martedì 22 aprile 2008

Il Manifesto Essemian





Meno annoiato di Crowley, e decisamente meno avventuroso, me ne stavo a guardare il profilo austero e nebbioso di San Francisco da un punto imprecisato del Golden Gate, i primi gorghi arancioni del sole mattutino ad allungarsi nel cielo proprio sopra la mia testa. Lo sciabordio dell’oceano, più che canto di sirene, vera epifania di scintille argentee fagocitava le sagome di navi da trasporto ed aerei, sibili cupi e profondi a confortare pensieri di una nuova giornata priva di un senso specifico.
Luogo per mantra satanici, il Ponte. Come in generale tutta la California.
Non mi stupiva, come non mi stupisce oggi, immaginare quella storia ininterrotta intessuta della cinematografia di Kenneth Anger, i ritmi satanico-psichedelici dell’Orkustra di Bobby Beausoleil, la Contestazione, i beat, Mel Lyman, Orange County, i Beach Boys e la fenomenologia del Surf, la nascente epifania di Eris Dea Della Discordia nel pensiero di Joshua Norton e Robert Anton Wilson, Thimothy Leary, L’Esercito Simbionese e la Chiesa di Satana, Jack Kerouac, gli esperimenti scientifico-alchemici di Jack Parsons, i Rolling Stones e le gang di motociclisti, Charlie Manson. Tutto mescolato assieme in un territorio soleggiato e desertico annesso agli USA veramente da poco tempo.
Non ricordo se quella mattina stessi pensando a qualcosa del genere. Ma so che appena tornato a casa, per una di quelle sincronicità junghiane che rendono l’esistenza della Magia un puro dato di fatto, trovai ad attendermi un pacchetto in arrivo da New York ed una consegna a mano in immancabile plico nero che tradiva come mittente la Chiesa di Satana. Da New York, mi era stato finalmente recapitata una copia di Funeral Party II, antologia di pensiero terminale e borderline.
Lasciai il messaggio della Chiesa di Satana in camera da letto e mi fermai in cucina a leggere un estratto da Funeral Party, specificamente l’intervista con Uli Lommell, regista e attore feticcio di Fassbinder; tra i suoi progetti parlava di un film, Holy Joan of Balboa, interamente basato sulla autentica vicenda di una Domina californiana, residente nel piccolo centro di Balboa, la quale aveva fondato una Chiesa del BDSM.
Fu divertente. Ed inaspettato.
Perché se si eccettuavano le fanzine ciclostilate, i primi articoli di Pat Califia, La Sadica Perfetta di Terence Sellers e pochi altri testi di Domine politicamente orientate, come Dominatrix- The making of Mistress Chloe o Princess Spider , gran parte della cultura BDSM nordamericana era ferma in un dualismo che vedeva da un lato la Domina-prostituta generalmente reduce da infanzie mostruose ed abusate e dall’altro lato figure post-hippie, vagamente new age, che nelle frustate scorgevano un esercizio di pura catarsi politica, una ribellione contro una sessualità castrante, grigia, istituzionalizzata e immancabilmente fallocratica.
Ma nessuno si era spinto fino al punto di elaborare un credo teologico basato sul Bondage, la sottomissione ed il leather. Nemmeno gli amici della Chiesa di Satana, che pure oscillavano tra tendenze BDSM e influssi gotici, si erano sentiti legittimati a vedere nella parole e negli scritti di Anton La Vey una qualche deriva pro-sadomasochista da erigere a paradigma messianico. Non certo La Bibbia Satanica né La strega Satanica che pure in qualche punto a mio modesto avviso odora di Female Domination in chiave decadente.
Per il satanista laveyano l’arbitrio individuale, suprema stella polare delle scelte, era l’unica funzione esistenziale da assecondare, e in questo quadro il BDSM diventava una mera scelta personale e se pure qualcuno se ne serviva per fini esoterici e più squisitamente meta-sessuali il tutto rimaneva relegato nella sfera delle opzioni individuali.
