scrittore reazionario deve rassegnarsi a una celebrità discreta, dal momento che non si può ingraziare gl’imbecilli».La letteratura critica è limitata a una tesi, sostenuta da Mauricio Galindo Hurtado, colombiano, presso un’università britannica, e a qualche saggio quando non a rievocazioni giornalistiche. Fra i giudizi, meritano di essere riferiti quelli di ben altrimenti noti scrittori suoi compatrioti. Il romanziere e poeta Álvaro Mutis Jaramillo — uno dei suoi frequentatori — parla di Escolios a un texto implícito come di «un capolavoro del pensiero occidentale», «[…] una vasta summa di sapere, disseminata […] di allusioni e di elusioni, la cui piena utilizzazione supporrebbe lunghe veglie con i testi essenziali della nostra eredità ebraica, ellenica, romana, cristiana e occidentale»; e la definisce «opera superba che presenta nello stesso tempo una feconda teoria della storia e un’inconfutabile dottrina politica, un’essenziale meditazione sulla poesia e un non meno definitivo esame del pensiero metafisico e teologico», tale da essere — prevede — motivo di scandalo per gli «[…] eredi della tradizione liberale e democratica nata con la riforma protestante, incubata nel secolo dei lumi e battezzata con il sangue nelle giornate del 1789», ma atta a esser utilizzata anche dall’uomo qualunque — come dice con espressione italiana —, dal momento che, per quanto «inconsueta e vasta», «[…] concerne anche i nostri affari di tutti i giorni». E del romanziere Gabriel García Márquez viene citata l’impegnativa affermazione: «Se non fossi comunista, penserei come Gómez Dávila».Segnalati tempestivamente nel mondo di lingua tedesca dal filosofo cattolico Dietrich von Hildebrand (1889-1977), gli scritti e il pensiero di Gómez Dávila vi fanno la loro comparsa negli anni 1980 grazie a un’editrice conservatrice viennese: egli acquisisce così fra i suoi estimatori lo scrittore Ernst Jünger (1895-1998), che parla della sua opera come di «una miniera per amanti del conservatorismo»; lo studioso e pensatore politico Erik Maria von Kuehnelt-Leddihn (1909-1999) e il filosofo Robert Spaemann.Il pensatore colombiano giunge finalmente in Italia nel 2001, in apertura di secolo e di millennio, con In margine a un testo implicito, una consistente scelta della prima metà del primo volume della prima raccolta, Escolios a un texto implícito, curata con amore e maestria dallo storico della filosofia e germanista Franco Volpi, dopo che, nel 1999, ho tradotto sulla rivista Cristianità di Piacenza uno dei suoi pochissimi saggi, Il vero reazionario, e che, nello stesso anno e nel 2000, l’autore è stato presentato in diverse sedi dallo stesso Volpi e da chi scrive. E pensieri brevi stanno «filtrando», talora via Internet, in Polonia e in Francia.

Il genere letterario: la tecnica «pointilliste» e le «brevi frasi»


L’opera di Gómez Dávila va esaminata secondo le prospettive formale e contenutistica non per scelta del critico, ma perché indicate, più che soltanto suggerite, dai titoli spogli dei suoi volumi, privi di qualsiasi richiamo, costituiti dalla reiterazione di «glosse» e di «testo implicito». Si tratta infatti di consistenti raccolte di pensieri brevi — oltre diecimila —, ai quali l’autore nega la natura di aforismi: «Ciò che il lettore troverà in queste pagine non sono aforismi» — scrive —, «le mie brevi frasi sono tocchi cromatici di una composizione pointilliste». E il riferimento alla tecnica pittorica pointilliste, in una delle prime glosse della prima raccolta, costituisce indicazione ermeneutica fondamentale, che vieta un giudizio non d’insieme sulla «composizione» e sull’«artista» — sua la dichiarazione: «Pretendo soltanto di non aver scritto un libro lineare, ma un libro concentrico» — e che suggerisce un apprezzamento corrispondente dei singoli «punti», dei singoli «tocchi cromatici»: «Il discorso continuo — sentenzia — tende a occultare le rotture dell’essere. Il frammento è espressione del pensiero onesto». Quanto alle «brevi frasi», «un testo breve non è una dichiarazione presuntuosa, ma un gesto che appena abbozzato si dissolve»; e l’aforisma «negato» è però difeso, svelando la consapevolezza della difficoltà di definirlo: «Accusare l’aforisma di esprimere soltanto parte della verità equivale a supporre che il discorso prolisso possa esprimerla tutta»; viene denunciata la prolissità — «La prolissità non è un eccesso di parole, ma una carenza di idee» — e tessuto l’elogio del testo breve in quanto «poetico», cioè creativo, quindi costruttivo per il lettore: «L’opera frammentaria si fa poesia nel momento in cui ci obbliga a completare le sue curve mutile».Lo «spettro» dell’aforisma va infatti dalla definizione alla massima, alla «degnità» — il richiamo è a Giambattista Vico (1668-1744) —, alla «monografia compressa» — la formula è dello studioso canadese della comunicazione Marshall McLuhan (1911-1981) —, alla glossa, alla breve osservazione, al rimando, all’appunto, alla nota a margine. E costituisce retaggio dell’oralità, assillata dal problema della conservazione della memoria, ed elemento di una plurisecolare farmacopea spirituale, così dando implicite istruzioni sulla «posologia» del testo, quindi sulla sua lettura e fruizione: si tratta di piccole e dense «dosi» da non trangugiare in una sola volta, dal momento che non hanno un inizio e una fine, ma piuttosto un centro, e delle quali la tecnologia della scrittura nell’«epoca della sua riproducibilità tecnica», cioè della stampa, permette di ricuperare a volontà la sostanza orale e oracolare.Dunque, glosse a margine. Ma a margine di che? S’impone, oltre il contenuto di tali glosse, l’identificazione del texto implícito. I critici propongono due ipotesi, in alternativa o in combinazione: una letterale e l’altra lata. Quella letterale, stretta, rimanda a un ampio tratto dei Textos I di dura polemica sia con la «democrazia» che con l’«uomo democratico», intesi come espressioni e portatori di una visione del mondo che coglie la verità come tesi suffragata dal consenso quantitativo, maggioritariamente; quella lata identifica tale testo con l’intero corpus culturale dell’Occidente, da Omero ai contemporanei.


