martedì 17 giugno 2008

Una Notte, nell'oscura città



(foto by A3bla)


C’è la televisione accesa nel soggiorno, una televisione che reclamizza prodotti dietetici e materassi e che sbraita gioiosamente di corteggiamenti posticci e storie d’amore vip tra calciatori e soubrette e ricostruzioni di delitti atroci consumati in provincia, quella provincia tetra e nebbiosa e fredda e impersonale in cui lui vive.
Dopo una dura giornata di lavoro, torna a casa. Può fare ciò che vuole, giocare alla playstation o mettere su un dvd o trascrivere i conti di fine mese, ma il volto angelico di sua figlia è sempre lì, nelle foto, nella sua mente.
Nella straziante memoria.
Nel ricordo della messa funebre, del corteo di macchine che ha portato la dolce ragazzina verso la tomba.
I fiori freschi sulla lapide.
Il sorriso del suo cucciolotto, una giovane vita stroncata senza davvero un motivo che non fosse la lussuria di un maniaco adulto e dei suoi giovani complici.
Il padre accende la tv e sente, nitidamente, un servizio su sua figlia, toccanti accordi di pianoforte ad accompagnare la melodrammatica voce della giornalista, le immagini così vicine e familiari ed amate, vede casa sua, la strada che percorre tutti i giorni per andare a lavoro, l’erba ben curata e rasata del cimitero in cui riposa la sua bimba.
Piange nella penombra azzurrognola del salotto. Piange perché vorrebbe stringere per un’ultima volta il suo tenero angelo volato in cielo troppo presto. Ed è una sofferenza che mai nessuno psico-farmaco potrà lenire. Le parole di conforto di amici e conoscenti e vicini e preti suonano ipocrite, false, dannatamente di circostanza.
Loro non sanno cosa sta provando. Tutte le loro idiozie di pietà e perdono e amore.
Lui piange.
Piange immobile, paralizzato dal dolore.
Non fa nemmeno in tempo ad asciugarsi le lacrime, che la televisione ha divorato il servizio e il ricordo della giovane vittima e zompetta gaia tra un trono su cui sta seduto un coglione e un interno di casa lussuosa, abitata dall’ennesima puttana il cui principale merito artistico è l’essersi fatta scopare dal produttore giusto.
E’ in momenti come quelli che un odio cieco lo pervade. Una sensazione che supera tutte le sterili chiacchiere sul bene e sul male, sui canoni della rispettabilità sociale, sulla necessità dell’integrazione e del seguire i comandamenti.
Attimi in cui avverte, percepisce un nuovo abuso consumato ai suoi danni.
L’essere diventato un personaggio di pubblico dominio. Riconoscibile, e vulnerabile. Macinato nel polpettone dei pre-serali, dove non esiste più differenza tra vittime e carnefici, tra bomber e veline, tra eroi del gossip e scrittori.
Una massaia rattristata da questa tragica storia, il cuore piegato dai servizi di Striscia la Notizia e dalle scottanti rivelazioni di Albano Carrisi, deciderà di scrivere una lettera di conforto al padre della vittima.
Ma non la indirizzerebbe al papà, no. Preferirebbe immaginare un ipotetico dialogo tra lei e la piccola, candida vittima che adesso riposa sotto terra.
Perché è così che il commento deve avvenire, direttamente tra chi lo formula e il destinatario .
La televisione è democrazia ed azzera le mediazioni. Rende grande maitre a penser chiunque.
E’ questa la lezione dei reality e dei talk show.
Scriverebbe qualcosa come :

