venerdì 28 agosto 2009

URINAL




"Sono partito perché mi sentivo un essere che nascondeva dentro di sé una perdita, una scomparsa nella quale si rispecchiava il proprio personale annientamento. Volevo vivere, essere in mezzo agli altri, ma come attraverso un letargo invisibile"

Pier Vittorio Tondelli "Un weekend postmoderno"

Il tuo volto riflesso dai pannelli traslucidi di questo peepshow – un volto scrutato con calma fintamente zen.
Tutto attorno - uomini vuoti che naufragano tra sale e scomparti asettici, dipinti di nero e adombrati di luminescenze verdastre, blu, bianche e da luci rosse intermittenti che sottolineano le performance delle puttane, pardon delle starlette che vari problemi personali e finanziari costringono ad esibirsi in questo fatiscente club.
Non è mai piacevole essere messi davanti alle proprie responsabilità, ma non saresti potuto comunque fuggire. Niente bagagli e biglietto aereo per far perdere le tue tracce lontano da questa città.
Anche se ci hai provato, a più riprese. Lo so.
Ma è inutile.
Perché la condanna te la porti dentro, nella carne nello spirito nel sangue - sballonzolata in una frenesia di globuli rossi, globuli bianchi, piastrine e l’inquietante spettro delle medicazioni e corsie asettiche della clinica che ti ha ospedalizzato per un breve periodo e da cui sei fuggito, per tentare di conservare un briciolo di dignità.
Ziagen, Videx, Epivir, Retrovir, Rescriptor, Viramune, Invirase, Norvir , un mantra farmacologico che annebbia la voglia di continuare a lottare .Ti sdilinquisce in un nulla che si sostanzia, vive e cresce dentro di te .
Sangue nelle feci.
Perdita delle funzioni fisiologiche.
Sarcoma di Kaposi.
Urina infetta.
Giramenti di testa e nausee perenni. E gli attacchi di panico.
Tanti.
Feroci e prolungati, come lastre di ghiaccio conficcate su per il tuo retto, che ti mozzano il fiato, che ti fanno sperare di non farcela, di non superare l’orrore e di rimanere steso sul pavimento, privo di sensi, lo sguardo annebbiato e le urla delle sirene lontane e poi vicine e poi ancora lontane - una fine che sia liberazione dall’inferno in terra che sei chiamato ad affrontare.
Per uno di quei paradossi di cui hai letto durante gli anni d’università , la teoria consunta di corsi e ricorsi storici , tutto finisce esattamente nello stesso punto in cui è cominciato. Solo, con molta sofferenza in più.
Illusioni , piani e progetti, i fantasmi di una rispettabilità sociale mai conseguita, le amicizie, i drammi e le tragedie mutate in farsa, i sogni.
Tutto scomparso.
Evaporato nella penombra claustrofobica di questa fogna.
Che ti ha accolto come un premuroso e confortante utero, una casa di perdizione, la vera madre che ti ha allevato e cresciuto insegnandoti ad essere te stesso, a qualunque costo.
E che adesso ti presenta il conto - decisamente salato.
Un ultimo, disperato tentativo di credere alle parole che ancora ti echeggiano nel cervello, di negare la triste evidenza e poi però devi cedere e comprendere che tutto ciò che riesci a concludere prima che sia notte è star qui a farti succhiare il cazzo da una segretaria d’azienda conosciuta nel gruppo internet che hai fondato e attraverso cui celebri la gaudente bellezza della sieropositività e del rischio sessuale.
Una roulette russa giocata con cazzi e fiche, a cui anche lei vuol partecipare.
Le sue peculiari motivazioni ti sfuggono, si bruciano nell’incomprensione e nel fraintendimento, avresti voglia di fermarti, di non proseguire, di evitare che la sua lingua si fonda con il tuo cazzo e che i vostri umori colino in una densa brodaglia di sperma e saliva e dolore e naturalmente morte. Vorresti dirle di non farlo, vorresti sentire la tua voce modularsi, dopo tanti anni di inganno e autoillusione, nel discorso che qualcuno avrebbe dovuto avere il coraggio di fare a te.
Prima che fosse troppo tardi.
Prima di arrivare a questo punto.
Ovviamente, non dici nulla.
E mentre inculi la donna, stantuffando con rabbia nel suo culo disfatto, rivedi per un istante ciò che sei stato.
Rivedi la tua ricerca, la tua caccia, i tuoi appostamenti nei cunicoli bui e lerci di saune in Tailandia, la spiaggia de L’Havana a Cuba, i bordelli di Amsterdam e di Saigon, la Gara du Nord a Bucarest, un lungo percorso di definizione di una tua propria identità, il salto estremo e finale per superare il grigiore della routine sessuale di gang bang pornografia ammucchiate casalinghe timidi esperimenti omosessuali sadomaso estremo, la noia quotidiana, annientare la solitudine, convivere con la confusione.
La confusione di un senso di appartenenza tradito.
Vieni nel retto della troia - getto copioso di malattia.
Adesso, stai bene. Felice e rilassato.
Anche se sei paonazzo, distrutto, coperto da una patina di sudore. Hai trasmesso una parte del tuo essere a questa maledetta, inutile donna. Era quello che voleva, che aveva accettato come le altre rispondendo al tuo annuncio in quel newsgroup web, ed era quello che volevi anche tu ovviamente. Condividere la solitudine assoluta, dirsi meno soli uccidendosi lentamente.
Non stai neanche a prendere il fazzoletto che ti porge con movenza felina, per pulirti il cazzo incrostato di sperma e rimasugli organici . La vedi andare via, ma prima risistemarsi i collant, le mutandine nere, il reggiseno in un disperato tentativo di riacquistare un contegno civile.
Te ne stai immobile sulla sedia, a contemplare le evoluzioni della spogliarellista dietro il vetro e ti sfugge persino il timido grazie della segretaria, pronunciato nell’atto di scomparire oltre il buio della porta per celebrare il dono di cui l’hai omaggiata.
Ci sei solo tu adesso. Ed è proprio con questa consapevolezza che ti accasci a terra e percepisci, nitidamente, il tuo ultimo respiro e per quanto possa sembrare insensato o stupido il tuo unico rimpianto è l’aver lasciato un corpo così disfatto, uno spettacolo indegno per chi ti troverà dentro la stanzetta.
Ma d’altronde si vive di rimpianti.
E a volte di rimpianti si muore.