martedì 20 luglio 2010

Il Mostro di Firenze - TV


L'ineffabile duo Michele Giuttari/Carlo Lucarelli non aveva trovato di meglio, per nettarsi la coscienza sufficientemente lorda di denaro e polvere di stradine sterrate, che dedicare il saggio/romanzo di matrice true crime Compagni di Sangue alle giovani vite stroncate dal Mostro di Firenze.
Nella migliore tradizione dei case studies alla amatriciana, non poteva mancare un accenno di pietas e di moralismo veterolombrosiano; ed è così che ogni singola vittima diventa un angelico essere sceso dal cielo, un punto di contatto e collegamento tra le virtù teologali e una esistenza morigerata, consona all'elevazione alla santità. Si piange il sangue versato, e si ricordano le sensibili lacrime eruttate, in quel frangente storico di depravazione e giovani vite stroncate -i colpevoli, presunti o effettivi, in punta di sentenza o di sospetto, dipinti con le tinte fosche di un Bruegel toscano, tra aridi cespugli di rovi, paesi acciottolati lungo le vallate cariche di vigne, spari nella notte e voyeurismo spiccio. Una pornografia (stra)paesana punteggiata di scenari foschi e di individui riprovevoli, fisicamente, caratterialmente, moralmente.
Hanno facile gioco i due nel tratteggiare un contrasto, evidente e facile, tra i momenti di amore divertimento condivisione emotiva e sentimentale di giovani toscani (o turisti stranieri), alla ricerca di uno spazio di propria intimità, e la bestialità satanica e notturna di un voyeur che, nascosto tra gli alberi e le pieghe della tenebra, li spia li brama li concupisce e poi li uccide e scotenna seguendo le direttrici di un macabro rituale.
Adesso Canale5 ripropone lo sceneggiato televisivo già andato in onda su Fox Crime e diretto da Antonello Grimaldi, focalizzato sulla ricostruzione dei fatti e delle indagini; pur con alcune licenze (poetiche?), la sceneggiatura cerca di essere fedele il più possibile alle carte processuali e alle farraginose indagini che battendo alla cieca per anni videro le piste più improbabili chiamate in mezzo. Dalla criminalità sarda, notoriamente presente sul territorio toscano, a pecorecci e piccanti episodi di devianza esoterico-sessuale; un carnevale al limite del patetico di prostitute, impotenti, guardoni, esoteristi della domenica, artisti falliti, per cui si raccomanda a chiunque una lettura avida degli atti processuali.
Il dolore è un buon soggetto. Screziato di sangue, e polvere. Minimalismo esistenzialista dettato dall'agenda di un serial killer -una mano anonima, nascosta dal nero della notte; un'aura dannata e romantica che aleggia su coppiette amoreggianti, un incubo di piombo e lame affilate, di escissioni e sventramenti, feticci carnali, tette e il pube asportati con frettolosa ma meticolosa precisione. Gli autori del serial sapevano cosa raccontare, e come raccontarlo.
Pietà posticcia per determinare empatia; ma non un grado così elevato di empatia da poter far preoccupare le donne di casa. O forse sarò io ad essermi allontanato troppo dal sentiero della umanità. Non so dirlo.
So però che i trucchetti per incutere timore sono elementari. E contraddicono la realtà fattuale - essendosene accorta pure Wikipedia, rimando alla pagina ufficiale per un elenco sia pur sommario delle licenze poetiche e delle imprecisioni, che non a caso finiscono con l'essere funzionali ad una migliore riuscita dell'elemento suspence.
Pure la caratterizzazione dei personaggi principali è pensata e realizzata per ottenere un effetto emozionale diretto, senza tanti articolati arzigogoli. Basta pensare alla giovanissima procuratrice costretta, suo malgrado, ad indagare su vicende tanto atroci; sembra piangere in ogni ripresa, turbata, intimorita, piegata dal dolore e dalla morte assurda di tante giovani persone. Memorabili la scena del pacco contenente il seno di una delle ragazze ammazzate e quella del rinvenimento del corpo della prima vittima, nel folto dell'erba; Nicole Grimaudo sembra sempre sul perplesso e accigliato baratro della rottura psicologica, sull'orlo del pianto, e dello strazio. Mentre Vigna (un imperscrutabile ma decisamente fuori ruolo Bebo Storti) più che caldeggiarne l'operato o tentare, sia pure con giusta risolutezza, di motivarne le non facili scelte inquisitorie legate alle indagini, sembra una presenza fantasmatica, grottesca, un notaio dall'algido portamento totalmente privo di quella sanguigna verve che gli è stata comunemente riconosciuta da collaboratori e nemici.
In assoluto il personaggio più controverso è quello interpretato da Ennio Fantastichini; il padre di Pia Rontini, penultima vittima del Mostro, uccisa col suo ragazzo il 29 Luglio del 1984, nelle campagne circostanti Vicchio nel Mugello. Seguiamo la lenta, angosciosa, inconsapevole discesa nell'inferno privato di questa famiglia, lui lavoratore a Livorno, lei madre apprensiva di origini danesi, la figlia ancora ragazzina da poco impiegata come barista. La storia di Pia Rontini è senza dubbio una delle più toccanti e particolari tra le varie storie personali delle vittime del Mostro; perchè la ragazza, nonostante fosse stata colpita dai proiettili, venne trascinata fuori dall'auto e mutilata quando ancora era viva, in secondo luogo perchè il padre, lacerato letteralmente dal dolore, si impegnò fin dai primi giorni successivi alla morte della figlia in una instancabile opera di indagini private e di tentativo di onorare la memoria della figlia scomparsa. Fino all'oltraggio ricevuto nel 1994, quando le due croci bianche da lui piantate sul luogo del delitto vennero divelte da ignoti.
Che cosa rende grande un killer seriale?
Che cosa spinge a nutrire nei suoi confronti un senso profondo e morboso di fascinazione?
Molto semplice; l'ignoto.
Fino a quando il Mostro, qualunque Mostro, rimane nell'ombra, una presenza sinistra e sfuggente, priva di una effettiva connotazione umana, possiamo eleggerlo quale rappresentante (e rappresentazione) malevola della cattiva coscienza, delle passioni più incoffessabili. Adornarlo pure di un qualche senso di aristocratico e romantico compiacimento. ma quando la maschera cade, rivelando la vera consistenza umana dell'assassino, quando si celebra un processo, quando i retroscena più meschini bassi volgari patetici emergono, diventa difficile continuare a provare una qualche forma di rispetto per l'assassino.
E' il mistero ad aver reso grande Jack lo Squartatore; non è stato nè il primo serial killer della storia, nè il più efferato nè il più prolifico. Ma semplicemente non è mai stato preso nè davvero identificato; la gente ha potuto continuare a fantastica, ad immedesimarsi, a tentare una spiegazione, figurandoselo come un decadente demonio in tuba e marsina nera.
Ma se al contrario Jack si fosse rivelato un Pacciani qualunque, avrebbe perso almeno l'ottanta per cento del suo fascino.
Ed è questo il problema col Mostro di Firenze, e con le rappresentazioni (televisive o narrative) del Mostro. Fino a quando rimane nell'ombra, suscita ed incute timore; successivamente, diventa solo una miseranda sfilata di miserie umane.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi chiedo se la vulgata diffusa (nonostante la sentenza) che vede i compagni di merende come comprimari di un killer che non fu catturato e che l`abbia fatta franca non provenga dall`esigenza di porre un cono d`ombra all`autore dei delitti in modo
da mantenerne il fascino.
G

AV ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.