sabato 13 giugno 2009

Chiamata d'odio per i figli dello shock


Nella stagnante palude della letteratura horror capita di tanto in tanto qualche stella cadente capace di increspare le acque melmose e di agitare emozionalmente il cuore dei lettori – intendiamoci, molto spesso la fiction orrorifica ha una disgustosa consistenza di “favola morale”, ellittica, presuntuosa e pretenziosa, sequela strutturale di rassicuranti trovate messe su carta per convincere il probo cittadino medio che tutto va bene e che la gioia del quotidiano può essere sconvolta solo da mefitiche creature dell’occulto (le quali saranno comunque sconfitte).
Persino l’orrore del reale, le scatenate scorribande di sadismo e violenza dei serial killer, è stato ricondotto a miti consigli tra true crime e narrativa new horror; Robert Bloch, l’autore di Psycho, si domandava sconsolato “che cosa verrà fuori da questa gente convinta che La Notte dei Morti Viventi non sia abbastanza?”, la mia personale e modesta risposta all’angosciato quesito è proprio “non abbastanza”.
Infatti se ancora oggi stiamo a preoccuparci di libri-scandalo il cui quoziente di violenza è evidentemente plastico, artefatto, istupidito da convenzioni (sociali) e convenienze (commerciali), allora dovremmo concludere che la carnografia tremolante dello splatter prima e del mondo movie poi non sono serviti ad aprire gli occhi ed il senso estetico, ma se mai a chiuderli e sigillarli col cemento armato. Le eccezioni, per fortuna, non mancano, e di certo il fatto che arrivino inaspettate a battere piste non troppo frequentate conferisce un valore aggiunto, il valore dell’essersi sottratte all’inflazione.
Dio benedica l’avidità di qualche direttore editoriale italiano che ravanando gli scaffali metaforici delle proposte internazionali a metà degli anni novanta decise di importare in Italia quattro fenomenali e fondamentali antologie del nuovo horror contemporaneo – non mi starò a dilungare su nuovo horror, splatterpunk, dark fantasy e definizioni affini, come scrive Lansdale “io mi limito a scrivere e lascio che siano gli altri a definire ciò che scrivo”, ed in fondo la riconduzione di uno scritto ad un genere, ad una etichetta è operazione didascalica o di marketing commerciale, ben lontana dal presentare il minimo interesse.
La prima di queste antologie è PROFONDO HORROR, edita da Bompiani nel 1993 (la versione originale americana è del 1986…); si tratta della trasposizione a pizzaland di Cutting Edge, titolo decisamente più affine alle reali intenzioni del curatore, Dennis Etchison. Infatti, nel 1986, i limiti si stava cercando di abbatterli sul serio e molti scrittori non-mimetici avevano deciso, con esiti altalenanti, di frequentare abitualmente la lama del rasoio. Il tratto caratterizzante di Cutting Edge è la volontà precisa e deliberata di proporre una visione non scontata né stereotipica dell’horror; presupposto non marginale, la celebrazione della brutalità omicidiaria e una conseguente attenzione morbosa alla violazione della anatomia umana. Un sociologo potrebbe leggerci dietro una qualche metafora di reazione contro il Reaganismo imperante e contro l’edonismo di quegli anni, ma dato che io non sono un sociologo queste conclusioni traetevele da soli se lo volete e se lo ritenete di qualche importanza.
Il libro è diviso in 4 sezioni, “tutto ritorna”, “stanno venendo per te”, “alla luce dei fari”, “continuando a morire”, per un totale di 20 racconti la cui qualità media si situa decisamente sopra la media, sfiorando in alcuni casi l’assoluta eccellenza; uno di questi casi è rappresentato dallo straordinario “musica registrata per squartamenti artistici” di Mark Laidlaw, e trovo sia al tempo stesso paradossale e rivelatorio notare come Laidlaw NON sia uno scrittore horror ma bensì uno dei più promettenti esponenti del post-cyberpunk, autore del grottesco e magistrale affresco post-nucleare di UNA FAMIGLIA NUCLEARE. Il racconto presente nell’antologia è irriverente, brutale, sanguinolento e cinicamente umoristico, una piccola depravata gemma letteraria Altro racconto da segnalare è lo splendido “Irrelatività”, di Nicholas Royle; se amate le atmosfere ballardiane di straniante critica sociale, procuratevi il suo SMEMBRAMENTI pubblicato da Einaudi qualche anno fa. “Irrelatività” invece è un breve racconto di atmosfere cupe e meditabonde, che parte come un divertissement ballardiano per finire in un (onirico) bagno di sangue alla Hostel. E menzione al merito per “addio, oscuro amore”, di Roberta Lannes; il brevissimo scritto, quasi una sorta di allegorico schizzo, riesce a convogliare in poche pagine un crescendo delirante di abuso familiare, sadismo, incesto, omicidio e necrofilia.
Antologia che fece epoca, e poco scandalo in Italia ma tanto negli USA, è EROTIC HORROR, Bompiani 1994; altro titolo fuorviante, visto che l’originale è Hot Blood. In realtà la Bompiani in questo caso decise di realizzare una sorta di collettanea segando i tre volumi originali (Hot Blood, Hotter Blood e Hottest Blood) ed assemblando una sorta di “best of”.
