Uguaglianza. Fratellanza. Solidarietà.
La democrazia è il migliore dei mondi possibili. Non forma di governo, perché il giacobino invasato non può concepire altra antropologia se non quella del bieco livellamento totalitario nel nome dell’uguaglianza; tutte le opzioni alternative sono sotterrate nella metaforica buca della invisibilità, della non-considerazione, ammantate e gravate del peso insostenibile della idiozia, della alienazione.
La democrazia tollera tutto fuorchè l’intelligenza. Un Uomo, intendendo con questa espressione non certo i burocrati grigi e i burattini la cui unica preoccupazione esistenziale è la produzione meccanica e che affollano queste nostre benemerite nazioni sovrappopolate, generalmente tende alla liberazione dalle sovrastrutture castranti, tende alla grandezza, vuole lasciare di sé una traccia duratura nella clessidra della Storia; nel momento in cui qualcuno decide che gli schemi della democrazia gli vanno stretti, che in fondo non è poi così sensato che i migliori debbano essere considerati alla stregua dei peggiori, che un inane ammasso di carne e terminazioni nervose continua a vivere solo perché troppo pigro per farla finita lasciandosi dietro il lezzo della decomposizione della morte-in-vita, ecco apparire subito la repressione, la gabbia, la condanna, la gogna.
Una persona intelligente non dovrebbe avere nulla a che fare con la democrazia. E non si pensi che intendo starmene qui a denigrare questa forma di fango parlamentare, davvero, non sarebbe che un mero esercizio di stile dato che la democrazia si denigra benissimo da sola.
Si denigra ogni volta che un Ministro o un suo rappresentante popolare apre bocca e lascia che il vento si porti dietro il suono grottesco della miseria.
Si denigra ogni volta che un tutore dell’ordine inizia ad intavolare una spiegazione precisa e matematicamente strutturata di come un delitto apparentemente semplice sia in realtà una processione di proiettili magici, rimbalzi sbalorditivi, casualità astratta degna di una tela di Mirò. Solo che al posto degli schizzi di vernice rossa e blue e gialla qui c’è il cranio frantumato di un ragazzo, la cui unica colpa era quella di credere troppo ciecamente nella tutela e nella sicurezza e che per questo dormiva sul ciglio di un Autogrill.
Tragico errore, perché la democrazia invece non dorme mai.
La democrazia, le sue pistole fumanti e la logorrea giornalistica che a cadavere ancora caldo iniziava a strepitare di precedenti penali specifici, risse tra tifosi e politici esultanti che non attendevano altro per pontificare di maggiore repressione per assicurare il futuro della democrazia stessa.
Oh, ma che gentili. Che magnanimi. Proprio come quei giudici che condannarono Brasillach a prendersi una scarica di piombo nel sordido ventre carcerario di Fresnes, anche oggi i nostri Ministri e politici appollaiati sugli scranni del Parlamento si nutrono del sangue di cui è cosparso l’asfalto di una piazzola di sosta della provincia aretina. Il tutto, sia chiaro, per dimostrare la supremazia del metodo democratico.
Perché se c’è una cosa di cui sono ben certi tutti gli entusiasti apologeti della democrazia è che essa non contiene nessuna forma di reticenza e che al contrario rappresenta la migliore forma politica per conoscere la verità, ogni scomoda verità.
Quando il Ministro della Giustizia strepita di giri di vite contro i tifosi non sapendo nulla della esatta dinamica dei fatti e ben pronto a gettare la croce della pubblica esecrazione sulle spalle degli appassionati di uno sport domenicale, e venendo poi sbugiardato dalla costante emersione di fatti che vanno in ben altra direzione direi che allora questa meravigliosa democrazia si rivela solo per quello che essa è veramente; un colossale monumento eretto all’ipocrisia.
Quando un Questore assicura che ogni sforzo per raggiungere la certezza e l’acclaramento dei fatti sarà fatto e poi si inerpica in una conferenza stampa (senza domande) in cui le pallottole assumono traiettorie che nemmeno gli uccelli della canzone di Battiato, bossoli magici e detonazioni esoteriche da rimbalzo stellare, effetto boomerang non previsto, continuo a credere che dalla democrazia mi devo tenere lontano il più possibile.
D’altronde quando per strada vedete un escremento di cane, non ci correte sopra. O no?
Quando i giornalisti, gli officianti supremi della verità e della informazione, prendono a vomitare fiumi di liquame comunicativo, a dipingere foschi scenari di guerriglia autostradale, a descrivere la vittima come un pluripregiudicato con “precedenti specifici”, bè ho il sospetto, non tanto vago ma poi fate voi, che questa decantata democrazia sia solo un trogolo dentro cui si azzuffano copiosi e furiosi i maiali.
