sabato 30 maggio 2009

La solitudine dello spazio; le fotografie di James Casebere









Di ritorno da una placida giornata in casa editrice, e dopo essermi fermato da Mondo Bizzarro a parlare e consigliare libri, proprio a pochi metri da lì in compagnia del Gabriels ecco la minuscola galleria Traghetto con in esposizione una collettiva sugli spazi desolati - e tra queste foto un magistrale scatto di Jamese Casebere, grandissimo fotografo statunitense (classe 1953) nato nel Michigan ed attualmente residente a New York dove vive con la moglie e con la figlia.
Il paradosso di quella epifania pre-estiva raggiunge vette inesplorate se si pensa che il Gabriels mi stava parlando del suo ultimo acquisto librario, Il Trattato di Ontologia di Constantin Noica (filosofo rumeno amico di Cioran e di Eliade, con un passato di simpatizzante per il Movimento Legionario di Codreanu, assassinato dalla polizia segreta rumena nel 1987) - l'essere alla prova di spazi desolati. Perchè nelle opere di Casebere di esseri non se ne trovano; ci sono soltanto ampie traslucide e a volte cupe distese di mattoni, ventri di chiese franate, loft abbandonati nel centro di qualche innominata ed anonima città.
L'utilizzo della luce che il fotografo americano fa è stupefacente; conferisce un maggiore tasso di solitudine e di autismo della immagine, una sorta di dedalo concentrico di solitudini attraverso cui l'occhio di chi osserva si perde.
Queste foto dovrebbero essere guardate al buio, nel riverbero tremolante di un neon, con in sottofondo i magmatici e abissali drone di un Lustmord, di un Raan, di un Raison d'Etre, rifrazioni rumorose e sinuose che danzano sui profili cristallini degli scatti. Nell'universo-mondo di Casebere, contestualizzato adeguatamente all'epoca industriale, si supera persino il pessimismo purpureo di Caspar Friedrich; puntini di carne dispersi nel maesltrom della Natura e del Cosmo, disperatamente attaccati alla realtà fattuale. Nelle foto di Casebere invece scompare qualuque pretesa di organico, e a dominare è la tirannia del sintetico, la solitudine dei sentimenti.
Un giardino di specchi e di vetri infranti.
Ma se un azzardato paragone vogliamo tracciare tra Noica e Casebere è la comune critica alla ontologia; a furia di parlare di essere, l'essere è scomparso. E se in Noica la ricerca diventa funzionalmente interrelata al basso, e dal basso deve procedere, in Casebere l'assenza diventa la testimonianza più cupa ed insondabile del grido disperato di chi ha visto evaporare l'uomo.

domenica 3 maggio 2009

Phallusifer - black metal e porno


Il vecchio quesito; quale musica utilizzereste da colonna sonora per le vostre prestazioni sessuali ? è uno dei vecchi topoi della scena sex-oriented. Dai tardoni BDSM alla ricerca di una incomprensibile musica fetish alle variazioni ambientali di scuola Brian Eno, passando per precedenti esperimenti pornografici come le serie realizzate dalla Vivid di Matt Zane, nelle quali facevano bella mostra musicisti della scena new-metal yankee.
D'altronde il binomio pornografia & rock affonda le sue radici nella notte dei tempi (bè limitatamente alla esistenza storica del rock), ma nonostante questa quasi ontologica sinergia i risultati sono sempre stati scarsini e deludenti - poca fantasia, poca inventiva, poca voglia di rischiare e di realizzare un prodotto che sapesse coniugare esigenze di mercato e una qualche idea intelligente. Spesso speriamo che sia l'underground a tirar fuori il metaforico coniglio dal cilindro, salvandoci dalla cappa di livellante grigiore in cui si dibattono le arti - ma altrettanto spesso le peggiori boiate emergono proprio dall'underground.
PHALLUSIFER nasce da una idea a modo suo intrigante; prendere uno dei generi musicali più misantropici ed "elitari" in circolazione e combinare questa premessa con una sessualità decadente, morbosa e violenta, realizzando un film porno lontano anni luce dalla scuola americana. Fiordi norvegesi, dungeon tedeschi, chiese bruciate, omicidi, sangue, lodi a Satana in luogo del sole californiano, delle magliette hawaiane, delle vans ai piedi e delle siliconate starlette della San Fernando Valley.
Il problema è che questo film prodotto dalla Karnal Productions manca clamorosamente qualunque promessa - sessualmente parlando cosa potremmo aspettarci da emuli di Burzum, Darkthrone, Watain e compagnia cantante? Violenza, brutalità, sopraffazione...manco per niente! Il film scorre via come un pessimo amatoriale in maschera, con riprese tecnicamente discutibili e un ambiente/arredamento che è quanto di meno black metal si possa immaginare.
Uno si sarebbe atteso una cavalcata di matrice SM, ed invece salta fuori la scopata sbronza del fine settimana...ah, ma nel nome di Satana. Allora è tutto a posto.