D’altronde è innegabile che l’uso della violenza rivesta una forte connotazione religiosa; i martiri cristiani, gli stiliti della Patristica, e prima ancora i Sadhu hindu, i dravidiani , i Pellerossa avevano utilizzato il dolore come ponte verso l’estasi mistica o come fase necessitata di qualche rito di passaggio. E proprio lì in California se ne vedevano ancora dei retaggi, sia pure mescolati al calderone post-moderno della controcultura; l’arte fachirica di Fakir Musafar, il Neo-Primitivismo di Ron Athey, le loro danze pagane e le carni appese al soffitto a mezzo di ganci e gli spilloni e fiumi di sangue e branding e tongue-splitting, con attorno una oscura aura di consapevolezza spirituale.
I Satanisti, fossero laveyani o post-crowleyani avvinghiati alle estreme propaggini dell’OTO oppure secessionisti del Tempio di Set, guardavano la controcultura come un mero mezzo, uno strumento, non certo come una federazione di ribelli a cui aderire in gioiosa comunità d’intenti. La Vey rivendicava l’esclusiva della rivolta contro il potere dello Status quo, nel nome di quella prima prometeica rivolta di Lucifero contro Dio, e non l’avrebbe certo divisa con qualche hippie entusiasta del latex o dei morsetti.
La Vey odiava gli hippie. E io e tutti gli altri colleghi della Chiesa di Satana li odiavamo con lui.
Bontà pelosa.
Uguaglianza di cartone.
Delirio di amore universale e vaniloquio politicamente corretto.
Tutto ciò suonava alle nostre orecchie falso e risibile. E se per me il BDSM un senso aveva, questo non era certo una catarsi, né un gioco; era solo l’applicazione in chiave sessuale, e magari metaforica, della frase vonmasochiana “chi si lascia frustare merita di essere frustato”. Per questo le teorie sullo scambio di potere di Pat Califia mi provocavano lo stesso senso di nausea che decenni prima la vista di tre orrendi hippie in sandali e camicia psichedelica doveva aver creato nel cuore di Anton Zsandor La Vey.
Rimasi un po’ perplesso e pensoso a meditare sulla Chiesa del BDSM di Balboa, e su tutte le sue implicazioni.
Poi andai in camera e scartai la comunicazione. C’era il nuovo numero della rivista della Chiesa di Satana, The Black Flame , spedita a tutti gli aderenti con cadenza mensile ed in allegato qualcosa che era stato inviato esclusivamente a me. La spedizioniera della Chiesa sapeva che mi interessavo di certi ambiti e di certe sulfuree aree e così aveva pensato bene di omaggiarmi di un libretto autoprodrotto, dalla scarna grafica ma dal contenuto che definire interessante sarebbe riduttivo; THE ESSEMIAN MANIFESTO, a cura di Mistress Sarakira, una Domina che aveva avuto una certa rinomanza all’interno della florida The Society of Janus (la federazione californiana della cultura BDSM).
Per l’occasione la Domina si era rinominata Priestess, sacerdotessa di un misterioso ordine esoterico che , a quanto si intuiva, aveva fondato lei stessa assieme ad altre cinque donne esperte di Female Domination.
The Essemian Manifesto suonava decisamente più coerente e più lucido di tutte le fandonie new age fino a quel momento partorite dalla scena sadomaso politicamente corretta. Iconografia e terminologia di derivazione gotico-satanica corredavano un testo veloce, scarno, spartano ma estremamente funzionale nel suo intento di fornire una chiave di lettura esoterica alla pratica della Dominazione.
Alcuni mesi dopo appresi che il Manifesto non era l’unica pubblicazione ascrivibile a questa misteriosa entità; le Domine infatti operavano come parte autonoma della SERVICE OF MANKIND CHURCH, avendone costitituito una branca satanicheggiante denominata THE ESSEMIAN SANCTUARY OF THE DARKSIDE GODDESS e il cui organo ufficiale di propaganda e divulgazione culturale era la fanzine THE ESSEMIAN WAY.
