sabato 2 febbraio 2008

Il Ragno Rosso


Quelli come me non si ispirano ai film, sono i film che si ispirano a quelli come me

David Harker, assassino cannibale, rispondendo alla domanda se fosse stato ispirato dal film Il Silenzio degli Innocenti

Nessuno può negare che i serial killer siano tra tutte le varie tipologie di delinquenti quelli più fantasiosi; generalmente il crimine viene percepito coma una scorciatoia verso una vita più agevole e semplificata, o come una alternativa al lavoro, ne diventa evidente la morfologia economicistica devoluta ad un insieme di pratiche routinarie che esattamente come un qualunque lavoro ordinario e rispettabile forniscono un salario, mentre invece l’omicidio seriale essendo legato alla soddisfazione di impulsi primari a base sessuale si situa totalmente fuori da questa prospettiva.
E non fatevi ingannare dal termine “modus operandi”, non è routine, non è la ruota di un ingranaggio di morte, e forse non è nemmeno una firma in senso di delimitazione del territorio, ma solo un esercizio di praticità che in alcune condizioni può essere mutato. D’altronde esistono e sono esistiti alcuni killer capaci di mutare modo di uccisione, persino target di vittime, e via dicendo, divenendo imprevedibili e affinando con il tempo le loro arti omicidiarie.
Il giovane polacco Lucian Staniak amava invece la routine omicidiaria, e si curava che ogni suo omicidio somigliasse al precedente; c’è un solo particolare però che rende così peculiare la sua figura. Agiva nella Polonia degli anni sessanta.
Un periodo in cui perfino negli Stati Uniti si ignorava il concetto criminologico di assassino seriale, il termine doveva ancora essere coniato e l’FBI era lungi dal creare speciali squadre che si occupassero delle analisi comportamentali e delle indoli devianti; figuriamoci oltre la Cortina di Ferro, nel paradiso socialista.
Ma Staniak era un tipo particolare anche per altre sue caratteristiche; in primo luogo era un poeta ed un artista, ed anzi unì queste due sue passioni redigendo meticolosamente i biglietti di rivendicazione dei suoi atroci crimini usando della tempera diluita di color rosso. In stile Jack lo Squartatore erano le sue poetiche elucubrazioni inviate alle autorità, e in stile Jack lo Squartatore erano pure i suoi delitti.
“Non c’è felicità senza lacrime, non c’è morte senza vita. Attenti! Vi farò piangere”, non oso immaginare la faccia del redattore che si trovò a leggere questa lettera, alla vigilia della festa nazionale polacca. Non sapeva ovviamente come avrebbe dovuto interpretarla; minaccia di un terrorista, pazzo esibizionista, scherzo di cattivo gusto?
Quando il giorno successivo fu trovato in un parco pubblico il corpo nudo ed eviscerato di una diciassettenne, quella lettera assunse un valore del tutto differente, anche se Staniak non mancò di far pervenire un nuovo messaggio che a scanso di equivoci chiarificava le sue responsabilità.
“Ho raccolto un fiore succoso a Olsztyn e farò lo stesso da un’altra parte, perché non c’è vacanza senza funerale”.
La grafia, incerta ed in colore rosso, fu confrontata con quella della prima lettera e si scoprì che a scrivere entrambi i bigliettini era stata la stessa mano. Le autorità a questo punto si allarmarono, perché non erano evidentemente pronte a livello metodologico ed operativo per far fronte ad una emergenza del genere; non si trattava di un crimine insurrezionale, lato sensu politico, né di un delitto comune dettato da un qualche movente che potesse essere ricostruito ed investigato. Si trattava invece di una feroce e cieca esplosione di furia omicida dettata in apparenza da uno straniato senso del piacere. La scienza criminologica dell’epoca, e quella comunista in genere, non si dimostrava molto propensa, anche per fraintesa pruderie, ad accettare l’idea che una persona potesse sublimare impulsi affini alla sessualità attraverso l’omicidio; non si dimentichi che gran parte delle analisi di delitti sessuali condotte da psichiatri della fine dell’ottocento e degli inizi del 1900 erano state bandite in tutti i principali paesi totalitari, e l’assassino sessuale stesso liquidato come perverso frutto della malata società borghese..
