domenica 7 febbraio 2010

Un pompino è un pompino









Un pompino è un pompino.
Per quanto possa girarcisi attorno imbastendo allegre baracconate di spirito libertario, rivoluzione e pensiero evoluto, il succo sostanziale della pornografia resta la mercificazione del corpo umano – per fortuna aggiungo io, perché farsi le seghe col manifesto del partito comunista è esercizio potenzialmente noioso.
Lasse Braun ha contribuito a fondare una certa visione della pornografia, a renderla surrogato emotivo della globalizzazione in un afflato di superamento di steccati/barriere/pregiudizi morali, portando il verbo delle scopate in celluloide (e su carta patinata) a qualunque latitudine.
Lasse vuole renderci partecipi dei suoi passati sforzi e dato che la penna non gli fa difetto, sia in termini qualitativi che in termini più smaccatamente quantitativi (ha già composto e pubblicato vari altri libri, tra cui un monumentale affresco in salsa peplum che va sotto il nome di Lady Caligola, non casualmente prefazionato da Tinto Brass), eccolo adesso alle prese con la sua estesa e corposa autobiografia, SENZA TREGUA (per Coniglio Editore, 400 pagine al prezzo di 24,5 euro) – da quel che capisco originariamente il titolo avrebbe dovuto avere una più smaccata coloritura hippie, qualcosa come “l’uomo che amava le donne” e trovo in effetti che la ragione sociale peculiare del libro sia una tinteggiatura in chiave filosofica dell’ossessione sessuale, perché senza ombra di dubbio amare le donne, in ogni senso, pure a costo di riesumare le farlocche ed offensive panzane di W. Reich, è una storia che merita di essere raccontata soprattutto quando questa storia passa per uncini, scopate tra frattaglie, gang bang, estremizzazione dei loop, violenza e censura.
La visione ecumenica di Lasse ci porta a ripercorrere una variegata fenomenologia di partigiani, “liberazione” (che da storica diviene sessuale), viaggi nella Germania hitleriana dove addirittura il piccolo scapestrato baby (futuro) regista porno avrebbe tirato il baffo quadrato del Fuhrer.
Con alle spalle tanta partecipazione ai destini dell’Europa, Lasse non può esimersi dal narrarci la genesi della cultura pornografica tra ritagli di giornale con funzione epifanica (“sgominata a Genova pericolosa gang di pornografi”), la scansione dettagliatissima e particolareggiata della sua esistenza, la sua laurea in legge (argomento, la censura…), i primi approcci sessuali con cameriere badanti e ragazze (anche se dobbiamo annotare sul carniere, approcci bambineschi già in terra crociuncinata), le feste, la droga, il tentativo di lobbismo pro-porno con tanto di contatti con esponenti politici e proposta di legge in tasca, il perfezionamento hippie pre-sessantottino.
Non ci sono dubbi; per Lasse Braun, la pornografia è una cosa seria.
Una filosofia di vita, una rivoluzione, un fine ultimo tempestoso e demiurgico, quasi una dottrina religiosa.
Io, che sono più profano e disincantato, mi accontento delle narrazioni dei backstage, delle descrizioni vivide e dettagliate di film capolavoro come il sozzo HOOKED, meravigliosa epopea di degrado sessuale con tanto di panzone barbuto mutilato fornito di uncino prostetico alle prese con un godurioso fist-fucking (in modalità stupro) su una candida ragazzina catturata e portata nel capanno rurale, pornografia che scintilla degnamente tra Stevanin e Pickton (e di cui memorabile recensione troviamo sul secondo volume di Funeral Party) – a Braun dobbiamo pure l’introduzione di frammenti sadomaso violenti, del pissing e di altre amenità che da sempre titillano il palato di noi degenerati consumatori di buona pornografia.
Gli dobbiamo pure, e Sotos tenga a mente, la serializzazione dei loop, qui in combinato con lo spirito commerciale ed imprenditoriale dei giudeoli americani, da sempre ben disposti quando si tratta di lucrare in termini pornografici; gran parte delle lorde sale immerse nella coltre di oscurità dentro cui maschioni sub-urbani vanno a spompinarsi a vicenda, coltivando deleterie illusioni di eterosessualità soltanto perché pagano monetine per farsi scorrere davanti film porno di marca eterosessuale, devono molto, moltissimo al buon vecchio Lasse.