Il «pensiero reazionario»


Se il genere dell’opera favorisce l’apprezzamento anzitutto del paradosso, un’attenzione maggiore permette l’identificazione in essa di una dialettica di tipo vichiano fra «stoltezza» e «sapienza», nascoste dalla varietà delle formulazioni dell’una e dell’altra: «Cambiano meno gli uomini idee che le idee i loro travestimenti. Nel corso dei secoli dialogano le stesse voci».Ma «imbecillità», «stupidità» e «follia», oppure, con riferimento temporale, «modernità», possono suggerire nell’autore pura emotività e far dimenticare sia la gamma espressiva che l’espressione singola, talora strutturata a paradosso, cioè a figura logica in apparenza assurda in quanto contrastante non solo, eventualmente, con il buon senso, ma, nel caso, con l’opinione corrente, e atta peraltro a decantare in proverbio. Dal punto di vista culturale, del pensiero reazionario Gómez Dávila non coglie e non svolge solamente l’ascendenza spagnola — ricordo, anche per la consonanza formale, i Pensamientos varios di Juan Donoso Cortés (1809-1853) —, francese o anglosassone, ma pure quella tedesca; quindi procede a un ricupero del romanticismo, non solo del pre-romanticismo della sensibilité e della sensibility, sia contenutisticamente, sia espressivamente, attraverso l’apprezzamento della continuità fra pensiero contro-rivoluzionario e poesia soprattutto ottocentesca. Infatti, «la poesia del secolo XIX è l’eredità lasciata alla letteratura dalla contro-rivoluzione soffocata». Sì che — osserva acutamente —, «identificando romanticismo e democrazia, così condannando il romanticismo, Maurras [Charles, 1868-1952] è caduto in un terribile errore. Condannando il romanticismo, Maurras condannava il pensiero reazionario e adottava un’ideologia rivoluzionaria in nome della contro-rivoluzione».Dal punto di vista sostanziale «la saggezza consiste semplicemente nel non insegnare a Dio come si debbano fare le cose» e a vivere l’individualità, l’irripetibilità e la frammentarietà nel mistero: «Contro lo svuotamento moderno del mistero affermiamo la sua presenza inglobante» e, anzitutto, che «la verità è una persona». Però «la radice del pensiero reazionario non è la sfiducia nella ragione, ma la sfiducia nella volontà»; e il pensiero reazionario viene abbozzato almeno su tre «cavalletti», suggeriti da un’autoqualificazione: esser l’autore «cattolico, reazionario e retrogrado». Cioè di tale pensiero non rilevano solamente le dimensioni politiche e culturali, ma anche — se non soprattutto — le radici religiose ed esistenziali: se «la Reazione comincia a Delfi» e se «la Reazione è cominciata con il primo pentimento», «la reazione esplicita comincia alla fine del secolo XVIII; ma la reazione implicita comincia con l’espulsione del diavolo»; ed «essere reazionario significa capire che l’uomo è un problema senza soluzione umana». Così i testi brevi sono percorsi da una vena polemica, talora esplicita e dura, in aggressivo contrasto con ogni filosofia e con ogni teologia razionalistiche, perché «razionalismo è lo pseudonimo ufficiale dello Gnosticismo», «la democrazia è la politica della teologia gnostica», «la Gnosi è la teologia satanica dell’esperienza mistica. Nell’interpretazione gnostica dell’esperienza mistica si genera la divinizzazione dell’uomo», e «l’ugualitarismo è inferenza gnostica: infatti ogni particella della divinità è ugualmente divina». Si tratta di una prospettiva filosofica e teologica negativa, che richiama quella platonico-tomistica di Josef Pieper (1904-1997). E a tale vena se ne affianca un’altra, antimoralistica ma non certo immorale, percorsa dall’evangelica «prudenza del serpente» da affiancare alla «semplicità della colomba» (cfr. Mt. 10, 16), la cui divisa potrebbe essere «Credere in Dio, confidare in Cristo, guardare con malizia», e la cui espressione è talora non solo dura quanto al contenuto ma pure cruda quanto al modo. Comunque, anche quando oggetto degli strali sono i cristiani, gli uomini di Chiesa e la Chiesa stessa, la «regola» è inequivoca: "Ciò che si pensa contro la Chiesa, se non lo si pensa da dentro la Chiesa, è privo di interesse". Insomma — afferma perentoriamente Gómez Dávila —, «[…] il cattolicesimo è la mia patria» e in questo terreno coltiva «un platonismo esistenziale e uno storicismo agostiniano».Ma l’orizzonte limitato e cupo non alimenta la disperazione, anche se «la nostra ultima speranza sta nell’ingiustizia di Dio» e «l’unica precauzione sta nel pregare in tempo»: infatti, poicé «per rinnovare non è necessario contraddire, basta approfondire», e siccome «il peso di questo mondo si può sopportare solo in ginocchio», «l’unica ragione di sperare è stata espressa perfettamente da Huizinga [Johan, 1872-1945] in una delle sue ultime parole: "Per fortuna l’uomo non ha l’ultima parola"». E Nicolás Gómez Dávila, in attesa di ascoltare da Dio l’ultima parola a proprio riguardo, negli ultimi mesi della vita si dedica alla lettura del Catechismo della Chiesa Cattolica, dicendo rispettosamente la sua — testimonia il suo ultimo confessore, che ne celebrerà anche le esequie, monsignor Luis Carlos Ferreira, decano del capitolo della cattedrale di Santa Fe di Bogotá —, cioè avanzando riserve sullo stile in cui è redatto.

