venerdì 9 novembre 2007

Chikatilo





Carcere di Novocherkassk.
Un cunicolo buio ed umido, la cui unica illuminazione è un impianto tubolare neon, viene percorso da due guardie e dal giudice Leonid Akubzhavov, che poche ore prima ha emesso la sentenza di morte nei confronti di Andrei Chikatilo, in un’aula grigia, gremita da esponenti dei media e da una variegata folla di parenti di vittime, madri piangenti, nonni annichiliti dallo strazio.
Andrei Romanovic Chikatilo, il Macellaio di Rostov, ex professore di lettere e poi custode e bidello, sadico violentatore, molestatore di bimbe, uccisore di prostitute, vampiro, cannibale , sta per ricevere un colpo di pistola alla nuca. La sua esistenza di depravato libertino volge al termine, in una di quelle albe rosso sangue che avevano finito per segnare indelebilmente, decenni prima, l’immaginario di un altro vampiro pedofilo, Peter Kurten.
Porta con sé all’inferno 52 vittime accertate. E porta con lui anche il dolore immenso di parenti che potranno pure gioire dell’avvenuta esecuzione, ma che saranno svegliati ogni notte, madidi di sudore e con il cuore impazzito, dal ricordo dei loro cari brutalmente seviziati e uccisi e dall’immagine di quest’uomo che durante il dibattimento processuale, mentre veniva data lettura delle brutalita’ perpetrate, rideva e leggeva riviste porno.
Perché sanno, e lo sa la Russia e il mondo intero , grazie alle inesauste descrizioni operate dai mass media che Chikatilo non si è accontentato di indulgere nell’omicidio. La semplice eliminazione fisica di altri esseri umani non gli avrebbe dato piacere.
Chikatilo aveva la necessità di dilatare la sofferenza, di intrappolare, di molestare, di tagliuzzare e spillare sangue e berlo goccia dopo goccia, impiastricciandosi la bocca con le lacrime e il sangue e l’orrore stesso delle sue vittime, che prese dal panico, doloranti, incredule, lo supplicavano di lasciarle andare e pregavano dio. Inutilmente.
Chikatilo è nato il 16 Ottobre 1936. In una famiglia di poveri contadini.
Se volessi indulgere in quel becero esercizio di gossip criminologico, quale in fondo è la scienza comportamentale e andassi indietro con la memoria alla ricerca di traumi, violenze o abusi subiti o famiglie disgregate, l’unico elemento degno di nota che si nasconde nel passato di Chikatilo è l’ ossessione per il cannibalismo; a differenza di quanto comunemente affermato, è assai probabile che Chikatilo non sia stato testimone di veri atti di cannibalismo avvenuti durante gli eccessi della guerra, quando intere aeree rurali, a causa dell’invasione tedesca, sprofondarono nella carestia. Ma è probabile che due suoi fratelli, scomparsi senza lasciar traccia, abbiano costituito il pretesto per la loro madre per inventare una terrificante storiella da raccontare, come monito, ai figli superstiti, tra i quali appunto c’era Chikatilo stesso .
Dovrei credere che una semplice storiella di ragazzini rapiti, fatti a pezzi, cotti e mangiati da un’orda di contadini cannibali avrebbe dovuto scatenare la brutale lussuria omicida di Andrei ? Sarebbe stupido, e finirebbe per negare l’intrinseca genialità di questo timido e remissivo professore di lettere convertitosi alla crudeltà dell’omicidio seriale.
La vita di Chikatilo scorre apparentemente tranquilla. Il conseguimento di una laurea in Lettere, il matrimonio con Fayina, due figli, la cattedra in un piccolo liceo, l’insegnamento. Ma l’animo di sadico alberga in lui.
Niente può placare quegli impulsi, quell’imperativo interiore che lo spinge, dapprima, a molestare le studentesse che tornano a casa. Le pedina, sale sui bus, tocca le loro parti intime, confuso tra la folla dei pendolari. Il sesso non lo interessa. Lo trova scontato e noioso.
Preferisce il dolore.
L’abuso.
Il sadismo.
Sua moglie, nonostante lo inviti a più riprese ad adempiere ai “ suoi doveri coniugali “, rimane a bocca asciutta.
Ma quale è , concretamente, il punto di rottura che spinge definitivamente Chikatilo ad uccidere ?
Da un lato il peggioramento della sua situazione sociale ed economica, il cupo risentimento che nutre nei confronti dei giovani, viene deriso ed umiliato dai suoi stessi studenti, perde il posto di lavoro a causa delle sue ossessioni sessuali.
