giovedì 26 aprile 2007

No Body is Perfect - Cronache di una epifania BDSM




























Il vostro corpo è la chiesa dove la Natura chiede di essere riverita

Sade


Non c’è dubbio che dalla visione di No Body Is Perfect si esca quanto meno turbati.
Anche se i contenuti del documentario del franco-svizzero Raphaël Sibillia, in realtà, sembrano apparentarsi a quelli di un ordinario peep-show, è il modo in cui essi vengono messi in scena che disorienta e per lunghi tratti disturba. A tutta prima, No Body Is Perfect si presenta come un documentario "di ricognizione" su alcune delle pratiche sessuali "deviate" più estreme del pianeta. Ma basta poco per accorgersi che in realtà il topic "Sesso", nell’economia del film, è poco più che accessorio. E non solo perché, a ben vedere, di sesso nel film ce n’è davvero poco; e anche questo viene messo in scena, esso è utilizzato come grimaldello per penetrare tutt’altri domini del discorso. Piuttosto, No Body Is Perfect, in maniera quasi tautologica rispetto al titolo, "narra" delle infinite, spesso barocche, possibilità del corpo umano di lasciarsi rimodellare, modificare, impiantare, deturpare, scatenando un’energia primordiale che ha molto a che fare con il piacere sessuale e con la libido in generale: in alcuni casi è puro sadomaso, in altre, più raffinate varianti, ha preso il nome di body art.Alla base delle pratiche sadomaso messe in scena nel film c’è persino una pseudo-motivazione scientifica (a fornircela, a più riprese, è una sorta di guru del sesso estremo, intervistato da Sibillia come principale autorità in materia): la produzione da parte del corpo umano delle endorfine, le quali, secrete come "compensazione" del dolore fisico, una volta messe in circolo producono un aumento esponenziale della sensibilità del corpo umano, il quale a sua volta fa crescere a dismisura il desiderio. In tal modo è sancito, in maniera definitiva e inappellabile, il legame "maledetto" fra piacere e dolore, che è qualcosa di molto simile all’Έρος καί θάνατος della cultura classica. No Body Is Perfect non fa altro che registrare, non senza una forte componente di curiosa partecipazione, le differenti possibili declinazioni di tale sinestesia, attraverso una serie di ritratti di addicted della pratica sessuale "deviante", e delle loro peculiari abitudini. Dai club sadomaso di Tokyo ai boudoirs dei trans francesi d’alto bordo, dalle entraîneuses newyorkesi agli amanti del piercing, delle scarnificazioni e persino delle mutilazioni.Il campionario messo in scena da Sibillia, con tutta probabilità, presenta delle evidenti lacune, ma quello che c’è è più che sufficiente a generare, a scelta, morbosa curiosità o raccapriccio. Il regista sembra interrogarsi sul concetto stesso di "perversione", alzando il tiro a ogni segmento, marcando un fatale avanzamento mano a mano che si inoltra nel suo viaggio ai confini dell’umanamente possibile. Parliamo, è ovvio, di "umanamente possibile" da un punto di vista meramente fisico, giacché nel momento in cui proviamo a spostare il centro del discorso sul piano etico le acque si confondono e le coordinate si scombinano in un caos primordiale che mescola stupore, istintiva ripulsa, curiosità e un indescrivibile fascino sinistro, quasi da film horror. Se, infatti, i giochini dei patiti del bondage, nelle loro mises di latex traslucide, fanno anche sorridere per quel gusto semi-infantile della "recita" e della "mascherata", se non possiamo scandalizzarci per la messa in scena della sodomizzazione di un uomo da parte di un transgender dotato di pene (né ci stupisce la confessione del soddisfatto "cliente", il quale ci rivela di essere sposato e con prole, di ritenersi fondamentalmente eterosessuale e di ricorrere a certi servizi perché in essi ritrova qualcosa di esornativo dal più tranquillizzante "femminile", la cui sessualità ha probabilmente troppo a che fare con il "coniugale"), quando arriviamo alle pratiche più outrageous, come quella della scarnificazione (uomini e donne, in genere amanti del piercing "totale" - quello che penetra le carni con pezzi di metallo nei luoghi del corpo solitamente più appartati e inviolabili -, si fanno impiantare sottopelle pezzi di metallo che rimodellano plasticamente la superficie della loro epidermide; oppure, cercano piacere facendosi conficcare dei ganci nella pelle del dorso per poi giocare a una sorta di "tiro alla fune" - fino alla lacerazione della pelle - o volteggiare appesi a dei cavi), l’idea di una non liceità di certe abitudini torna a contaminare la curiosità maliziosa dello sguardo. Compreso quello del regista, che a un certo punto, dopo aver visto e raccontato di tutto, di fronte a una provocazione che anche lui giudica inaccettabile, si tira repentinamente indietro: succede quando un vecchietto - sessant’anni e più - gli confessa di indulgere alla ricerca del piacere attraverso la mutilazione delle falangi delle dita delle mani (e la visione delle mani mutilate dell’uomo fa letteralmente impressione); quando costui propone a Sibillia di riprenderlo mentre si asporta una falange, il cineasta improvvisa una scusa frettolosa e si congeda con un "magari facciamo domani" che sa molto di "fifa" e ben poco di scrupolo etico.Ecco che allora, come suggerito poc’anzi, nella messa in scena - qui solo suggerita, o tutt’al più descritta - di un vero "perturbante", No Body Is Perfect, diviene una sorta di horror sui generis, in cui l’uncanny è - cronenberghianamente, verrebbe da dire - immanente al corpo umano, come una sua grottesca escrescenza. L’esplorazione della moltitudine di possibilità di contaminazione fra dolore e piacere si fa dunque messa in abisso di una tendenza sotterranea all’autodistruzione, che all’inizio desta anche curiosità, ma alla fine atterrisce, ben al di là dei suoi - comunque contraddittori - risvolti morali. Insomma, pur non volendo giudicare apertamente, No Body Is Perfect pone - moralmente, moralisticamente, il dibattito è aperto - dei limiti allo sguardo, sancendo di fatto un confine abbastanza netto fra visibile e non visibile, o fra filmabile e non filmabile. Sottraendo forse un pezzetto di terreno al dominio dell’osceno, ma ribadendo che, in ogni caso, quel dominio esiste e, ontologicamente, "ob-sceno" deve in qualche modo restare.

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