Il Dolore vi rende liberi - Scar Factory




Il Giappone è una terra di sfavillanti contraddizioni; da un lato la propensione iper-accelerata al Caos tecnologico e modernista, dall'altro antiche tradizioni che puntualmente emergono come cadaveri a pelo d'acqua. Non esiste punto di fusione, nè equilibrio che armonizzi questi due poli distanti ma solo un magma turbinante di sangue, sesso, neon, frustini, branding, tongue-splitting, pratiche mortificanti che farebbero tremare persino gli esigenti Dravidiani, un vero flusso di coscienza dolorosa sussunto nel libro THE SCAR FACTORY meritoriamente pubblicato dalla Creation Books; da anni ormai Fakir Musafar, Ron Athey, Franko B e prima di loro l'azionismo viennese e Gina Pane e altri amorevoli cuochi della carne si sono affaccendati a far saltare fuori l'atavismo post-accademico che regna sotto la pelle (e dentro la carne, appunto, carne pulsante e cronenberghianamente ribollente), utilizzando bisturi, tatuaggi, scarificazioni e rituali di passaggio appartenenti a culture tribali.
Nella nostra società attuale il peso specifico della trasgressione a volte è misurato dalla mole di tatuaggi, piercing ed esibizione magari banalotta di stranezze corporee che uno di porta addosso, rarefacendo così il quoziente di libertà di espressione che a volte invece è caratteristica seria e lucidamente accettata; nell'underground della body modification giapponese, dove gli ambiti sessuali estremi si fondono organicamente alla creazione artistica, si muovono figure degne di note, veri Paria di genio che non sfigurerebbero nella versione di Dune ipoteticamente diretta da Jodorowsky. E pure europei in fuga dal declino della civiltà occidentale, che nel Giappone contemporaneo vedono una Mecca di scintillanti neon e sangue sessuale, come un fluente mestruo rosso pompeiano grondante nel ventre socchiuso della Fine Ultima (come ad esempio Lukas Zpira).
Dire che questo libro, corredato di esplicite foto, non sia per tutti sarebbe avvertimento fin troppo ironico e riduttivo...

