Sadomaso in Giappone

(testo di Masami Akita - traduzione dall'inglese di Andrea Venanzoni)

L’Arte del Sadomaso ha assunto varie forme in Giappone e ciò è dovuto principalmente alla storia stessa del Giappone.
Uno dei principali sotto-generi del SM è il Joshu, o materiale riguardante donne prigioniere.
E’ bene precisare che nella cultura giapponese il termine Joshu deriva dai ritratti di tortura databili attorno al 1467, ovvero dalla battaglia di Onin, in un periodo che attraversa le ere Sengoku e Edo per giungere fino all’era Meiji.
Difficilmente può essere trovato un periodo altrettanto crudele e brutale dell’era Sengoku, divenuta tristemente nota per i perversi metodi di tortura, tra cui vanno annotati il fuoco, i coltelli ( utilizzati per incidere o addirittura amputare porzioni del corpo ), tatuaggi e scarificazioni violente, stritolamento mediante sassi, acqua bollente, squartamento mediante cavalli.
Le più brutali ed umilianti forme di tortura vennero inventate e sapientemente utilizzate in quest’epoca che può essere definita, senza tema di esagerazione, come un autentico inferno in terra.
I più barbari metodi erano senza dubbio quelli usati contro i cristiani. E ciò fa notare come, storicamente e indipendentemente dal contesto culturale e geografico, i supplizi più violenti siano sempre stati utilizzati contro il dissenso religioso. Coloro i quali credevano nelle religioni considerate errate o eretiche venivano trattati con maggiore rigore e con compiaciuto sadismo.
I Cristiani giapponesi venivano mutilati di orecchie, dita e nasi, ovvero si applicavano loro le punizioni originarie escogitate per chi si fosse macchiato di viltà e tradimento.
Si voleva dare una umiliazione suprema mediante pubblica deformazione.
Il governo Togukawa, nel 1742, emise un editto in cui si predisponeva un rigido codice penale, fornito espressamente di pene e di supplizi corporali, tra cui vanno citati: pena di morte, l’esilio, la schiavitù, i lavori forzati, varie pene detentive.
Tra le torture vanno citate:
Mutchiuchi ( Frustate )
Ishidaki ( Stritolamento mediante pietra posta sul petto )
Ebireme ( Legamnto e sollevamento mediante corda )
Isu Zeme ( impiccagione )
E’ stato giustamente notato che le principali torture di questo periodo sono quele che maggiormente hnno influenzato l’estetica e l’immaginario del SM. Si potrebbe persino essere tentati di affermare che il moderno SM giapponese affonda le proprie radici nell’epoca Togukawa.
Un altro aspetto interessante del periodo in questione è l’umiliazione pubblica e l’altrettanto pubblica esecuzione, già comune in alcuni distretti del Giappone prima che una dinastia di Imperatori prendesse possesso di Nara ( allora Capitale del Giappone ), a far tempo circa dal 794.
L’esecuzione di donne non era all’epoca aperta al pubblico, ma lo divenne durante il periodo Edo.
Stando a quanto riporta Takigawa Masajiro nel suo libro Storia delle Pene in Giappone , i criminali venivano legati in sella ad un cavallo, al collo un cartello con su scritto il delitto commesso e li si faceva circolare per il paese o per la città; Takigawa nota che le donne criminali solleticavano gli istinti più perversi di chi assisteva all’umiliazione.
Scopo precipuo di questa procedura era tanto il fungere da deterrente per chi avesse intenzione di commettere simili crimini quanto l’umiliare al massimo i colpevoli.
Le donne soffrivano maggiormente la pubblica umiliazione che, per inciso è oggi uno dei temi preferiti dell’arte del Bondage.
Successivamente, e regnanti gli Imperatori Ietsuna e Tsunayoshi le punizioni si fecero più coreografiche.
Al picco dell’era Edo, la raffigurazione artistica delle torture e delle esecuzioni divenne un sotto-genere dell’Arte pittorica, accettato e amato dalle masse.