Rape-Lay il gioco dello stupro


L'ultimo "passatempo" proveniente dal Giappone: il giocatore deve stuprare la prima ragazza minorenne che incontra, le sue due sorelle e, infine, anche la madre. Tra urla, pianti, lividi e abiti strappati. E c'è pure chi dice che è educativo
A proposito di "rape" c'è la storia per certi aspetti divertente di quel cuoco italiano che andò su Google a cercare ricette a base di questo ortaggio e trovò soltanto siti porno sulle violenze sessuali. Rape infatti in inglese vuol dire stupro. Meno divertente è la notizia di un videogame giapponese. Si chiama Rapelay (mix di rape e replay, ovvero stupro ripetuto).
Il protagonista è un maniaco con l'obiettivo di stuprare la prima ragazza minorenne che incontra, le sue due sorelle e, infine, anche la madre. La scena del videogioco hentai si apre in una stazione della metropolitana. Bisogna precisare che in Giappone le molestie all'interno della metropolitana sono all'ordine del giorno. Tornando al gioco, una ragazza giovane e formosa (oltre la realtà) aspetta il metrò e osserva il giocatore il quale, usando i comandi, le si avvicina, la palpa, la sveste, la molesta e infine la stupra. Il tutto tra urla, pianti e lamenti. Le scene sono molto realistiche e in alcuni casi anche molto crude e spinte.
Il "gioco" è stato creato dalla Illusion, una società di Yokohama, che lo ha lanciato nel 2006. Inizialmente era destinato al solo mercato nipponico, ma grazie al web è riuscito a varcare i confini e ora è in vendita su Amazon e eBay. Nemmeno le proteste di associazioni in Usa e Regno Unito sono riuscite a farlo bandire dai due celebri siti. Ma c'è anche chi difende il videogame, sostenendo che - trattandosi di una simulazione - potrebbe salvare numerose potenziali vittime da violenze reali. L'argomento ha scatenato il dibattito su blog e forum e qualcuno sostiene che una certa funzione preventiva il gioco potrebbe averla, se a giocare fossero le ragazzine che potrebbero fare il gioco al contrario, cercando di evitare le molestie.

venerdì 1 maggio 2009

Pamoja Mtaani - l'AIDS diventa videogame


Per sensibilizzare sulla Sindrome da ImmunoDeficienza Acquisita in Kenia, Warner Bros Interactive ha creato un videogame appositamente sviluppato per il paese.
Si tratta di un multiplayer gratuito, reso disponibile nei centri di gioventù di Nairobi, la capitale del Kenya. Intitolato Pamoja Mtaani (" Insieme nel quartiere"), il titolo segue la storia di cinque sconosciuti che hanno ciascuno perso un particolare oggetto. I giocatori attraverseranno molte zone dell'Africa cercando tali oggetti e aiuteranno una donna ferita durante il corso delle loro avventure. Nel proseguire della trama i giocatori faranno fronte a molte situazioni, missioni e mini-giochi in grado di farli riflettere sul comportamento da adottare anche nella vita reale (uno degli scopi è "cambiare il proprio atteggiamento sessuale"). Lo sviluppo di Pamoja Mtaani è stato affidato a Virtual Heroes, studio specializzato in questa tipologia di titoli.
Una curiosità; uno dei personaggi si chiama Lady D...