sabato 15 dicembre 2007

L'etica dell'Underground




Anche questa storia, come tutte le storie, ha un significativo antefatto; qualche mese fa dopo aver diligentemente acquistato una nota rivista italiana di musica oscura, scorrendone velocemente le pagine in bianco/nero trovo verso la fine un articolo di due pagine su Trevor Brown. Stupore misto a sospetto mi percorre la spina dorsale, il trattamento infausto di violazione del copyright operato fin lì dai flyer dei locali gotici nel confronti proprio del TB citato e una certa superficialità di approccio del gotico, inteso come ontologia in do minore, a tutti i fenomeni artistici ridotti a grossolana deiezione di una moda ammuffita mi convincono ad inoltrarmi nella lettura con cautela estrema.
Ma cautela estrema, lo si dica con voce sonante, non significa certo pregiudizio; il fatto che il 90% della musica recensita sia spazzatura non è un segno negativo che vada o possa andare a detrimento della rivista, al massimo è solo indice manifesto e doloroso di quanto ripugnante sia quella scena musicale che da anni si intorta e ricicla e sussume tra scrosci di tuonante mestizia e lampi ciechi multiformi e catacombali. Conosco alcune delle persone che lavorano e scrivono per quella rivista e le stimo, incidentalmente è pure edita dal mio stesso editore, e fin che pazienza e e voglia mi hanno sorretto ho mosso loro delle critiche costruttive, tutte sensate, motivate, articolate e riconosciute da loro stessi come ponderate e di buon senso. Succede però che l'articolo su Trevor Brown faccia schifo; banale, scontato, derivativo, fuori tempo massimo, sequela caotica e non pienamente compresa di decostruzioni che abbassano il livello dell'artista inglese. Tra l'altro nessuna indicazione del sito ufficiale, nè richiesta di permesso per usare le immagini.
Letto e metabolizzato, mando una mail a Brown; non è la prima volta che lo informo, tanto in senso positivo quanto negativo, di cose che avvengono in Italia e che lo riguardano. Paradossalmente un'altra volta gli avevo parlato sempre della stessa rivista ma in termini positivi, visto che aveva fatto un ottimo scan di una immagine brownesca di Bondage, usata per pubblicizzare le attività di Mondo Bizzarro. E questo a dire di eventuali scorie di pregiudizio.
La reazione dell'artista è comprensibilmente non entusiasta, un pò perchè tra locali gotici, editori lunatici e fanzinari del sabato sera le sue opere vagolano e si riproducono all'infinito senza che il copyright sia mai minimamente rispettato, un pò pure perchè sulla copertina del numero in questione della rivista svetta un Marylin Manson che effettivamente non può disporre bene uno che ha illustrato copertine di Whitehouse e Coil...
Di questa delusione, il TB fa un piccolo blog con tanto di mio scan del servizio giornalistico; mal gliene incolga, devono aver pensato alcuni al giornale, tanto che "uno degli scrittori più importanti" della rivista (presentazione letterale) gli scrive una mail rancorosa, piena di astio e davvero contraddittoria visto che alla fin fine dietro tutta quella pompa magna di acredine lo scrittore importante finisce per dare ragione al TB su tutte le contestazioni mosse.
Uno spaccato desolato e desolante di cosa sia l'underground oggi, di quali miserie lo popolino; persone che sfuggono la tetra cappa della noia quotidiana e si ricilano nel ruolo di scrittori gotici da rivista, ritenendo che le regole della buona creanza nell'underground non esistano, perchè si è tutti solidali, fratelli, incompresi, in rotta con una società grigia ed insensibile. Persone che non avrebbero i mezzi artistici o intellettuali per andare avanti nel mainstream e che allora riproducono i loro sogni di gloria infranti al livello più basso dell'underground; non libera scelta di dignitosa separazione e non-compromesso, ma solo via obbligata per tirare a campare con lo status di guru in nero.
Cose tristi, davvero.

venerdì 14 dicembre 2007

It's all about Sex & Violence




ROMA (10 dicembre) - E' stato identificato l'autore dell'omicidio di Maria Scarfò, la donna trovata morta sull'autostrada Roma-Napoli nella notte tra il 29 e il 30 dicembre del 2000. A distanza di 7 anni un assorbente della donna ha consentito di estrarre il dna del suo assassino e di risalire a Sabatino D'Alfonso, l'uomo di 45 anni che, nell'agosto scorso, aveva sequestrato 4 giovani donne al Teatro di Marcello a Roma e le aveva condotte a Napoli tentando di violentarle. La donna lavorava in un bar di Roma al Quadraro che gestiva con il fratello e la sera del 29, terminato il lavoro, aveva preso la sua autovettura per tornare a casa. Un testimone la vide a bordo dell'auto con un uomo e l'aria terrorizzata.
La svolta è giunta nelle scorse settimane, quando gli investigatori si sono resi conto che il rapimento con violenza o tentativo di abuso lungo la tratta Roma-Napoli si era verificato anche altre volte, l'ultima appunto nell'agosto 2007, quando Sabatino D'Alfonso, 45 anni, aveva sequestrato le 4 giovani ragazze. «L'intuito investigativo ha fatto sì che il dna fosse messo a confronto con quello del 45enne - ha detto Vittorio Rizzi, capo della Mobile - ed è stata la prova schiacciante». Incastrato dal Dna. La soluzione è arrivata incrociando le informazioni su come avvenne l'omicidio e verificando le analogie con analoghi rapimenti, come quello dello scorso agosto. L'intuizione degli investigatori ha portato a comparare il Dna che ha dimostrato che l'impronta genetica era proprio di Sabatino D'Alfonso, incastrato confrontando, attraverso le moderne tecniche, il Dna ricavato dalle tracce biologiche del liquido seminale dell'assassino di Maria Scarfò prelevate dall'assorbente igienico che la vittima indossava al momento dell'omicidio.
Violentatore durante i permessi. D'Alfonso, il 6 agosto, durante un permesso premio concesso mentre era detenuto nel carcere di Sulmona, aveva sequestrato 4 ragazze al Teatro di Marcello e le aveva trascinate in un casolare tra Napoli e Caserta per violentarle. Il 12 novembre 1999 aveva già sequestrato e violentato una ragazza di Latina. Fu subito arrestato. Nel 2000, per motivi di salute, ottiene gli arresti domiciliari a casa della sorella al Quadraro, dove resta fino al febbraio 2001, poi torna in carcere per evasione ma gode di permessi premio. Il 22 dicembre del 2000 sequestra, violenta e minaccia due ragazze di 20 anni avvicinate a Cinecittà. Le porta nell'hinterland Casertano. Una delle donne viene violentata nel viaggio verso Napoli, l'altra mentre ritornavano a Roma. Le due donne lo hanno riconosciuto proprio dalle fotografie pubblicate sui giornali in occasione dell'arresto avvenuto per il sequestro delle 4 donne al Teatro Marcello. Il 29 dicembre, una settimana dopo, ha sequestrato, violentato e ucciso Maria Scarfò.
Quattro episodi contestati. Il gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha disposto oggi la custodia cautelare di D'Alfonso che si trova già ristretto nel carcere di Regina Coeli. Il responsabile dell'omicidio di Maria Scarfò, viene definito dagli investigatori un violentatore seriale. Sono almeno quattro gli episodi che gli vengono contestati.

