mercoledì 30 luglio 2008

Dante Virgili, un Caraco italiano ?


Ombroso, scontroso, megalomane come si conviene a qualunque scrittore (abituato da sempre a considerarsi strutturalmente ed ontologicamente come un paria di genio, un "rifiuto sociale" di barthesiana memoria), Dante Virgili ha rappresentato per la letteratura italiana una stella cometa dalla scia sagittale carnicina e grondante sangue, ben più maledetto ed incuneato nella nicchia della non-visibilità di un Dino Campana.
Il "maudit" spesso è solo un decadente borghese annoiato che come lo scambista del sabato sera fa gargarismi con termini come "estremismo" e "trasgressione" nel compiaciuto mantra dell'autoconvincimento, tenendosi fintamente lontano dalla massa incarnata nel borbottio sordo e caotico del mainstream ma poi nei fatti, facta concludentia vien da dire, si immerge nella becera omologazione esistenziale; Virgili al contrario, convinto di diventare famoso, ricco, e di poter restaurare la sua visione anti-umana e nichilista finì per attraversare la storia delle nostre lettere del tutto inosservato, solitario, semi-recluso come un Henry Darger prestato alla nostalgia devastante, preso a scrivere, roso dal verme della frustrazione, soldato in territorio nemico circondato dalle dinamiche incomprensibili di una assoluta ottusità...
Il primo libro di Virgili, La Distruzione, è una gemma; una piccola purulenta gemma di decostruzione linguistica che unisce in deviata simbiosi le funamboliche incursioni di un Guyotat con la vivida gelida prosa di un Sade prestato alla gloria crociuncinata dei pleniluni di Bayreuth...giudicato (o accusato) come l'unico scrittore autenticamente filo-nazista delle nostre lettere post-belliche, Virgili è uno straordinario cantore di mondi in fiamme. Celine, certo, Celine che ad esempio Saviano in una sua bella e sorprendente recensione cita come cardine ed elemento nodale, ma soprattutto a mio avviso Drieu La Rochelle e Albert Caraco; del primo, la disperazione algida, metaforicamente ipostatizzata in attimi che richiedono, spenglerianamente, delle decisioni, fuoco fatuo echeggiato dal suicidio come liberazione e dimostrazione della libertà, del secondo l'aderenza ad una visione malinconicamente nichilista, il furore di Breviario del Caos e le strazianti litanie di La Mia Confessione.
L'opera di Virgili è una piccola sorpresa; difficilmente si potrebbe pensare che la nostra narrrativa, troppo protesa a contemplarsi il socialmente rispettabile ombelico, abbia partorito una figura tanto sinistra e lacerante. Un autore capace di assommare nazismo, sadismo, visioni desolanti di morte e dolore atavico in un quadro di rara sofferenza emotiva, giustapponendo il tutt con una accurata sperimentazione linguistica; e dire che la stessa pubblicazione del libro divenne una storia surreale, intensa, degna di essere raccontata, tanto che essa stessa è divenuta un libro Cronaca della fine di Antonio Franchini, scrittore pregevole ed editor della Mondadori (il quale si trovò a vivere la paradossale situazione di rifiutare la pubblicazione del secondo libro di Virgili, Metodo della Sopravvivenza; ad oggi entrambi i testi sono editi da PeQuod, dopo l'oblio mondadoriano protrattosi per decenni). Franchini ripercorre la storia di Virgili, il rapporto conflittuale ma quasi socratico instaurato dall'autore con un gruppo di redattori e funzionari della Mondadori, le liti, le discussioni, la frustrazione patita dall'autore convinto di poter divenire un autore di successo ed invece destinato all'anonimato in vita (esattamente come Caraco).
Tanto Virgili quanto Caraco aderiscono disperatamente a ciò che scrivono, non fingono, non pongono in essere sceneggiature plastificate, non si crogiolano nel maudit a tutti i costi, non indulgono nel mero shock; sono acuti, brillanti, e crudeli.
Proprio come dovrebbe essere.

