giovedì 25 febbraio 2010

Prima che il gallo canti


Quante volte hai venduto tuo figlio?
Mentre guardo quel ragazzino di circa cinque, sei anni, nudo, denutrito col volto sporco di fango, i piedi callosi, escoriazioni lividi e malattie della pelle a completare il quadro morfologico della sua non-esistenza, mi accorgo che in realtà penso a te, madre.
Una donna inutile, vestita in maniera disgustosa, sei una squallida cicciona, alcolizzata, il volto rubizzo e paonazzo, puzzi da far schifo di sudore e di alcolici da poco prezzo che ti fai regalare dal parroco nel nome della carità universale del dio dei malriusciti.
Il tuo dio, senza dubbio.
Lo preghi instancabilmente con la tua fica purulenta, con le tue braccia lardose, penso a tuo marito, a quel fallito che ti siede accanto bevendo birra, barbona incolta che gli copre le labbra screpolate, pessimi tatuaggi da galeotto russo senza traccia di estetica sulle braccia sul collo quello zuccotto nero è lercio quasi marrone a furia di raccogliere pelle morta e terra e salsedine - il tremolio cigolante di un furgone rumeno fa da colonna sonora, poche e dimenticate le onde del mare sporco di petrolio aldilà della barriera di scogli eretta dalla Protezione Civile.
Che cosa hai da dirmi?
Non posso far altro che pensare a quanto tuo figlio debba ritenersi sfortunato ad essere stato cacato dalla tua lurida malata sotto-proletaria fica di matrona oscena, quanti cazzi di pedofili deve avere assaggiato per tua schifosa volontà, per riequilibrare il menage ed il bilancio familiare durante le reclusioni di tuo marito, non avete parenti e forse, probabilmente secondo me, siete pure consanguinei, abbrutiti come minatori del 1800 americano tutti fottuti tutti legati tra voi in mille rivoli di degenerazione molecolare e genetica. Siete disforici, nonostante non sappiate cosa sia la disforia.
Protestate urlando, una casa viene giù - vivete e vivevate nella fogna dei buoni sentimenti, casotti di eternit cancro abitativo innestato nelle vostre cellule organiche nella vostra sporcizia lumpenproletariat schifata persino dal troppo alienante Marx, avete rivendicazioni confusi slogan abborracciate richieste di pessima grammatica e insano realismo politicante, insulti rivolti a tutti, non a voi stessi, voi stessi...Guardate qui, in questa pozza di acqua melmosa, non troppo scura tuttavia, riflette il cielo azzurro di una particolare bizzarra giornata invernale, calda, afosa, battuta dal vento salmastro, in lontananza Fiumicino e se giri lo sguardo il porto di Ostia, qualche brughiera di casupole pescatori e storie di marane pasoliniane.
Non c'è tempo da perdere nel brulicare di divise, la parola "deportazione" urlata in maniera mantrica e convulsa, assessori, politicanti, tecnici, funzionari, si affannano tra politiche abitative fallite vane promesse e lo spettro poco demagogico delle elezioni prossime venture, l'aria è tesa carica di energia elettrica alzate le mani per evitare di finire garrotate dall'eccessivo dispiegamento di potenza militare, antisommossa pronta a menare le mani, si stabilisce un contatto umano.
Siamo tutti esseri umani, dice il prete - come se l'essere umani fosse un valore assoluto.
Come se esistesse una qualche compassione da dover accordare ai più sventurati, per il solo fatto della loro vera o presunta sventura.
Il prete è una figura perfettamente in tema con lo scenario, Zapata con la tonaca scarafaggio finito ai margini dell'universo ecclesiastico povero lettore del Vangelo analfabeta del Dio degli Eserciti e dei Popoli divorati dalla spada e dal fuoco che punteggiano le narrazioni brutali dell'Antico Testamento, lo vedo fumare un sigaro con una sciarpaccia multicolori rappezzata e falsamente risistemata da qualche pietosa mano di suorina con la missione della redenzione ficcata in mente. Lo Zapata fuori tempo massimo conduce alla battaglia di resistenza passiva con le mani alzate e il pianto cacciato fuori da madri senza sentimenti e da balordi dimenticati da qualunque legge sociologica, lo scontro è impari ed allora non gli resta che frignare. Ciò che sa fare meglio.
Cammino stancamente nel fango, e tra le mille pozze, cercando di mantenere un equilibrio comunque precario tra i falò, le ceneri, le acque di fogna e i miasmi putridi di cani morti in avanzato stato di decomposizione e i nugoli di bambini nudi e scalzi che saltano su carcasse di auto e di barche, il mare è oleoso punteggiato di chiazze di petrolio, uno scatto di Sebastiao Salgado in presa diretta, i corpi deboli rachitici, oppure gonfi di droga e costipazione, fisica, spirituale, sociale, morale. Non c'è redenzione per questi reietti, sono fuori da qualunque ipotesi di riconduzione all'umanità.