Cara,
Tu non mi conosci. Non di persona almeno. Ho seguito l’intera vicenda che ti ha coinvolto . L’ho seguita in televisione e sui giornali. Ho letto tutto. Mi dispiace davvero molto. Adesso, ti devo confessare, è come se vi avessi conosciuto davvero, te e tuo padre . Le tue foto, il tuo sorriso. Ho deciso di scriverti, piccola mia, perché voglio tu sappia che non sei sola, e che non lo sarà certamente tuo padre . Voglio tu sappia cosa sto provando.
Nei tuoi confronti, nei confronti di papà e dell’uomo che ha organizzato la tua morte. La tua barbara uccisione.
Quel bastardo.
Come ha potuto? Non solo ha fatto del male a te e alla tua famiglia e alla nostra piccola comunità ma ha anche tradito la fiducia di sua moglie e del suo bambino.
Che faranno loro senza di lui ?
Gesù.
Non riesco neanche ad immaginare quel depravato concepire un piano per trascinarti in quel posto e cercare di violentarti. E’ orribile.
Per quei tre invece ho solo disprezzo. Sono stati dei burattini, semplicemente dei burattini senza volontà propria. Non è possibile che a quell’età un ragazzino decida consapevolmente di fare un cosa del genere.
Una cosa del genere, Cristo, sembra facile a dirlo così ed invece dietro quella cosa si nasconde la morte di una bambina. Una fine orrenda.
Ricordo come fosse ieri il giorno del tuo battesimo, piccola , ti ricordo poi in chiesa per la comunione con quel bel vestito bianco e i capelli raccolti e puliti che incorniciavano il visino e sapere che sei morta, che sei morta in quel modo, mi fa male.
Abituarsi alla scomparsa di una persona cara è dura , abituarsi alla scomparsa di una persona nel fiore dei suoi anni è quasi inaccettabile, impossibile. Non dovevano farlo. Bastardi.
Pensa sua moglie, poveraccia. A struggersi nel dolore e nel dubbio, un tarlo interiore che le scava nel cuore. E se fosse stato lui. Sul serio ? No, accidenti, è un uomo gentile, affettuoso, sempre pronto ad una parola di conforto, guarda come coccola il nostro bambino in questo sgranato film in super-otto.
Te la immagini in salotto, con le foto del matrimonio sparse sui divani e sul tavolo, i fiori appassiti che si stanno putrefacendo sul centrino, la televisione ingolfata dai frammenti felici della loro esistenza comune.
Il bambino piange. E’ una sensazione nuova, e sgradita, sentirlo piangere adesso. Prima quei vagiti non erano che il simbolo della loro unione, del loro amore. Adesso invece rappresentano solo uno sgraziato richiamo alla realtà.
Non si può perdonare un uomo così. Forse se ne può avere compassione. Ma non è cosa di noi che viviamo in questo paese. Forse solo dio saprà perdonarlo.
Da quel che ho letto hai lottato, hai reagito, non li hai lasciati fare impunemente. Immagino le tue grida, di implorazione prima, di maledizione dopo. Hai cercato di far rispettare la tua esistenza ma quei maiali non volevano saperne ed hanno abusato di te e del tuo corpicino, infierendo con coltellate e tu fuggivi col sangue che grondava e correvi nella cascina, la vista annebbiata, il dolore, la confusione, il cuore in gola, le urla disperate e supplici e le invocazioni rivolte ai tuoi genitori.
I tre aguzzini che continuavano a colpire e quel porco che ti teneva, ti teneva incatenata ad un destino orrendo.
La pagheranno.
Anche se penso che il carcere sarà poco per loro. Sconteranno le pene in silenzio e poi torneranno alle loro vite, in attesa che una nuova vittima capiti a tiro.
Li deve far sentire bene torturare una ragazzina innocente. Non posso crederci, e dopo tutto chi potrebbe crederci ?
E’ un mondo che non conosce pietà. Pregherò per te, in chiesa e a casa mia, piccolo tesoro, porterò fiori sulla tua tomba e se ne avrò tempo andrò a trovare tuo padre.
In questo grigio Autunno di sangue, è giunto il tempo di salutarci, fiorellino mio.
Ho visto con soddisfazione la comunità stringersi attorno ai tuoi. Devono farsi coraggio e tentare di superare questo brutto momento. Ce la faranno.
Ce la faremo.
Tutti insieme.

Limerà tutte le singole parole e i verbi, sarà assalita dal dubbio di aver utilizzato la metafora ideale o meno per il tono della lettera, non vorrebbe mancare di rispetto e allo stesso tempo non perdere la rabbia intessuta di appeal televisivo di ciò che ha scritto, rabbia per chi la merita ed infinita dolcezza per le vittime. La leggerà una, dieci, cinquanta volte, fino ad impararla a memoria, fino a poterne recitare i passaggi con enfasi teatrale. La farà leggere
al marito e ai figli e alla vicina di casa. Come prova di buona volontà. Poi prenderà il coraggio a due mani e la spedirà.
Quella stessa sera andrà a dormire felice. Sicura di essere una persona migliore.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Questa cosa risulta molto più difficile da digerire qi qualsiasi elenco di sevizie che hai scritto.E la cosa bella che qua non ti sei veramente inventato nulla.
G

AV ha detto...

Sono persuaso del fatto che la violenza cronachistica diventi altro rispetto all'oggetto narrato, alla violenza del fatto che il giornalista vorrebbe decostruire e di cui vorrebbe parlare...una nuova essenza, eminentemente pornografica, in cui la lacrima è valutata, venduta, soppesata, non più metafora ma carne e sangue, ed in cui i proverbiali 15 minuti di celebrità scolorano come le pagine di una rivista porno di infima qualità abbandonata in una discarica