venerdì 11 luglio 2008

Halogen consiglia : DumDumZoom









"Trasgredire i tabù, così comanda il progresso economico” scrive Vaneigem nel suo Libro dei Piaceri, e gettando rivelatorie occhiate nel ventre luminescente ed ambrato di molte gallerie d’arte vedremo che ha perfettamente ragione, ragione da vendere, e vendere proprio la ragione con tanto di prezzario e catalogo e bestialità assortite elevate al gotha e al golgotha della passione artistica, come un fiume disperso a mezzanotte tra un inverno di Stalingrado e beata contemplazione fotografica estroflessa laddove l’hic et nunc diventa meno formale e più sostanziale, il tabù mercificato hegelianamente alienato nella rivoluzione industriale dell’arte si sublima sempre in un post che ingoia fagocita e metabolizza la semiotica e l’anelito (prometeico) devoluto alla interpretazione, assegnare significati al vuoto e al deserto che avanza è il nuovo lavoro dei critici, mandanti ideologici della nullificazione artistica presente, lucroso business di giocolieri sempre in piedi che palleggiano la responsabilità di aver reso grigia vana ed inutile l’arte, c’era una inondazione di corvi neri nella drammatica consistenza dell’orecchio mutilato di Van Gogh e ce lo ha comunicato Artaud eppure tra viaggi ascesi mantra ed esorcismi criptici nessuno avrebbe pensato di dover trasgredire ma solo di vivere perché il porsi volutamente in antitesi pone le premesse di un formale riconoscimento che nessuno vuole accettare.
L’underground mangia merda e se la fa piacere, suggerisce Hakim Bey, ha ragione pure lui e poco importa che alla fin fine lo stesso Bey prenda copiosamente parte al banchetto scatologico; l’underground è diventato sinonimo di pressappocchismo, di faciloneria, di trasgressione plastificata ed oleografica, nella stessa misura in cui l’arte, underground o mainstream che sia, (de)cade a scendiletto del borghese annoiato, della trovata flamboyant da vernissage tunisino con la torcia accesa sull’infinito del deserto e le dune di sabbia mobili agitate dal vento, ma puntando lo sguardo verso la tremolante linea d’orizzonte non vedrete più quel gelo orrendo ed orrido, abissale, immane, imperioso e totalizzante che era del cuore di tenebra, non più quella grandezza icastica e maledetta che dipingeva il nero di Goya o le visioni universali arancio-cupo di Blake o la carne fusa nei colori dannati di un Bacon o i chiaroscuri pompeiani di un Caravaggio pittura in punta di spada tra sangue e dannazione, oggi l’arte è un club privè per azzimati moloch caldei.
La cosa peggiore che un artista possa fare, ci dice Peter Sotos, è creare appositamente volendo generare una reazione, uno shock, mezzucci devianti lontani dalla razionalizzazione dei propri gusti e dalla volontà (di potenza) artistica, si compilano carovane passatiste piene di palude dell’anima, si impilano torte di merda e le si spaccia per deliziose sacher, complici in tutto questo interpreti e pseudo-critici che devono avere il naso molto raffreddato se non avvertono il lezzo pungente della decomposizione.
DUMDUMZOOM non è arte oppure è arte che sa di non essere arte, è una consapevolezza non trasgressiva e per questo proprio fuori dal canone della rispettabilità prezzata che contraddistingue la società artistica contemporanea, dichiara guerra alla stupidità, alla saccenza, alla vaniloquenza, alla idiozia ontologica priva e deprivata di senso estetico. Gusto e non-gusto, elevazione sulla torre d’avorio, entrando dalla finestra e rubando le posate d’argento come nel sogno paranoico-critico di Dalì in cui desiderio e oggetto del desiderio si contendono un posto al sole; l’artista moderno , se avesse le palle, seguirebbe il suggerimento di Luis Bunuel e andrebbe a far saltare in aria quella immonda sciocchezza che è Guernica, vera truffa dell’arte, Picasso mercificatore senza l’ironia di un Duchamp, ecco cosa è DUMDUMZOOM il coraggio metaforico di lanciare una palla infuocata di cocente irrisione nell’arengo delle cattive idee, cattivi maestri della creazione, serial killer dell’etica applicata all’arte, perché davvero morte all’utilitarismo e al Bentham diventato pittore, DUMDUMZOOM è molto più di una rivista, di una collezione di collage, delirii, assalti verbali, fotografia non-paludata, scrittura automatica a flusso di coscienza che si nutre della suggestione fatta propria da Charlie Manson quando puntando un dito accusatore contro i suoi carnefici diceva “siete voi ad aver fatto tutto questo, non io”, impulso tellurico, scismatico, sismico, estroflesso, emerge dai cunicoli come presenza fantasmatica grigia ma striata di bellissimi colori, come una folle gioia che accende e riscalda i cuori, perché si non è solo una rivista ma un mezzo d’assalto un modo di fare filosofia col Panzerfaust di gettare un po’ di fango di ritorno e di rendere la concreta pariglia ai soloni dell’arte e della espressione letteraria contemporanea, senza tregua e senza siesta un carnevale messicano di morte la foto di un Santerineross adombrata e macchiata dalle ombre dei pueblos argillosi e le maschere e la consistenza dimenticata di un sotto-mondo.
DUMDUMZOOM è la pratica estensione psicogeografica di un locus un tempo abbandonato e che oggi si ripopola nella festa perenne del motto dannunziano, un locus che esiste, concreto, di acciaio vetro e cemento circondato dal folto del bosco e sulle pendici scoscese della dimensione meta-urbana, arroccato come una postazione nemica nel ventre sapido ed insipido della trasgressione ad ogni costo, Rave sintomatico e decostruito, Situazione perché il Situazionismo da quello viene, dalla comprensione del momento, dallo scambio simbolico baudrillardiano avvenuto su autostrade di comunicazione meno che cyberpunk ma più neon e più asettiche di una formaldeide ospedaliera, cristo di acciaio e Shelob biomeccanoide come un Giger sepolto e Lazzaro emerso e potente e taciturno col sigaro in bocca ed una bottiglia di whisky a tracolla, la traversata del deserto a dorso di Harley Davidson.
DUMDUMZOOM si incarna nella lotta ma come ogni mito che si rispetti svanisce alla mezzanotte, mentre l’oceano di fuoco schiude i suoi petali, svanisce e poi rinasce nutrendosi del fuoco perché l’Araba Fenice non esige altro che intelligenza emotiva emozionale creativa.
L’intelligenza non ha prezzo.
La stupidità invece dovrebbe essere dolorosa.







