lunedì 13 ottobre 2008

Sade e la pornografia religiosa




Anni fa, il triste scrittore Maggiani (triste principalmente per i suoi output letterari) affermò durante un dibattito televisivo che Sade sarebbe un autore "pornografico" con l'evidente, e fallace, scopo di denigrarlo; pornografia è divenuto termine polisenso, sfuggente, liminale, dalla consistenza pastosa ed oscura, e che necessita sempre di qualche eterointegrazione.
Da quando le femministe hanno prima inscenato roghi intellettuali contro la lordura del porno e poi hanno riabilitato il coito esibito (come forma di liberazione sessuale), le acque si sono colorate di melma ancor più fitta...prima paradigma della reificazione, della ossessiva plasticizzazione del piacere, umiliazione della donna, in seguito la pornografia è divenuta una variante hippie delle teorie di empowerment. Nel linguaggio comune ovviamente "pornografico" è aggettivo deteriore, sinonimo di volgare, osceno, deteriore, descrizione peggiorativa.
Eppure per quanto Maggiani volesse denigrare il Divin Marchese rendendolo un letterato limitato alla mono-dimensione della ossessività eroticizzante, ha sbagliato su tutta la linea; Sade non scrive pornografia.
Innanzitutto, se consideriamo l'origine semantica della parola vediamo che essa deriva dal greco "pernanai", scrivere di prostitute, verbo concettualmente declinabile in due sensi; o letteratura sessualmente esplicita devoluta alla eccitazione del lettore oppure letteratura commerciale mercificata, di struttura veloce e forma sciatta. Sade non rientra nella fisiologia di nessuna delle due prospettive; certo, scrive di prostitute, basta pensare alle narratrici de Le 120 Giornate, ma la funzione della Duclos e delle sue sodali, come è stato ampiamente dimostrato, diventa semplicemente lo smantellamento fisiologico dell'esercizio comunicativo. In principio fu il Verbo, recitano i testi sapienziali cristiani; e per Sade in principio fu la Parola, ma una parola sudicia, lorda, sporca di fango e sperma. Il rovesciamento prospettico sadiano è totale ed organico, pur mantenendosi all'interno della prospettiva meccanicistica che andava per la maggiore nel 1700; il suo è un ateismo di facciata, che ha bisogno di Dio, di un qualche Dio da insozzare. E Dio può essere raggiunto, e adorato o odiato, solo per mezzo di parola.
D'altronde Nietzsche, anni dopo, partirà proprio dalla filologia nella sua titanica opera di smantellamento della "metafisica" cristiana.
Nicoletti, nella sua prefazione a Le 120 Giornate di Sodoma, nella edizione Newton Compton, sottolinea che termine più soddisfacente sarebbe erotografia, una visione che mi sento di condividere non fosse altro che per la forte reminiscenza linguistica batailliana (anche se prendo le distanze dalle altre teorie di Nicoletti sull'opera di Sade).
Tuttavia, come ho scritto più volte, Sade non fu un letterato, ma un Penitente avvinto dalla personale ricerca di una sua interiore liberazione; il flusso brutale della sua opera si situa in un delicato punto di intersezione tra narrativa e dottrina religiosa. Come sottolinea Klossowski, il problema principale dei fraintendimenti cui Sade è andato incontro origina dal suo stile settecentesco apparentemente intriso di razionalismo enciclopedico e di illuminismo meccanicistico (palesi richiami alle dottrine di La Mettrie compaiono proprio ne Le 120 Giornate, quando conversando amabilmente tra loro i Libertini arrivano a parlare dell'orgasmo come concatenazione di stimolazioni neurali), un linguaggio che si è preferito lasciar relegato e chiuso nello scrigno del 1700; e che tuttavia se attentamente studiato presenta dei lati di interesse non comuni.