mercoledì 12 dicembre 2007

Nuove dimensioni della Poesia contemporanea




CITTÀ DEL MESSICO (11 dicembre) -

Josè Luis Calva, un messicano di 38 anni accusato di aver ucciso la fidanzata e di averne cucinato parte del cadavere per mangiarlo, si è ucciso la notte scorsa con la cinta dei pantaloni in un carcere di Città del Messico dove era recluso da ottobre.
Soprannominato «il poeta cannibale» per la passione per i versi e la letteratura, Calva aveva stampato artigianalmente il libro Caminando ando (Vado avanti camminando) che vendeva in strada per sopravvivere, e nei quasi due mesi di reclusione aveva incessantemente scritto rime su fogli che gli forniva il suo avvocato difensore.
Il corpo senza vita di Calva è stato trovato dai secondini oggi, durante una ispezione di routine della cella. A quanto si è appreso, non ha lasciato alcun messaggio per giustificare il suo gesto estremo. Indagini della polizia hanno permesso di imputargli oltre a quello dell'ultima fidanzata anche gli omicidi di una precedente amica, di una prostituta e di altre due donne.
La sua vicenda ha avuto in queste settimane grande risalto sulla stampa messicana che aveva raccontato con dovizia di particolari l'esperienza umana di un uomo che aveva perso il padre all'età di due anni, e che viveva un permanente conflitto con la madre, e i diversi fidanzati di questa.
Calva fu arrestato l'8 ottobre scorso nella sua modesta casa di Città del Messico, all'interno della quale gli agenti trovarono il cadavere della fidanzata Alejandra Martinez, sezionato i varie parti, una delle quali appena cucinata in un tegame. Nonostante le evidenze, l'uomo non ammise di essere antropofago , sostenendo che la cottura di un pezzo del corpo serviva ad alimentare alcuni cani del quartiere.
In una intervista telefonica alcuni giorni fa al quotidiano Expreso, sembrava deciso a continuare la sua battaglia, anche letteraria, ed aveva annunciato che tutto quello che si era detto e scritto sulla sua vicenda gli serviva per preparare un romanzo di cui aveva anche fornito il titolo: Cannibale: il poeta seduttore. -Sono - aveva detto in quella occasione - un uomo che sta pagando una condanna e continuerò a pagarla, e intanto continuo a svilupparmi in quello che sono, sarà un romanzo interessante.-

martedì 11 dicembre 2007

Kurten

"Mi potrebbe dire se, dopo che la mia testa è stata tagliata, sarò ancora capace di sentire, almeno per un brevissimo attimo, il suono del mio sangue che sgorga dal ceppo del mio collo? ciò sarebbe per me il piacere di tutti i piaceri".
Peter Kurten

"Kürten è un enigma senza soluzione. Haarman uccideva solamente uomini, Landru e Grossman solamente donne, Peter ha ucciso invece uomini, donne, bambini, animali. Ha ucciso qualsiasi cosa abbia trovato sul suo cammino."
(Dottor Wehner, psichiatra e avvocato difensore di Peter Kürten)

War of the Future


Demoralize the enemy from within by surprise, terror, sabotage, assassination. This is the war of the future.”
A. H.

venerdì 7 dicembre 2007

Olivia Gay


Aftermath - di Nacho Cerda










"Quelli che sono tornati vivi e possono raccontarlo dicono di aver visto un tunnel bianco, molti fantasmi e un vortice di immagini dimenticate. Quelli che sono morti dovrebbero chiedersi se veramente sono morti. Se quello che li aspetta sembra veramente un’altra vita dopo la morte o, al contrario rappresenta il peggior inferno che mai avrebbero immaginato"




Queste sono le uniche parole che si sentono pronunciare nel film, tutto il resto è scandito da musica classica o da rumori di fondo. La frase ci fa capire subito quale sarà il tema trattato: la morte. Le parole sopra citate appaiono su una schermata nera durante i primissimi istanti, sparite le parole in sovrimpressione e la voce che le scandisce, iniziano a sentirsi dei rumori facilmente identificabili: una persona apre lo sportello di un’automobile, avvia il motore ed inizia a guidare, poco dopo c’è un incidente, si sente una brusca frenata e un rumore molto forte di collisione, qualcuno grida, è un urlo di una giovane donna, poi il silenzio. La telecamera comincia ad inquadrare delle frattaglie, le segue con dei movimenti di camera che compiono una "esse" risalendo verso la fonte delle viscere, poi la camera fa una panoramica e inquadra un cane martoriato, con gli intestini e molto sangue sparsi intorno ad esso. Intuiamo che il cane è stato ucciso dall’automobile che abbiamo sentito schiantarsi ed è la causa dell’incidente. Iniziano i titoli di apertura, interrotti di tanto in tanto da immagini che mostrano la sala di un obitorio: le inquadrature illustrano meticolosamente ogni angolo e ogni arnese utile a quello che si compie nella sala, finiti i titoli di apertura si vede un apparecchio che misura i battiti cardiaci, segnare un tracciato piatto e si capisce che la ragazza dell’incidente è morta. Un crocefisso d’argento, che portava quest'ultima, viene consegnato ai disperati genitori da un dottore; è l’unica cosa che rimane loro della figlia.