DumDumZoom è distribuito da Mondo Bizzarro









domenica 6 luglio 2008

L'estremismo d'accatto e' nemico del Radicalismo





"L’emancipazione non ha peggior nemico di chi pretende di cambiare la società e non smette di dissimulare esorcizzandolo il vecchio mondo che si porta dentro."


"Teologi della Grande Sera vi separano sottilmente il territorio degli angeli e dei demoni, gli sciancati dell'insurrezione a venire sciolgono la matassa delle linee da seguire, i puritani finalmente decisi ad approfittare della vita, poiché non ci sono che i piaceri che costano, si frequentano con i procuratori inchinandosi alle virtù della trasgressione, predicando i doveri del rifiuto, assegnando etichette di radicalità e denunciando la miseria dell'ambiente.

Ai giudici replicano gli avvocati del quotidiano e, il disprezzo si aggiunge al disprezzo, mentre sale da queste comuni assemblee un odore"


"Il godimento si affronta come un esame, con una bocciatura o unariuscita.Bere, mangiare, dedicarsi all'amore fanno parte ormai degliornamenti della buona reputazione.Per il brevetto di radicalità,segnate qui la media oraria dei vostri orgasmi! E’ finita con i peccati dell'ozio da quando i piaceri vengono assunti alla fabbrica quotidiana.Trasgredire i tabù, così comanda il progressoeconomico!"


R.Vaneigem, IL LIBRO DEI PIACERI

Je ne regrette rien




Non! Rien de rien ...

Non ! Je ne regrette rien

Ni le bien qu'on m'a fait

Ni le mal tout ça m'est bien égal !

Non ! Rien de rien ...

Non ! Je ne regrette rien...

C'est payé, balayé, oublié

Je me fous du passé!

Avec mes souvenirsJ'ai allumé le feu

Mes chagrins, mes plaisirsJe n'ai plus besoin d'eux !

Balayés les amours

Et tous leurs trémolos

Balayés pour toujours

Je repars à zéro ...

Non ! Rien de rien ...

Non ! Je ne regrette nen ...

Ni le bien, qu'on m'a fait

Ni le mal, tout ça m'est bien égal !

Non ! Rien de rien ...Non ! Je ne regrette rien ...

Car ma vie, car mes joies

Aujourd'hui, ça commence avec toi !