Non ci misi molto a mettere le mani sulla fanzine. I contenuti ricalcavano quelli espressi nel Manifesto. La dominazione sull’uomo era di origine rituale, il sesso canalizzava l’energia mistica (come nella migliore tradizione dell’ermetismo satanico europeo, vedasi Crowley, Spare, Grant) e tutte le variegate pratiche proposte, che andavano dall’umiliazione psicologica fino ad elaborate sessioni di tortura martirologica, erano ammantate di significati gnostico-satanici.
Come esempio “la camminata del serpente”, un sinuoso strisciare dello schiavo ai piedi della Domina-sacerdotessa, strisciare segnato dalla flagellazione delle Attendenti della Domina stessa (la quale per tutto il tempo rimaneva assisa sul trono cerimoniale, in una sala arredata con drappi satanici e mobilio ottocentesco); la figura del serpente, aldilà dell’ovvio significato primordiale contenuto nella Bibbia, riecheggiava le teorie di Michael Aquino, fondatore del Tempo di Set. La stessa visione cosmogonica, lo stesso senso di ambivalenza (espresso dalla lingua biforcuta e dal mutare pelle), la stessa necessità di una ordalia psico-fisica per ottenere il disvelamento dei segreti iniziatici.
Le Domine che componevano questo gruppo cultuale non erano prostitute, non chiedevano compensi o tributi. Le uniche cose commercializzate erano gli scritti, fanzine e libri.
Oltre al Manifesto, Mistress-Priestess Sarakira aveva composto ECHOES OF THE SANCTUARY, una sorta di biografia aggiornata in chiave metaforico-simbolica in cui si ripercorreva la fenomenologia del gruppo, con dettagliate e vivide descrizioni dei rituali messi in atto, e THE GODDESS WITHIN che imparai essere una sorta di risposta in chiave BDSM-satanica al fenomeno dilagante della Magia Bianca e della Wicca che dell’adorazione della Dea Madre avevano fatto punto nodale.
La Wicca era detestata da queste donne tanto quanto gli hippie erano detestati dalla Chiesa di Satana. Efettivamente, le “streghette buone” dal sapore femminista erano irritanti; le loro vuote ciance di rispetto, tolleranza, amore finivano per clonare concettualmente le idiozie degli hippie. Non era quindi male vedere il grado di forte consapevolezza e di autorità che emergeva dalle pratiche e dalla produzione teorica della Sorellanza Essemian.
Quello che mi piaceva di più di queste donne era l’elaborato sincretismo che fondeva satanismo classico a retaggi hindu (la loro celebrazione di Kaly), magia sessuale e cerimoniale ed un uso non convenzionale (e soprattutto non commerciale né commerciabile) della tortura BDSM. Si tenga conto che sul finire degli anni novanta e l’inizio del 2000 la California controculturale era sprofondata in un abisso di idiozia, tra parties presunti alternativi (e poi rivelatisi tristissime saghe del deja vu), festival “pagani” come il Burning Man e il declino inesorabile del BDSM, annegato tra le più volte citate tesi delle amiche di Pat Califia e la prostituzione del “professionismo”.
Sottomettere un uomo, in termini femministi, non è certo una esclusiva dei sadomasochisti, basterebbe leggersi i testi delle ultra-femministe come Andrea Dworkin o Catherine MacKinnon (o casi più patologici e divertenti come il libro SCUM MANIFESTO di Valerie Solanas, donna che aveva tentato di assassinare Andy Warhol e autrice di questa sfrenata apologia del massacro degli uomini) per capire che il contrappasso, o meglio “occhio per occhio, dente per dente”, è una meta ambita da parecchie esponenti del “gentil sesso” e non solo in termini puramente simbolici. Ma l’ESSEMIAN come culto era in grado di spaziare in una visione non claustrofobica, persino di richiamare alla mente la Magia del Caos di Peter Carroll (proprio per l’unione sincretica di elementi culturali e spirituali disparati di cui operare una gratificante reductio ad unum) ed utilizzando un umorismo nero decisamente appagante.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Delizioso.

Anonimo ha detto...

Assolutamente d'accordo con lei. Mi piace questa idea, sono pienamente d'accordo con te.
Assolutamente d'accordo con lei. In questo nulla in vi e credo che questa sia un'ottima idea. Pienamente d'accordo con lei.