Innanzitutto Sade è uno scrittore estremamente morale; certo, di un moralismo swiftiano, crudo, crudele, paradossale, ma nessun lucido critico può osar negare che il Marchese non abbia dimostrato una predisposizione alla analisi dei comportamenti umani, dando un giudizio articolato e complesso. Sade dimostra di conoscere l'etica spinoziana, il dualismo tra realtà umana e Natura, la seconda infinita e costante, la prima limitata, castrata, dimidiata e ancillare rispetto alla seconda; i suoi libertini sono prigionieri di una entità assoluta, di una teologia di sangue ed escrementi che essi stessi scelgono e da cui sono scelti (essendone prigionieri).
La natura in Sade è una distesa infinita, che travalica la possibilità di comprensione; per questo i libertini si recludono nel castello di Silling, proprio per determinare e percepire il senso di una (artificiale) finitezza. Questo è un punto notevole; Deleuze ci si è interrogato sopra in modo indefesso, e partendo da Masoch che secondo me è il punto peggiore per approcciarsi a Sade. Tuttavia pone degli spunti interessanti il Deleuze, notando cose che effettivamente poi riprende Barthes; la condizione dell'innamorato, dice Barthes, è totalizzante come quella dell'internato a Dachau. Sade non era innamorato nel senso che si intende comunemente ma era prigioniero, dal punto di vista pratico e da quello spirituale, e come tale non voleva aprirsi orizzonti ma chiuderli, annientando tutto quello che trovava sul suo cammino.
Proprio come i suoi libertini autoreclusi a Silling, pure Sade trova la sua dimensione solo nella limitazione delle prospettive.
Sade è stilisticamente ridondante, prolisso e ripetitivo, esattamente come l'andamento di un mantra.
Si serve di una "materia" pastosa e caotica, spugnosa, che metabolizza spunti tra loro diversi che egli filtra per il suo proprio piacere.
Più volte, parlando e scrivendo di Sade ho richiamato l'esperienza degli Stiliti; una suggestione che suggerisce Klossowski quando "legge" Sade in chiave cristiana.
Mantra, stiliti, sofferenza, degrado, alla fine c'è un orientamento evidente che conduce in un tunnel sempre più scuro, in cui la suggestione religiosa si confonde col dato esistenziale; solo che mentre nella ricerca religiosa si perde il senso dell'ironia, nel sadico permane il profondo senso del divertimento che è appunto bagliore del suo piacere. Non a caso Sade ispirò ai surrealisti lo humour nero e Breton accluse con posto d'onore un lungo passo della Justine nella sua Antologia. In fondo, come diceva Cioran, "il male, al contrario del bene, ha il duplice privilegio di essere affascinante e contagioso". Semplicemente, il Male, oltre che liberatorio, dà piacere ed è divertente.
L'ironia in fondo è un esercizio che quando combinato col Male può produrre morale; si pensi a Le Sventure della Virtù, in cui la sfortunata protagonista dopo essere passata per indicibili tormenti, umiliazioni torture muore alla fine bruciata da un lampo, davanti agli occhi della sorella...c'è l'andamento tortuoso, e sinistramente ironico, di una parabola caricata di umorismo nero, da cui la sorella viziosa e pervertita trae l'insegnamento della punizione divina, dopo che la sua sorellina è stata arrostita da quella punizione stessa nonostante per tutta la sua esistenza si sia comportata come una sorta di Maria Goretti.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