Diceva Kierkegaard che “il Singolo è per l’uomo, la determinazione dello spirito, dell’essere uomo: la Folla, il numero, è la determinazione dell’animalità”; dimentichi di tutto ciò, o forse ben più memori e più accorti di quello che siamo propensi a concedere loro, i democratici affollano le dimensioni esistenziali di una nuova tipologia umana, l’uomo ingrigito e atomizzato, il mucchio selvaggio della espressione antropologica. Soltanto il numero conta, d’altronde la felicità contemporanea è questione di numeri e di fredda matematica, di quanti voti si sono presi alle ultime elezioni. Tutto il resto diventa un giochetto per passare il tempo tra un reality show, un gossip soffuso e un caso di cronaca nera con cui pasturare per giorni e giorni nell’oggetto oscuro del desiderio.
La democrazia è riuscita laddove il buon Debord si era spinto esitante e timoroso nella sua opera di analisi delle dinamiche sociali; il detour organico e senza compromessi. Prendete una donna italiana ammazzata da un rumeno, mettete la vicenda in bocca a politici democratici e a giornalisti altrettanto democratici e vedrete che il problema oggettivo diventerà la xenofobia.Prendete un ragazzo di 28 anni che appena staccato da lavoro decide di seguire la sua squadra del cuore da Roma a Milano e viene giustiziato , su una autostrada particolarmente frequentata e trafficata, da un servitore di questa splendida democrazia, assegnate poi il compito di descrivere i fatti ai rappresentanti istituzionali di varia gradazione e ai giornalisti, ai mezzi di comunicazione e vedrete che il problema sarà il tifo violento, la violenza negli stadi.
Fermare la frangia estremistica, diceva il Ministro della Giustizia. Naturalmente sarebbe cosa ottima, se per frangia estremistica intendiamo il volto brutale, crudele e assassino di questa democrazia che per reiterare se stessa non esita ad estrarre una beretta da guerra dalla fondina e ad aprire il fuoco per sedare qualcosa che era già sedato.
Una massa vaticinante di opinionisti, politici, uomini delle istituzioni si è avventata come un branco di sciacalli o come uno stormo di avvoltoi sul cadavere della vittima, avevano fiutato il sangue e scorto l’occasione per fare una bella figura, incidere sul senso popolare afflitto da questi aneliti antidemocratici; si sono tutti lanciati in avanti a pancia nuda, con gli angoli della bocca ancora sporchi della mondezza necrofora, per tutti i pranzi e le cene consumati nel nome del benessere comune e della democrazia.
Alcuni si sono metaforicamente iscritti ai sindacati delle forze di polizia rilasciando dichiarazioni grondanti (democratica) indignazione e (democratica) repulsione per questi schifosi sovversivi del calcio, ed allora giù richieste di leggi speciali, sospensione delle garanzie per i fermati, maggiore sostegno economico e di mezzi; l’indignazione democratica diventa meravigliosa soprattutto quando riluce di quegli stessi bagliori che piacevano tanto a Videla e ad altri democratici sudamericani, i quali avevano almeno il buongusto di non “suicidare” pubblicamente i loro sudditi più riottosi.
Che poi nella vicenda in esame non vi fosse nemmeno rivolta o insurrezione o una più modesta rissa è altro a dirsi. Il cuore democratico non ascolta queste illazioni di secondaria importanza.
Non dovremmo stupirci, almeno io non mi stupisco, se Van Gogh è stato annientato dalla scienza psichiatrica. Nello stesso modo di Antonin Artaud. Perché la democrazia non solo non accetta tutto ciò che esula strumentalmente dai suoi interessi, ma è pure così ridicola e gretta che quando si trova il Genio davanti non può far altro che crocifiggerlo. Scriveva bene Von Salomon, “ragazzo goditi la guerra perché la pace sarà terribile”.
La putrefazione dell’anima convogliata dalla democrazia ha portato molte persone a credere che non esista alternativa, che non ci sia scelta, che davvero i politicanti agiscano per il bene comune. Ancora una volta viene celebrato un drammatico Ecce Homo, e la folla sbavante ed aizzata, ammansita dalla corruzione e dai giochi crudeli del Colosseo per dirla alla Celine, se ne frega, se ne lava collettivamente le mani.
Tutti i bravi ragionieri, gli impiegati di banca, gli operai, le casalinghe fan di Mentana e Vespa, indottrinati tutti al fideistico rispetto per la democrazia, democrazia come valore assoluto, santificano il nome rispettabile del povero agente di polizia che ha agito d’impulso per un fine superiore, lo immaginano prossimo all’essere sbranato dalle belve ultras, da quattro cialtroni esagitati, pregiudicati e magari drogati. Un fremito di eccitazione metasessuale li percorre tutti, roba che nemmeno le prostitute con cui si accompagnano sui viali o le prediche del Parroco sono in grado di provocare.