Sei mesi dopo il ritrovamento del cadavere nel parco pubblico, Staniak tenne fede alle sue promesse e macellò una ragazzina di sedici anni che tornava a casa da una manifestazione studentesca, la violentò ripetutamente, la picchiò ed infine la strangolò con del filo di ferro che le tranciò la gola e finì quasi per decapitarla.
Ormai in preda a raptus in accelerazione, Staniak si dedicò alacremente alla pittura, recandosi sistematicamente presso l’Accademia di pittura della città in cui viveva; tentava sfogando le sue pulsioni artistiche di tenere a bada l’istinto omicida, ben sapendo che se avesse colpito a distanza troppo ravvicinata sarebbe divenuto identificabile. Fu così che si trascinò fino al 1 novembre, festa di Ognissanti, ed in questa occasione mise a segno uno dei suoi crimini più brutali ed efferati, uccidendo (o meglio; martoriando) una giovane donna a colpi di cacciavite ed inserendole nella vagina, nel pieno dell’agonia, un tubo metallico che le aveva slabbrato le grandi labbra e lacerato il clitoride ed i tessuti interni. Per celebrare degnamente quell’exploit, Staniak inviò una nuova missiva ai giornali.
“Solo le lacrime di dolore possono lavare la macchia della vergogna; solo i morsi della sofferenza possono estinguere le fiamme della lussuria”.
Dopo sei mesi, nella ricorrenza del Primo Maggio, festa dei lavoratori e come tale particolarmente sentita in un paesa di comunista di lunga tradizione operaia come la polonia, Staniak mise in atto il suo delitto più raccapricciante; violentò e massacrò una diciassettenne nei sobborghi di Varsavia. Non pago dell’aver martirizzato il cadavere con un coltello affilato, apriì la cassa toracica della vittima e si mise a trafficare con gli intestini, srotolandoli come fossero festoni putrescenti e li attorcigliò sulle gambe nude della ragazza.
La scena che si presentò agli occhi dei poliziotti intervenuti fu sconvolgente.
A questo punto la psicosi era dilagata. Ed i giornali, in forza delle rivendicazioni sistematicamente mandate loro da Staniak, lo soprannominarono Ragno Rosso, proprio perché si firmava sempre con quella vernice diluita di colore rosso. Il primo serio errore, l’assassino lo commise alcuni mesi dopo, alla Vigilia di Natale, quando dopo aver orrendamente ucciso un’altra diciassettenne su un vagone del treno non perse tempo e infilò nella casella postale del vagone stesso la sua lettera di trionfo. Ma i poliziotti questa volta, scoprirono quasi subito che la sorella della vittima, una quattordicenne, aveva subito lo stesso destino due anni prima, sempre per mano del Ragno Rosso; era evidente quindi che entrambe conoscessero il loro carnefice. I problemi di Staniak non finivano però qui; tutte e due le sorelle erano state modelle presso un’accademia pittorica di Cracovia, e gli investigatori avevano accertato che le lettere di rivendicazione erano vergate con una vernice diluita particolarmente utilizzata dai pittori.
Intanto, nei mesi precedenti, erano stati raccolti alcuni indizi che collegavano l’assassino alla città di Katowice. Fu così che la polizia decise di analizzare il registro dei soci dell’accademia dei pittori di Cracovia per vedere quanti di loro fossero originari di Katowice; con loro sorpresa scoprirono che ce n’era uno solo, tale Lucian Staniak. Perquisirono il suo armadietto e trovarono colori rossi e un abbozzo di dipinto che mostrava una donna eviscerata dal cui ventre spuntavano fiori.
Prima che potessero mettergli le mani addosso però Staniak fece in tempo a consumare un ultimo omicidio, ai danni di una studentessa di diciassette anni.
Catturato, venne rapidamente processato ed internato per il resto dei suoi giorni in un manicomio criminale.

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