E l’incontro con la dolce Lena Zakotnova, una bimba che Andrei, rotti gli indugi, catturò e portò in un piccolo casolare che sorgeva nascosto dalla foresta di Rostov; qui Andrei prese a tagliuzzarla, a farla urlare dal dolore, a succhiare ogni singola goccia di sangue ed eiaculò nei suoi stessi pantaloni, mentre la bimba si dibatteva e chiedeva perché quel signore le stesse facendo quelle cose orribili. Il corpo di Lena fu ridotto ad un insensato giocattolo di carne su cui Andrei potè scatenare la sua perversa libido. Una poltiglia sanguinolenta di carne ed ossa.
Quando Lena fu morta, Andrei si placò. Aveva raggiunto l’orgasmo.
Ed aveva capito che l’omicidio era davvero, come aveva sostenuto secoli prima Sade, un’energia in grado di scatenare tutte le altre passioni .
Il Macellaio di Rostov si è meritato sul serio questo appellativo.
E’ stato un solerte, brutale, depravato massacratore di ragazzine, bambini, prostitute, non si è arrestato davanti a nulla, esplorando ogni forma di feticismo estremo, dal cannibalismo al sadismo, dal vampirismo alla pedofilia. Ha dimostrato una personalità ricca di sfumature e contraddizioni. Ha potentemente razionalizzato i suoi istinti e compresi per tempo i suoi gusti, li ha assecondati e soddisfatti. A differenza di molti altri pluri-omicidi, Chikatilo non è mai stato abbagliato da una frenesia che potesse ottundere il suo raziocinio e se si escludono le foto che lo immortalano con volto folle e stralunato ( che possono anche essere il corollario di una precisa strategia processuale ) , c’è da giurare che si sia goduto ognuno dei suoi crimini in modo perfettamente lucido e razionale.
52 cadaveri massacrati, lasciati a decomporsi in fiumi, discariche, sterpaglie, neve, ammassi di carne decomposta, vermi e mosche e un fetore insopportabile, una patina di ghiaccio a cristallizzare per sempre l’espressione disperata delle vittime.
Tra gli ulteriori trionfi di Chikatilo, da annoverare l’ingiusta esecuzione del povero Aleksander Kravchenko, originariamente indicato e processato e condannato come colpevole dell’uccisione della piccola Lena; una folla scalmanata ed eccitata, spinta e infiammata dai mass media, ne reclamò a gran voce la morte e Kravchenko si beccò un proiettile per un crimine commesso da Chikatilo.
Ma i trofei di Chikatilo hanno, quasi sempre , dei nomi e delle fisionomie e delle storie e delle famiglie rimaste in vita per piangere ed imprecare e maledire il giorno in cui il sadico Andrei ha incrociato la strada dei loro pargoletti:
1978 Lena Zakotnova
1981 Larisa Tkachenko
1982 Lyuba Biryuk
1982 Lyuba Volobuyeva
1982 Oleg Pozhidayev
1982 olga Kuprina
1982 Ira Karabelnikova
1982 sergej Kuzmin
1982 Olga Stalmachenok
1983 Laura Sarkisyan
1983 Ira Dunenkova
1984 Lyuba Kutsyuba
1983 Igor Gudkov
1983 Boris Namestnikov
1983 Vakya Cuchulina
1983 Donna non identificata
1983 Vera Shevkun
1983 Sergej Markov
1984 natalia Shapanina
1984 Marta Ryabyenko
1984 Dima Ptahsnikov
1984 Tanya Petrosian
1984 Sveta Petrosian, figlia di Tanya
1984 Yelena Bakulina
1984 Dima Ilarionov
1984 Anna Lemesheva
1984 Sveta Tsana
1984 Natasha Golosovskaya
1984 Lyuba Alekseyeva
1984 Donna non identificata
1984 Akmadal Seidalieva
1984 Sasha Chepel
1984 Irina Luchinsskaya
1985 Natalya Pokhilstova
1985 Irina Gulyaveva
1987 Oleg Makarenkov
1987 Ivan Bilovetski
1987 Yura Tereshonok
1988 Donna non identificata
1988 Lyosha Voronko
1988 Zhenya Muratov
1989 Tatyana Ryzhova
1989 Sasha Diakonov
1989 Lyosha Moiseyev
1989 yelena Varga
1990 Andrej Kravchenko
1990 Yaroslav Makarov
1990 Lyubov Zuyeva
1990 Vitya Petron
1990 Ivan Fomin
1990 Vadim Gromov
1990 Vitya Tishchenko
1990 Sveta Korostik
Le indagini sui crimini di Chikatilo sono durate dodici lunghi anni. Dodici anni di sviste, grossolani errori, dolore, panico, cadaveri raccolti nudi e martoriati dalle foreste di Rostov, funerali, mute implorazioni al cielo, maledizioni, genitori straziati.
Una volta catturato, Andrei non ha rinnegato nulla. Non si è proclamato innocente né ha chiesto scusa per ciò che ha fatto.
E’ morto nella sua cella, giustiziato con un colpo di pistola alla nuca. Mentre fuori i parenti delle sue vittime festeggiavano, non sapendo che la loro apparente ed insignificante gioia, quei volti forzatamente sorridenti e lo champagne e i flash dei fotografi, non sono stati altro che l’ultima vittoria di Andrei Romanovic Chikatilo.

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