Noi stupratori mancati ci sediamo in religioso silenzio davanti all’evoluzione di DELPHIA THE GREEK, prima apparizione di quell’autentico rito di passaggio che è la doppia penetrazione anale-genitale – e tripudiamo in esultante estasi per l’intera serie FORCED TO SEX, la quale già nella locuzione semantica è una chiara scelta di campo.
E però...
Però.
Mi domando per quale motivo noi italiani dobbiamo sempre insinuare l’ombra tintinnante di un però, per quale motivo lambiamo l’assoluta grandezza e poi dobbiamo ritirarci sconfitti a leccarci le ferite. Perché, mentre nella pornografia di un Jamie Gillis la brutalità è brutalità senza comode sovrastrutture redimenti, mentre nelle pagine di un Peter Sotos la crudeltà è crudeltà gratificante a livello individuale, Lasse Braun ci dice chiaramente; no, ragazzi, avete sbagliato.
Noi siamo dalla parte, reazionaria, del porno come sopraffazione, come reificazione, come abuso e come violenza, mentre lui anela ad una liberazione mentale e morale attraverso lo shock.
Preso atto delle divergenze di impostazione (confermate dallo storico del porno Pietro Adamo, il quale tratteggia una differenza estetica ma pure “politica” tra la violenza pornografica anni settanta e quella odierna…una volta, dice Adamo nell’annuario del Porno edito sempre da Coniglio, la violenza era funzionalmente catartica e liberatoria, mentre oggi è commerciale, retriva, caricaturale e posta al servizio dei peggiori istinti), direi che non dobbiamo gettare con l’acqua sporca il bambino; Braun ci sa intrattenere e se bypassiamo la tendenza a voler rendere chiunque (da Hitler a Jamie Gillis!) una comparsa nella SUA esistenza, d’altronde il libro è SUO e può scriverci quel che accidenti vuole, possiamo godere delle inesauste descrizioni di un porno primitivo, clandestino, genuinamente rozzo e naif, violento (ok, non ci interessa il perché di questa violenza, ci basta la violenza in sé), promiscuità sessuale e megalomania attoriale.
Rodox, senza Lasse Braun, significherebbe poco, e di questo dobbiamo essergli riconoscenti.
Gli dobbiamo le gang bang cinefile delle notti magiche di Cannes del 1975.
Gli dobbiamo le equivoche scelte di pornostar che dimostrano meno dei loro certificati diciotto anni e le epopee di inseguimenti di trash paramafioso quando è alle prese con debitori e partner commerciali infedeli (i maligni, ma noi non siamo maligni, i maligni dicevo potrebbero notare l’intrinseca contraddizione tra certe asserzioni pseudolibertarie e l’estrema cura degli affari, cura nutrita pure da cause legali, pestaggi che Braun ci esibisce con certa gioia bambinesca…un maligno estremamente pedante potrebbe notare l’ironia di pagina 112, programmaticamente titolata “guerra ai pirati”, laddove si parla di regolamento di conti con riproduttori illegali dei film di LB, avendo previamente letto di come lo stesso LB si ritenesse a modo suo un combattente della libertà e un pirata).
Ma io, e quei quattro cinque che mi seguono, non siamo mai stati dei maligni.
Degenerati, pervertiti, molestatori virtuali, beceri, cripto-isolazionisti, tutto questo si, ma maligni accidenti no!
Il libro, va ammesso senza tante reticenze, è uno spaccato gustoso e fondamentale per chiunque coltivi con un minimo senso della decenza e della completezza la fenomenologia del mondo porno – è scritto bene, nessun dubbio sul fatto che Braun sappia scrivere ed intrattenerci, finisce per sembrare un viaggio romanzesco su un altro pianeta in cui la monomania ossessiva del protagonista filtra gli eventi reali come un caleidoscopio di tette e culi e pelo pubico.
Un mondo rovesciato, divertente, scanzonato. Ma anche cinico, violento, squallido, riprovevole.
Semplicemente, ad ognuno il suo.

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