Terminata l'introduzione "Aftermath" inizia e da qui in poi tutto si svolgerà in una sala adibita alle autopsie, in cui vedremo quello che vi accade quotidianamente, spiegato e mostrato nei dettagli, oltre che ad assistere alle pratiche sessuali di stampo necrofilo di uno dei medici sulla ragazza morta nell’incidente. Questo è "Aftermath", nè più nè meno, è un quadretto molto ben confezionato della durata di mezz’ora che ci catapulta in un mondo che quasi tutti noi non vedremo mai coi nostri occhi, quello dell’obitorio. Ci mostrerà come un corpo, dopo morto, non trovi necessariamente la pace. La pellicola è un mediometraggio della durata di 30 minuti, nei progetti del regista la durata sarebbe stata maggiore, ma i problemi di budget lo hanno obbligato a tempi più brevi. Il creatore di quest’opera è Nacho Cerdà, un regista Catalano di Barcellona, classe 1969, il quale studia regia fuori patria alla prestigiosa "Film School of Cinema and Television" del sud della California. In patria è professore e coordinatore presso la "ESCAC" (Escuela de cinema y audiovisuales de Catalunya). Il suo impegno come regista, sceneggiatore e spesso produttore, inizia nel 1990 con "The Awekening", girato mentre soggiornava in California: con "Aftermath" del 1994 e "Genesis" del 1998 formerà la sua personale trilogia sul tema della morte. Il regista analizza da vicino le tematiche del decesso, dell’anima e del corpo, lui stesso nelle interviste dice di essere molto interessato e affascinato dall’argomento. Più recentemente, nel 2001, gira "Ataudes de luz". Con "Aftermath" vince anche un premio: il miglior corto, questo durante la settimana del cinema di terrore di Sevilla, città al sud della Spagna. La pellicola, a detta del regista, non vuole assolutamente essere un film violento o che istighi alla violenza e nemmeno uno spettacolo gore di sangue e frattaglie: queste ultime sono necessarie per rendere fortemente reale l’ambiente forense, la cruda realtà è proprio quello a cui Cerdà mira e questa realtà applicata all’ambiente in cui si svolgono i fatti ha come conseguenza un campionario di scene ed effetti speciali al limite della sopportazione. Aftermath è veramente molto forte, senz’altro non è adatto ad un pubblico impressionabile. Gli effetti speciali sono ottimamente realizzati dalla casa DDT e sono realissimi, quasi ci si confonde tra realtà e finzione. Cerdà racconta, sempre in un'intervista, di aver ideato "Aftermath" mentre soggiornava a Los Angeles, e di aver iniziato a scrivere la sceneggiatura due mesi dopo. Il regista racconta di essere entrato in contatto con una dottoressa che praticava autopsie proprio per arricchire le sue conoscenze a riguardo (assistette a tre autopsie per una durata di circa due ore).


Barcellona gira il mediometraggio in un vero obitorio, in cui arrivano sei o sette cadaveri al giorno, il ridotto budget gli preclude fin dall’inizio la possibilità di ricreare artificialmente una sala di obitorio. Uno dei corpi deceduti, che compaiono nel film, è un uomo che sembra un cadavere senza quasi bisogno di trucco dato il suo aspetto da tossicodipendente: Cerdà racconta di averlo tenuto circa venti ore per le riprese e di averlo pagato con una cifra irrisoria (intorno ai cento euro), una specie di mancia. Questo per dare l’idea dell’economicità di realizzazione dell’opera, la quale non compromette minimamente la qualità visiva, che è pari a una grande produzione. Alle accuse di pornografia più volte rivolta al regista, a causa dei corpi straziati e dei genitali di questi in vista, egli risponde che il suo è l’unico modo di far vedere cosa accade realmente in una sala di quel tipo, questo al di là dei fatti necrofili descritti nel film. Pep Tosar è l’attore che interpreta il medico forense con evidenti deviazioni sessuali, non è la prima volta che lavora con Cerdà ed è molto apprezzato da quest’ultimo. In effetti Tosar lavora molto bene, e considerando che recita praticamente tutta la parte con la mascherina da chirurgo sul volto, riesce a dare un’ottima espressività al suo personaggio, Cerdà spiega che è un attore di quelli che amano calarsi anima e corpo nella parte per interpretare al meglio un personaggio. La musica e i suoni, non essendoci dialoghi, sono molto importanti e curati, ci sono momenti in cui non vi è musica e si possono ascoltare i rumori provenienti dalle autopsie: bisturi che recidono le carni, una calotta cranica mentre viene segata ecc. Quando è presente invece la colonna sonora questa è sempre di genere classico e particolarmente rilassante, molto soave e malinconica, da l’idea di pace e quiete, addolcendo la crudezza delle immagini. Durante l’amplesso tra il medico e il cadavere della ragazza, la scena viene immortalata dalla macchina fotografica di questo, il quale mette l’autoscatto per conservare ogni istante. Il medico, nelle sue gesta, che sono molto rituali, ci fa capire che non è la prima volta che amoreggia con un cadavere, egli aspetta impazientemente, ma con diligenza, di essere solo, estrae il cadavere dal refrigeratore e prima di penetrarlo lo tocca, lo accarezza, lo taglia, lo abbruttisce iniziando quella che è una vera e propria autopsia, lui vuole "amare" un cadavere e più lo è nell’apparenza meglio è. Si vede più volte la targhetta col nome della ragazza, forse per ricordare che è un corpo e non un oggetto, perché l’abitudine che si crea nell’ambiente obituario è sconvolgente, i corpi vengono trattati come se fossero degli oggetti ed è proprio questo che vuole comunicare Cerdà, il quale giunge all’estremo mostrando un controverso rapporto sessuale, ma anche le sole autopsie mostrate nel film sono scioccanti, spiegano come il nostro corpo viene trattato dopo la morte, è di enorme contrasto la reverenza con cui viene consegnato nelle mani dei genitori della ragazza il crocifisso, e dopo pochi minuti il corpo di questa viene martoriato e stuprato. La ragazza non può che far pena anche se è già morta, Cerdà ci spinge a riflettere sul fatto che lei non esiste più, la sua anima, per chi ci crede, non si sa dove sia, ma il suo corpo è lì ed è vittima di un atrocità a cui non si può opporre, solo noi possiamo opporci ed è proprio quello che il regista vuole suscitare: pena per la ragazza e per la sua salma violata. Cerdà sostiene che il suo film vuole essere contro la manipolazione del corpo e contro la violenza.

