domenica 7 giugno 2009

L'ultima casa a sinistra (2009)


E' possibile rivedere radicalmente il proprio giudizio su di un film nell'arco di due giorni ? A me è successo, proprio con il remake di The Last House on the Left - ringraziando il cielo il neonato film festival di Ostia mi ha permesso di vedermelo due volte, gratis, in anteprima (ho visto pure il secondo capitolo della saga di Ken il Guerriero e su quello invece stendiamo un velo pietoso), lasciando spazio sia alle impressioni negative sia a quelle positive.
Soltanto che poi sul lungo periodo a prevalere sono state queste ultime.
Come noto si tratta del remake del capolavoro di Wes Craven, diretto nel 1972, sordida storia di abuso omicida, misoginia estrema e delinquenza allo stato brado, in cui una banda di spietati criminali dopo aver propiziato l'evasione di uno di loro si imbatte, non proprio per caso, in due liceali alla ricerca di qualche emozione forte in città - e che invece nella migliore tradizione dei film di umiliazione/riscatto/vendetta, a partire da La Fontana della Vergine che è la "matrice" di questo sotto-genere, finiranno nelle grinfie dei perfidi delinquenti, i quali non troveranno di meglio che abusarle, rapirle, ed infine torturarle a morte, con tanto di scatenata e selvaggia fuga tra i boschi.
Il remake è prodotto dallo stesso Craven, il che implica un esplicito placet alla regia di Iliadis - quello che inizialmente, e forse devo dire pregiudizialmente, non mi era piaciuto era il tono più solare e meno morboso rispetto all'allucinato tono cupo dell'originale. Infatti nella versione del 1972, la discesa in città era stata più plumbea, la città stessa era decisamente più degradata, oscura, lercia, ed il contrasto con la festa di compleanno iniziale, il giochino psicologico con la polizia, era stato una manna dal cielo per malati mentali come il sottoscritto. Qui invece si ha il timore di una virata verso lo slasher movie...
Ma se un merito va ascritto ad Iliadis è proprio quello di aver evitato qualunque sterzata in tal senso - pur riaggiornato e ricontestualizzato, e leggermente ripulito (si veda la figura del ragazzino, che nell'originale non era il "redento" che qui invece appare e che addirittura si salva - o anche il destino di Mari...), il film mantiene un carico di eccellente crudeltà, a partire dalle sequenze iniziali e dalle foto delle bambine mostrate, in uno slancio di puro sadismo, al poliziotto morente.
Un appunto negativo è la mancanza della preordinazione omicidiaria del padre di Mari - nel film originale la sua vendetta è fredda, lucida e pianificata (vedasi ad esempio il congegno elettrico), mentre qui è più azione di impulso e strettamente legata alla sopravvivenza. Un margine di brutale violenza cinica e fredda resta soltanto nel modo in cui uccide Krug.
Va inoltre dato atto al regista di aver mantenuto un carico di violenza notevole, certamente eccedente i ridicoli parametri yankee - ma se possibile, dove si eccelle è la scena dello stupro, dove l'abuso è mostrato senza particolari sconti allo spettatore e il volto umiliato, angosciato, piangente, sporco di terriccio e muschio della ragazza è un colpo duro per chi è magari cresciuto soltanto con i pupazzetti degli slasher. La morte del primo bandito poi è un piccolo tripudio di carnografia omicidiaria, il momento della verità per i genitori disperati - in cui nasce un nuovo padre, non più timoroso o spaventato ma follemente determinato a spazzare via gli intrusi.
E la settimana prossima è la volta di MARTYRS...

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