HONNEUR ET FIDELITÉ

giovedì 3 luglio 2008

Intro all'intervista con Romain Slocombe


(come annunciato nel post precedente pubblico qui l'intro alla intervista a Romain Slocombe, non essendo stato possibile per ovvi motivi di spazio accorparlo all'intervista stessa che ha visto la luce sul numero di Luglio di Blue)




Col passare degli anni, l’artista francese ha accumulato una mole impressionante di lavori, e riassumerli tutti sarebbe opera impossibile; tra i più significativi, avvertendo sin da ora che si tratta di una selezione operata da chi scrive (e come tale opinabile e soggetta ad un gusto ben precisto), vanno citati il fumetto Prisonnière de l’Armee Rouge (Les Humanoids Associes, 1978), storia distopica in cui vengono organicamente mescolati estetica del terrorismo, feticismo asiatico e sadomaso, La Nuit de Saigon (Futuropolis, 1986) e Tigre volants contre Zeros (Albin Michel, 1989) entrambi albi piuttosto caratteristici in cui l’elemento bellico, nel primo caso la guerra del Vietnam nel secondo la Seconda Guerra Mondiale combattuta sul versante dell’oceano pacifico, viene trasfigurato e sublimato nella ricerca di un piacere feticista.
Illustrazioni pregevoli compaiono in Tristes Vacances (Carton Editions, 1986), incredibile storia di una comitiva di ragazzine giapponesi la cui gita viene sconvolta da un incidente stradale che le farà finire ospedalizzate e coperte di ferite e gesso; mentre il meglio dello Slocombe fotografo è dato in Japan in Bandage (Artware, 1997), Broken Dolls (Jean-Pierre Faur editeur, 1994), City of the Broken Dolls (Velvet Publications, 1997), Tokyo, un Monde Flottant (Michel Baverey Editeur, 1997), Les Japonaises blessèes (Mondo Bizzarro Press, 2001, catalogo della omonima mostra tenutasi in Italia presso la Mondo Bizzarro Gallery, 5 maggio-6 giugno 2001). Mentre lo Slocombe romanziere può essere apprezzato in Phuong-Dinh Express (Les Humanoides associes, 1983) e in Le Bandit Rouge (Fernand Nathan, 1992). Come saggista ha pubblicato il volume L’Empire Erotique (La Sirene, 1993).
E’ tra l’altro traduttore dal francese all’inglese del controverso Pierre Guyotat.
Ciò che colpisce nell’opera di Slocombe, aldilà della intrinseca poliedricità espressiva, è la nitida e semi-ossessiva ricerca di un oggetto del desiderio; feticismo nel suo senso etimologico, lunghi quadri cristallizzati nello scatto fotografico o nei frames cinematografici che mostrano prevalentemente ragazze giapponesi o interni di ospedali (ricostruiti su set) o di abitazioni nipponiche. In alcuni casi (soprattutto nel documentario poi divenuto catalogo fotografico Tokyo un Monde Flottant), ecco apparire davanti ai nostri occhi un’urgenza viscerale che lo accomuna a ricercatori metropolitani come Nobuyoshi Araki o Nan Goldin, ma in una certa misura senza la pretenziosità che a volte anima questi due fotografi.
Amico di Richard Kern, ne condivide le ansie di esplorazione delle infinite possibilità offerte dal corpo, un corpo sottratto al suo contesto fisiologico, issato su di un piedistallo erotico, spogliato, messo a disposizione di invisibili legioni di voyeurs.
Forte della sua abilità linguistica e della sua passione per la cultura nipponica, Slocombe ha da tempo dato vita ad una significativa sinergia con la città di Tokyo; come ha modo di dichiarare durante una intervista condotta da Jack Sargeant e pubblicata poi nell’ottimo volume Suture, edito da Creation, “a Tokyo regna una incredibile tensione erotica…uno stordente labirinto in cui si fondono e si confondono tecnologie e ritmi e riti del ventunesimo secolo con le vestigia del passato e della cultura dei Samurai. E la gente è rispettosa e tranquilla e tende a divertirsi in ogni modo, sfruttando ogni possibilità “.
L’artista francese ha tra le altre cose svolto una pregevole opera di talent-scout, incoraggiando e “scoprendo” Trevor Brown i cui primi lavori grafici in effetti sono palesemente influenzati da un’estetica medical fetish.

Mia intervista con Romain Slocombe su Blue di Luglio




E' uscito il numero 190 di Blue, il quale ospita una mia lunga intervista all'artista francese Romain Slocombe (ben 8 pagine di rivista, con molte foto inedite e di alta qualita', cosi' come di alta qualita' le lunghe e dettagliate risposte). Per comprensibili motivi di spazio non e' stato possibile far precedere l'intervista da un piccolo saggio che avevo preparato, ragion per cui il solo articolo sara' pubblicato su questo blog