Qui il livello medio dei 18 racconti sfiora il sublime. Personalmente ritengo che chi segue Halogen, e quindi per mia pura presunzione di sapere qualcosa dei gusti di chi legge, troverà delizioso “La Vasca” di Richard Laymon; Laymon è un autore horror prematuramente scomparso che si merita un autonomo articolo monografico, vista la eccellente qualità della sua produzione (racconti e romanzi). Ma intanto, posso dire che se avete presente “Il Gioco di Gerald” di King, bè l’idea è quella ma Laymon la sintetizza, la rende mille volte più efficace e lasciva, e accorpa in 20 pagine tanto sangue quanto King non sarebbe in grado di mettere in 20 libri. Una scrittura scarna, essenziale, incisiva, che in alcuni punti fa davvero male.
Altro autore a distinguersi è l’incostante Robert McCammon, col suo “L’aggeggio”; incostante perché mentre nel racconto breve è un autentico genio, nei romanzi diventa pedante, noioso e derivativo ai limiti del plagio (prevalentemente nei confronti dei libri di King). Ad ogni modo “l’aggeggio” ci presenta un vizioso e aristocratico degenerato alle prese con vizi privati che farebbero impallidire Albert Fish…
Come si evince dal titolo dell’antologia, il filo conduttore è il sesso; a volte descritto nei canoni dell’erotismo, in altri casi andandoci giù in stile pornografico. Da un lato il sorprendente “Carnaio” del duo Skipp-Spector, i fondatori dello splatterpunk, una breve ed euforica discesa nel sesso promiscuo da bar visto da una angolazione quasi filosofica, dall’altro “è bello trovare un uomo duro” farsa necropornografica decisamente incisiva e divertente (divertente se avete un senso dell’umorismo virato al nero…).
Capolavoro nel suo insieme è IL LIBRO DEI MORTI VIVENTI, curata da John Skipp e Craig Spector e ad oggi ritenuta l’antologia fondamentale, e fondante, dello splatterpunk; pubblicata in Italia sempre da Bompiani nel 1995 (l’originale Book of the Dead è del 1989) consiste di 16 racconti (TUTTI davvero meritevoli), l’introduzione dei curatori e una prefazione di George Romero a cui il libro, per ovvi motivi, è dedicato. Il tema dell’antologia è quello dei morti viventi, anzi; i morti viventi per come ci sono stati mostrati da Romero nei suoi film, quindi istupiditi, brutali, cannibali e scatenati in contesti sociali impazziti e alla deriva. Volendo scegliere i “migliori”, a gusto ovviamente personale, da citare ancora una volta Richard Laymon col suo celebre e allucinante “La Mensa”, non proprio il genere di racconto che il fan medio dell’horror era abituato a leggere nel 1989 (o in Italia nel 1995…ma probabilmente con poche eccezioni, in Italia ancora non si è abituati); vivida e dettagliata storia di un serial killer, Il Mietitore, che rapisce le sue vittime, le porta in una radura e le tortura a morte lasciando poi i resti umani a disposizione di avvoltoi e animali selvatici…fino a quando non troverà la sua giusta “punizione”ad opera di alcuni zombie. Si segnalano anche “Mangiami” di McCammon e “Sassofono” di Royle, che costituisce il nucleo embrionale attorno cui poi avrebbe sviluppato Smembramenti; ma le due perle dell’antologia sono senza tema di smentita il delirante “Vermone e i figli di Jerry” di David J. Show (uno degli autori più interessanti del nuovo horror, oltre che uno dei meno pubblicati in Italia…di suo si trovano solo racconti nelle antologie Newton Compton…) e l’eccelso “nel deserto cadillac coi morti” di Joe Lansdale.
Per finire, LO SCHERMO DELL’INCUBO (titolo originale; Silver Scream, edita nel 1988 negli USA), curata proprio da David J. Show e importata in Italia da Einaudi soltanto nel 1998, sull’onda dell’entusiasmo collettivo per i “cannibali” nostrani – ma ringraziando iddio la Einaudi ci ha risparmiato in questo caso una introduzione o una post-fazione di Ammaniti, cosa che purtroppo non ci ha risparmiato nel caso de LA NOTTE DEL DRIVE-IN di Lansdale ahimè…
Lo Schermo dell’Incubo, come lascia agevolmente intuire il titolo, è una antologia concernente il cinema; nel suo senso fisico di cinema come posto dove vedere film oppure nel senso di arte. Gli autori presenti, da Clive Barker a Karl Edward Wagner (assolutamente fenomenale il suo “Abuso”, viaggio accurato nell’abisso della pornografia clandestina, roba da far relegare in un cantuccio per la vergogna “8mm-delitto a luci rosse”) passando per Joe Lansdale (col celebrato e brutale “La notte che persero il film horror”, apologo delirante e nichilistico con supreme vette di razzismo, misoginia e ironia ultravioletta) e Ray Garton col suo “Voglia di cinema” satira feroce e dai toni swiftiani contro gli avventisti del settimo giorno, ce la mettono davvero tutta per rendere meno serena la serata dei lettori.

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