Chris Anthony


giovedì 6 dicembre 2007

Pentii Linkola




"What to do, when a ship carrying a hundred passengers suddenly capsizes and there is only one lifeboat? When the lifeboat is full, those who hate life will try to load it with more people and sink the lot. Those who love and respect life will take the ship's axe and sever the extra hands that cling to the sides."


"The composition of the Greens seems to be the same as that of the population in general — mainly pieces of drifting wood, people who never think."


"A minority can never have any other effective means to influence the course of matters but through the use of violence."


"Any dictatorship would be better than modern democracy. There cannot be so incompetent dictator, that he would show more stupidity than a majority of the people. Best dictatorship would be one where lots of heads would roll and government would prevent any economical growth."


"The most central and irrational faith among people is the faith in technology and economical growth. Its priests believe until their death that material prosperity bring enjoyment and happiness - even though all the proofs in history have shown that only lack and attempt cause a life worth living, that the material prosperity doesn't bring anything else than despair. These priests believe in technology still when they choke in their gas masks."


"That there are billions of people over 60kg weight on this planet is recklessness."


"Alternative movements and groups are a welcome relief and a present for the society of economic growth."


"We will have to...learn from the history of revolutionary movements — the national socialists, the Finnish Stalinists, from the many stages of the Russian revolution, from the methods of the Red Brigades — and forget our narcissistic selves."


"Everything we have developed over the last 100 years should be destroyed."


"A fundamental, devastating error is to set up a political system based on desire. Society and life are been organized on basis of what an individual wants, not on what is good for him or her...Just as only one out of 100,000 has the talent to be an engineer or an acrobat, only a few are those truly capable of managing the matters of a nation or mankind as a whole...In this time and this part of the World we are headlessly hanging on democracy and parliamentary system, even though these are the most mindless and desperate experiments of the mankind...In democratic coutries the destruction of nature and sum of ecological disasters has accumulated most...Our only hope lies in strong central government and uncompromizing control of the individual citizen."


"If the present amount of Earths population is preserved and is reduced only by the means of birth control, then:- Birthgiving must be licenced. To enhance population quality, genetically or socially unfit homes will be denied offspring, so that several birth licences can be allowed to families of quality.- Energy production must be drastically reduced. Electricity is allowed only for the most necessary lighting and communications.- Food: Hunting must be made more efficient. Human diet will include rats and invertebrate animals. Agriculture moves to small un-mechanized units. All human manure is used as fertilizer.- Traffic is mostly done with bicycles and rowing boats. Private cars are confiscated. Long-distance travel is done with sparse mass transport. Trees will be planted on most roads.- Foreign affairs: All mass immigration and most of import-export trade must stop. Cross-border travel is allowed only for small numbers of diplomats and correspondents.- Business will mostly end. Manufacture is allowed only for well argumented needs. All major manufacturing capacity is state owned. Products will be durable and last for generations.- Science and schooling: Education will concentrate on practical skills. All competition is rooted out. Technological research is reduced to extreme minimum. But every child will learn how to clean a fish in a way that only the big shiny bones are left over."