L’estetica di queste stampe precorre quelle che sono oggi le tematiche del SM, soprattutto per quel che concerne il Joshu e il Bondage.
E si deve notare come gli esecutori di questi supplizi fossero sempre ufficiali di rango inferiore, chiamati Yoriki e Doshin.
Si riteneva infatti sconveniente per un nobile rendersi partecipe di un atto di tortura. A loro volta tanto gli Yoriki che i Doshin “ subappaltavano “ le loro gesta ad altre figure, i Meakashi e gli Okkapiki, che con un certo grado di approssimazione potremmo definire detective pivati dell’epoca ,cui competeva in concreto la cattura del colpevole.
Una volta catturati, i colpevoli venivano consegnati ai Doshin, specializzatisi nella tortura mediante corda. Si segnala a tal proposito che i Doshin utilizzavano nodi differenti a seconda della classe sociale di appartenenza del condannato e pertanto si sviluppò una vera e propria simbologia dei nodi ed un’arte del legare tramandata dai vecchi Doshin ai nuovi.
Non esistono documenti o testi di studio, poiché la materia in questione richiedeva l’oralità ed un buo grado di segretezza.
Un errato nodo avrebbe rappresentato una umiliazione anche per l’ufficiale preposto alla punizione e per questo esistevano delle vere scuole di Doshin, in cui si sviluppò organicamente il Bondage.
L’umiliazione pubblica ed il suo rapporto con l’autorità così come sono stati ripresi dall’Arte rappresentano un tema di scherno del’autorità stessa, con evidenti connotazioni politiche antagoniste; per esempio, nel periodo pre-bellico circolavano diverse stampe raffiguranti la moglie di un potentato reazionario legata e appesa al soffitto, brutalmente stuprata da un poliziotto. Oppure un gruppo di donne prigioniere che vengono umiliate e torturate da un nobile locale. O ancora, più di recente, un funzionario di un negozio che gioca con il corpo di una liceale, legata come un salame.
O, una impiegata che viene violentata dal suo capo ufficio.
In queste immagini e fotografie, lo stupro è visto come giusta punizione perchè le vittime hanno infranto le regole.
Come si nota agevolmente, c’è una sfumatura di sadismo misogino che parte al presupposto dell’accettazione e perfino del piacere che la vittima ha nei confroti del legamento e della violenza.
La sperequazione sociale tra carnefice e vittima è così evidente da amplificare la brutale ingiustizia commessa.
E’ caratteristica tipologica del SM giapponese amplificare in modo esponenziale la fragilità, la poesia, la debolezza, la bellezza delle donne coinvolte in queste pratiche disumane, proprio per accentuare il contrasto.
Credo comunque che sarebbe semplicistico e limitativo considerare gli uomini fruitori di queste immagini come dei sadici.
C’è da considerare la possibilità che essi simpatizzino per la ragazza torturata e abusata.
In altre parole, la loro eccitazione potrebbe derivare dal tremore delle membra sottoposte a tortura, dall’osservazione delle scene di sadismo.

Storia dei Magazine S-M Giapponesi:
“ L’unica qualifica che ho ottenuto studiando il Bondage a partire dal 1908 è stata quella di pervertito “ dichiara Ito Seiu, in un articolo apparso sul magazine Amatoria, nel 1953.
All’epoca il termine S-M non era ancora in voga e covava sotto la cenere, pronto ad emergere; e potete scommetterci, tutte le persone interessate a queste pratiche meta-sessuali erano considerate semplicemente degli schifosi pervertiti.
Fu proprio verso la metà degli anni cinquanta, epoca cui risale l’articolo di Ito, che i principali giornali pulp nati nel periodo post-bellico iniziarono a trasformarsi in riviste erotiche di massa ed è il 1953 l’anno di trasformazione radicale che coinvolse Kitan Club, il più famoso pulp magazine del Giappone, rivista che divenne un paradiso per qualunque bizzarria sessuale.