Il prete scuote la testa. Il suo dio oggi fa sciopero.
Raccolgo da terra un'ascia e gliela mostro, proprio mentre un pallone bucato mi ruzzola al fianco spinto maldestramente dal calcetto di un moccioso col volto incrostato di dio-solo-sa-cosa. Donne si bucano di eroina accanto a cani meticci pulciosi e carichi di zecche, e sempiterni bambini usati come scudi umani. Qui Beslan deve essere proiezione di un asilo nido da paradiso.
Il prete si rinserra nelle spalle. Come a dire, cazzo vuoi da me?
Voglio. Prete.
Voglio che tu capisca quanta merda questi insetti patiscono ogni giorno, quanta ne devono ingoiare. E devono pure, secondo te, dire grazie al cielo infinito oggi azzurro ed immobile, giusto solcato dalla scia fumosa spugnosa sagittale di qualche aereo.
Un brulicare di insetti, larve, topi, cimici e blatte, dentro e fuori le case, qualche fuoco avvizzisce, rappresentanti di comitati spontanei si accapigliano bestemmiano (il prete non sente o fa finta di non sentire), bambini venduti languidamente ci vengon spacciati come amorevoli frutti di altrettanto amorevoli madri, padri galeotti in libera uscita dalla dignità fumano crack mentre rumeni e rom spingono carrette da vera deportazione stipate di paura ed effetti personali che catalogo mentalmente per non finire preda della noia.
Ora, bevo caffè; issato su uno scoglio, guardo verso la torre di San Michele, è la seconda puntata della desolazione morale in cui sono finito ad operare.
Non c'è futuro, davvero.
Non hanno speranza di futuro.
Sono tutti morti, che camminano e protestano e inveiscono. Capannelli spontanei di donne tatuate e vecchi incartapecoriti e sommesse richieste di aiuto.
Cosa faremo?
Dove andremo?
Cosa ne sarà di noi?
Non so rispondere.
Non mi importa rispondere.
Progetti di nebulosa riqualificazione urbana vengono recitati con scarsa convinzione da funzionari comunali e caritatevoli esponenti dell'emergenza abitativa. Ricorsi al TAR scanditi da accenti moldavi, la proletarizzazione delle aule di giustizia, perchè tanto siamo tutti uguali davanti alla legge, tutti inesorabilmente perdenti.
Qualcuno, accanto a me, guarda il mare placido e fuma una sigaretta. Il volto corrucciato, qualche scrupolo, rimorso di coscienza.
Tu, donna, eccoti di nuovo, hai arringato un comizio di pura violenza verbale, il prete cerca di calmarti, anche lui, anche lo Zapata col colletto bianco e nero sembra sconvolto dalla tua eccitata e frustrata irruenza. Ne hai per tutti.
Per il sindaco.
Per Dio.
Per me, molto modestamente.
Mi rivolgi occhiate cariche di odio. Ma sappi, e non lo dico per deluderti a posteriori ma solo per cronaca, che mi sei del tutto indifferente.
Irridi le proposte, in effetti ridicole, di riqualificazione e di parchi intitolati alla memoria di Pasolini, un pedofilo un pedofilo perdiamo la casa per colpa di un pedofilo di merda, continui a ripeterlo anzi ad urlarlo scandendo le singole lettere che compongo il "pedofilo" di modo che ciascuno di noi possa comprenderlo ed interiorizzarlo.
Pasolini rinnegato dalla sua stessa gente. Dall'oggetto del suo segreto ed occulto desiderio, quella massa nera informe e deforme di abisso popolare, che ora rimesta rimescola ulula e strepita, e sputa sulla sua tomba. Che in linea d'aria non so disterà cinquecento metri.
Un uomo, esaltato dal mantra della donna, invita a cacare sulla stele commemorativa del poeta. Un altro, con cinico ma convincente esercizio di umorismo nero, fa notare che al poeta magari non sarebbe dispiaciuta una manifestazione di affetto escrementizio.
Lo scenario vira surrealmente in una battaglia cacofonica di insulti contro Pasolini. Coretti mutuati dalle gradinate degli stadi per infangarne la memoria, per rinnegarlo nel modo più brutale possibile. Trovo il tutto una dimostrazione di quanto le utopie socialmente redimenti siano intrinsecamente sbagliate.
Le urla proseguono, fino a quando la noia torna a vincere le proteste. Mi siedo su una sedia rimediata prima dell'abbattimento di una baracca e mi siedo a contemplare il mare.
Alle mie spalle, tanta merda. E da qualche parte la carcassa di Pasolini.

1 commento:

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