domenica 2 dicembre 2007

La donna di Bangkok




Prima che LE IENE rendessero popolare intervistare con spirito sofferente ed empatico le puttane di strada, trasformandole in maitre a penser ed osservatrici privilegiate di questa nostra società, e prima ancora che William T Vollman si intruppasse tra i bordelli pulciosi del porto di Saigon e tra i neon scintillanti di Patpong per riscattare l'inutile esistenza di una prostituta minorenne ( e scriverne poi convenientemente sui principali magazine statunitensi e farne poetica per qualche suo libro avant-pop ), l'industria del sesso conosceva solo fugaci momenti di gloria mediatica devoluta a cronaca nera, rinvenimento di cadaveri, storie di deportazioni, schiavitù.
Poi la pornografia è stata miracolosamente scoperta e sdoganata, salvata dall'inferno underground in cui era stata relegata, Siffredi è emerso nei film della Breillat, Selen alle prese con la dogmatica dei reality show, Moana Pozzi assurta a celebrità postuma e glorificata nei libri, Eva Henger ed il Gabibbo. Un quoziente di merceologia sessuale si è insinuato nella coscienza collettiva, ed è stato funzionale a scardinare le residue resistenze psichiche e culturali, di modo che lunghi servizi e reportage sulle puttane ( il settore più sommerso e rimosso della sex industry ) potessero inondare i palinsesti. Una volta infatti che la gente si era assuefatta a tettone, culi, cazzi, linguaggi scurrili, il passo non è stato poi molto lungo.
Anche perchè, ammettiamolo, nella percezione comune tra pornografia e prostituzione non esiste una grande differenza, ed io stesso non mi sentirei di porre troppo in dubbio la sussistenza di un nesso tra le due cose.
Certamente, a sentire una pornostar intervistata troverete sempre dei risibili ed offensivi sottesi filosofici, sentirete parlare di scelte di vita ( scelte consapevoli, sia ben chiaro ), di mondo dorato e fantastico, di trasgressione, un entusiasmo naive, talmente plastificato da disturbare. Ma, non è forse lo stesso posticcio entusiasmo delle puttane che per fermarvi e convincervi a farvi un giretto con loro vi mostrano le tette ? Lo stesso genere di gioia, indotta da ricatti e degrado morale e deprivazione emotiva e pestaggi fisici, che costringe, letteralmente, le prostitute ad approcciarvi con fare disinibito e aggressivo, linguaggio da trivio e modi squisitamente pornografici ?
Nessuno, IENE e William Vollman a parte, crede che queste donne possiedano il benchè minimo fascino. Nessun carisma, nessun valore, nessuna dignità. L'interesse nasce nel constatare come questo algido supermarket della carne sia in realtà un mercato di esistenze e vite infrante, che potete acquistare comodamente tramite dvd o scopando una albanese morta di fame.
Le pornostar sono puttane esattamente nella stessa misura in cui lo sono le donne di strada, ma non solo per il cartellino col prezzo che recano appiccicato ai loro pingui quarti di carne; entrambe vengono da un uguale background di miseria, di confusione, di promesse fumose, e stanno lì a vendersi, ad autoassegnarsi un trito valore esistenziale, a credere di poter avere una prospettiva o un futuro radioso ( o, un futuro tout court ).
L'intervistatore delle IENE che cerca di mettere la puttana a suo agio durante l'intervista parte dal presupposto che la donna sia interessata ad avere un contatto umano che prescinda dal dover spompinare un vecchio pervertito, e così Vollman e le sue idiote prese di posizione tra i bordelli e le saune tailandesi. Il contatto umano non si esaurisce nello scambiare quattro chiacchiere sul mestiere di prostituta, che è, e questo tanto LE IENE quanto Vollman lo sanno bene, una ulteriore mercificazione. Ma trascende la misera situazione umana della donna, e trasvola direttamente nel Limbo delle promesse non mantenute. Perchè una volta che la telecamera sarà spenta e l'intervista esaurita, ed il geniale intervistatore se ne sarà tornato a casetta, lei, la miserabile puttana, continuerà a vendersi, a soffrire, presumibilmente a fare una fine orrenda e divenire un grigio numero nelle caselle statistiche sul crimine. E la puttana salvata e redenta da Vollman, per fini letterari, che prospettive avrà ? Diventare una lady americana sputtanata, letteralmente, su ogni tabloid dal suo salvatore ? Leccarsi come una cagna ferita le cicatrici ancora sanguinanti e le memorie orrende del dolore e delle violenze ?
In GOOD WOMAN OF BANGKOK, documentario artistico ed umanitario che precede gli scaltri tentativi sopra enunciati, la prostituta Aoi di cui il regista si innamora sembra ineluttabilmente condannata al fato della miseria di strada; nonostante lui le dica chiaramente di amarla, la riverisca, la colmi di attenzioni e di affetto ( il lettore mi perdonerà se trovo proprio in questo l'aspetto più disgustoso del film ) , e addirittura le compri un appezzamento di terra da coltivare a riso ( per garantirle un futuro contadino lontano dalla sex industry ), quando poi dopo un anno di lontananza dalla Tailandia torna dove la trova ? A battere in una sauna particolarmente disgustosa di Bangkok . Il regista è giustamente sconvolto, ma conserva sufficiente raziocinio per continuare a tenere il dito premuto sul tasto play della sua videocamera e garantirci così tutto lo struggente pathos del nuovo incontro.
Fosse roba di fantasia, sarebbe un finale da soap opera. Sfortunatamente per i protagonisti, è tutto vero.

sabato 1 dicembre 2007

Sodakaustika



"SODAKAUSTIKA ARRIVA, DISTRUGGE E NON PERDONA!"
DrMabuse