DI chi è il quadro in testa all'articolo?
Grazie.

-Mejnour-

AV ha detto...

http://www.tinymediaempire.com/september/

Anonimo ha detto...

Uscendo dai binari, secondo te il Salò di Pasolini mantiene questo spirito? Alla luce di questa chiave "autobiografica" dell'opera di De Sade, Pasolini compie solo una trasposizione in chiave politica, o mantiene lui stesso lo stimolo all'auto-reclusione?

Icaro

PS: ultimamente ho trovato "Storia della letteratura erotica" in un mercatino di provincia...è molto difficile trovare libri "filosofici" o storici sulla pornografia...tu cosa mi consiglieresti, a parte Pietro Adamo?

Grazie mille, al solito ^^

AV ha detto...

Tutta la pornografia in 450 parole Esce in Francia il «Dizionario». Un percorso curato da sociologi, filosofi e storici . In Italia è stato recentemente edito da CSE.
Più di qualcuno la considera una forma d’arte. Se non una parte di sapere. E forse un fondo di verità c’è, visto che un centinaio di intellettuali, filosofi, sociologi, scrittori e professori universitari francesi hanno speso il loro tempo ad analizzare tutto ciò che può significare la parola «pornografia» e a (tentare di) definire tutto il mondo che le gira intorno. L’hanno esaminata da tutti i punti di vista. Un percorso ampio che parte dalle parole, conduce in luoghi diversi, ricorda autori e testi, riporta a personaggi della storia e della letteratura. Il risultato sono 450 definizioni contenute nel Dizionario della pornografia appena pubblicato in Francia (Puf, 46 euro).
Ma non si tratta di «un’enciclopedia, né di un semplice specchio che ingrandisce oggetti sparsi», dice Philippe Di Folco che ha diretto l’opera e i «saggi» che vi hanno messo mano, tra cui i filosofi Jean-Luc Nancy e Julia Kristeva, l’antropologo Maurice Godelier, lo scrittore Vincent Borel, la studiosa di letteratura francese Elisabeth Ladenson. Piuttosto spiega Di Folco, «questo dizionario ha l’ambizione di essere una cartografia completa della pornografia ». Ma attenzione, aggiunge, «non vogliamo rendere la pornografia bella o laida, cattiva o buona, l’obiettivo è di conoscere meglio una pratica culturale marginale che resta di dominio privato, ma che attualmente coinvolge anche l’industrializzazione e i media». È proprio questo suo essere così trasversale, sottolinea Di Folco nella sua introduzione, che non rende facile dare una definizione precisa di «pornografia » che invece «sembra sottrarsi a tutte le definizioni, non ne tollera nessuna che sia equivoca, discutibile, o troppo morale», anzi, «si sa meglio cosa non è più che cosa è, come è più che perché è, la si riconoscemanon la si conosce ». Il Dizionario serve a questo.
Si parte dai fondamentali, «porno», «pornologia», «pornocrazia». Dove ad esempio il «porno» «è intimamente legato all’invenzione del cinema», pur «non essendo realmente cinema, le tecniche sono le stesse, ma diverso è un criterio: la presenza o l’assenza di simulazione » che rende gli attori porno «non dei commedianti,madegli operatori sessuali». Il tutto secondo Dominique Folscheid. Nella lista delle 450 definizioni non mancano le biografie, sia di famosi cultori del genere, sia di personaggi della storia. E così alla «H» compare il nome di Alfred Hitchcock, considerato uno specialista nell’amore al cinema pur non avendo mai girato scene di nudo esplicito: «Il suo è implicito e loquace — lo definiscono Stéphane Bou e Jean-Baptiste Thoret —, è la sua arte della metafora». E lo stesso regista al collega Francois Truffaut diceva: «Se il sesso è troppo evidente non c’è suspense». E così viene giudicata altamente pornografica la scena iniziale della Finestra sul cortile con «l’ombra diGrace Kelly tra le gambe di James Stewart».
Alla voce «P» non manca il nostro Pier Paolo Pasolini, «amante della pornografia che ha eccitato il mondo intellettuale » secondo lo scrittore Vincent Borel. Tutto in lui è pornografico. I suoi libri, Ragazzi di vita, Vita violenta, Amado mio/ Atti impuri. E soprattutto i suoi film che ad ogni uscita «richiamavano denunce per oscenità»: daMammaRoma a Teorema, fino a Salò o le 120 giornate di Sodoma, «si andava ai suoi film come a proiezioni porno », scrive Borel.
Ma il Dizionario è in più un’occasione per girare il mondo e scoprire le pratiche sessuali di Paesi come il Giappone, l’India, la Cina. È anche un viaggio nella storia della pornografia, vista nel «Medioevo», nel «Rinascimento», o attraverso la vita di personaggi come il «Marchese De Sade», «Luigi XV», «Louis Calaferte», «Picasso», «Warhol», ma anche letta e scoperta in perversioni lecite o discusse, nascoste o manifeste, diffuse o elitarie come «sodomia », «scambismo», «turismo sessuale », «fist-fucking», «flagellazione». Un percorso che si apre con l’«abiezione » e si chiude con gli «zoo umani».

AV ha detto...

Su Pasolini devo ammettere che sto rivedendo tutti i miei precedenti giudizi positivi su di lui (mantenendo ferma solo la stima per la sua poesia), ti consiglio la lettura dell'illuminante "Pasolini-una vita violentata" di Franco Grattarola, da cui emerge il percorso intellettuale di censura e di aggressioni subite dal poeta di Casarsa, e però curiosamente alla fine del testo sono arrivato a pensare che gran parte di quelle sferzate se le sia meritate. In realtà non si tratta di una mia involuzione reazionaria, ma questa idea di Pasolini snob e intellettuale paradossalmente conformista mi è confortata da alcune frasi del poeta Dario Bellezza rinvenute nel testo "il male di Dario Bellezza" di Gregorini, e certo nessuno potrebbe mai definire Bellezza reazionario.
In linea di massima penso che pur nelle differenze esistenziali e spirituali, Pasolini si sentisse prigioniero come Sade, recluso in una dimensione esistenziale deprivata ed infelice, come lascia trasparire una bella descrizione di Testori; quindi lo spirito di Salò è abbastanza fedele a quello sadiano. Ciò detto, non trovo nulla di politico nel film

Anonimo ha detto...

Ti ringrazio per il consiglio, lo ordino senza perder tempo ^^
Riguardo Pasolini, il politico di Salò è la interpretazione comune dell'opera sadiana: rappresentazione del libertino in quanto detentore del potere, e del subordinato come colui che riceve gli ordini, senza via d'uscita che non sia l'agognata morte.