Fondato nel 1948, Kitan Club era una rivista eterosessuale perfettamente accettata, poi la trasformazione fu intrapresa attraverso la pubblicazione di una serie di fotografie di Bondage, scattate da Kita Reiko – che operava anche sotto lo pseudonimo di Suma Toshiyuki e che era l’editore di Kitan Club e di Uramado, ed inoltre romanziere sotto il nome di Minomura Ko.
Egli affrmava di essere l’ultimo discepolo del Sensei del Bondage, Ito Seiu.Un’altra rivista di grande popolarità era Yomikiri Romansu, riempita di storie sessualmente degradate ed anomale, di formato non dissimile dai magazine per coppie sposate.
Romansu presentava lunghe serie di foto di Bondage e altre foto erotiche scattate dall’editore, Ueda Seishiro, che si dichiarava pesantemente influenzato da Ito Seiu. Effettivamente Ueda presenziò regolarmente a molte delle photo-session organizzate da Ito.
Molte delle foto realizzate durante queste sessioni vennero pubblicate immediatamente e in certa misura si potrebbe dire che lo Spirito del Maestro di Legamenti Ito Seiu sopravvisse grazie alle riviste S-M.
Uramado iniziò le pubblicazioni nel 1955, come rivista di racconti, successivamente divenne un periodico S-M a far tempo dal 1960 grazie alla pesante influenza di Lida Toyokaru, ex editore di Kitan Club.
Lida sarebbe diventato negli anni il principale esponente dell’Arte S-M, sotto il nome di Maestro di Legamenti Nureki Chimou, a cui tra l’altro si deve l’aver scoperto le potenzialità del video.
Rimodernando completamente impaginazione, estetica e gusti, Uramado si autodefinì sulla copertina “ il più straordinario giornale S-M del Giappone “.
Il magazine coinvolse fotografi di talento come Yoshida Kyu e Fujisawa Shu e l’artista grafico Nakagawa Ayako, ed inoltre pubblicò moltissime foto provenienti dalla West Coast degli Usa, attraverso l’intermediazione della Compagnia Phoenix.
Il proprietario della Phoenix, Morishita Takashige, aveva numerosi contatti con esponenti della scena neo-primitiva ed entusiasti della body-art e del S-M, come John Willy e Fakir Musafar.
Musafar era comunque già piuttosto noto in Giappone, visto che Morishita aveva curato una monografia su di lui in una rivista di piercing estremo, chiamata Fuzoku Kito.
Sfortunatamente Uramado cesò le pubblicazioni, soffocato dalla concorrenza, verso la fine degli anni sessanta.
Si dovette attendere la fine dei settanta per una nuova ondata di magazine e video; SM Collector, SM elect, SMKitan, SM Mania, SM Fan, SM Sniper e M King.
Non c’è dubbio che pornografia e SM siano accomunati, agli occhi di un inesperto, dal comune contenuto; l’umiliazione della donna.
Al giorno d’oggi esistono due correnti all’interno del S-M; una che si richiama all’estetica oscura del SM delle origini, incurante di mode e di gusti di massa, ed un’altra più ariosa e commerciale e orientata verso la pornografia.
A tal proposito si dovrebbe ricordare che l’aggiunta di penetrazioni vaginali o anali o l’inserimento di clisteri o tubi di gomma negli orifizi femminili, come elemento ulteriore delle pratiche SM, si deve in buona sostanza, al romanzo “ Fiore e Serpente “ di Dan Oniroku.
Senza dubbio, tanto il moderno soft-core SM quanto la cultura dei club SM sono il prodotto del secondo modo di intendere questa disciplina. Completamente ossessionati dalle vagine e dagli ani, le intimità femminili cui il SM tradizionale non dava alcuna importanza.
L’SM è diventato solo una variante sul tema delle bizzarrie sessuali e delle pratiche per amanti annoiati un mero intrattenimento svuotato di significato.
Non è certo possibile considerarlo una estetica.
Ed oggi l’SM è veramente distante dalle radici che ne avevano fatto una autentica Arte della Tortura…