La vittima trasformata in potenziale assassino, furioso criminale da stadio, avanzo di galera “con precedenti specifici”, e il poliziotto in un tremante e sconvolto padre di famiglia tutore della legge e dell’ordine pubblico, certo immaginano le casalinghe con aria sognante e languida lui è il migliore di tutti anche se ora sarà roso dai dubbi dall’angoscia dal rimorso dalla pietà umana quella stessa pietà che l’assalitore ultras non gli avrebbe mai accordato.
I ragionieri invece si godono il loro piccolo paradiso di legalità a tutti i costi. Ben gli sta, ululano nel segreto delle loro stanzette, maledetto teppista di stadio.
Tutto attorno ruota il circo dell’informazione, si susseguono le dichiarazioni, le prese di posizione, invece di tacere nel tentativo di comprendere come siano andate esattamente le cose inizia una feroce gara a chi la spara più grossa, una gara che continuerà per tutta la notte anche quando sarà diventato evidente che “il tragico errore” con cui fanno i gargarismi Ministro degli Interni e Questore di Arezzo è solo una comoda giustificazione insanguinata, un mantra di belle maniere per rabbonire la plebaglia.
Ma non c’è qualche bel reality show? Devono aver pensato le alte cariche dello Stato (democratico), così questa feccia la smette una buona volta di lamentarsi. In fondo la democrazia è una illusione di desideri appagati, un simulacro di buone intenzioni; “la soddisfazione o, come si dice ordinariamente, la felicità, è per natura essenzialmente negativa, senza nulla di positivo. La felicità non è mai originaria, né ci viene spontaneamente; ma si deve sempre alla soddisfazione di un desiderio. Il desiderio, la privazione, sono infatti condizioni preliminari di ogni gioia. Ma con la soddisfazione cessa il desiderio, e quindi anche la gioia.”, scriveva il buon Schopenauer. Come dargli torto?
La democrazia produce alienazione attraverso l’illusione di elargire libertà, sicurezza, appagamento delle richieste sociali. Genera richiesta di un desiderio orientando e polarizzando l’immaginario collettivo in una certa direzione, e poi opera affinchè quel desiderio sia illusoriamente appagato.
Il ragioniere che esulta per l’omicidio gode di una prova di forza esibita così pomposamente, la canna fumante della legge contro l’anarchia violenta dei facinorosi. Dorme sonni tranquilli tra un guanciale imbottito di abuso di potere e un lenzuolo imbevuto del sangue di tutti i giustiziati nel nome della reiterazione del dominio sociale. Nulla lo tranquillizza di più del sapere che la sua libertà è tutelata anche, se non soprattutto, con il piombo.
Tanto che un solerte ex Presidente della Repubblica non perde tempo nel dichiarare, quando da Bergamo, Milano e Roma si solleva il fumo acre della vendetta, irrazionale ed impulsiva ma genuina e perdio viva, che ai suoi tempi si sarebbe sparato e che allora i facinorosi avrebbero perso la baldanza, oltre alla vita (ma questo lui non lo dice, lo lascia solo supporre come in un pessimo film d’azione). Negli stessi istanti si consuma il tragico rituale dei volti ipocritamente contriti, delle tette esibite ma listate a lutto e delle idiozie totali che rappresentano l’ossatura del mondo degli opinionisti calcistici trasformati per l’occasione in criminologi e cronisti di nera.
La democrazia è il migliore dei mondi possibili. Non forma di governo, perché il giacobino invasato non può concepire altra antropologia se non quella del bieco livellamento totalitario nel nome dell’uguaglianza; tutte le opzioni alternative sono sotterrate nella metaforica buca della invisibilità, della non-considerazione, ammantate e gravate del peso insostenibile della idiozia, della alienazione.
La democrazia tollera tutto fuorchè l’intelligenza. Un Uomo, intendendo con questa espressione non certo i burocrati grigi e i burattini la cui unica preoccupazione esistenziale è la produzione meccanica e che affollano queste nostre benemerite nazioni sovrappopolate, generalmente tende alla liberazione dalle sovrastrutture castranti, tende alla grandezza, vuole lasciare di sé una traccia duratura nella clessidra della Storia; nel momento in cui qualcuno decide che gli schemi della democrazia gli vanno stretti, che in fondo non è poi così sensato che i migliori debbano essere considerati alla stregua dei peggiori, che un inane ammasso di carne e terminazioni nervose continua a vivere solo perché troppo pigro per farla finita lasciandosi dietro il lezzo della decomposizione della morte-in-vita, ecco apparire subito la repressione, la gabbia, la condanna, la gogna.
Una persona intelligente non dovrebbe avere nulla a che fare con la democrazia. E non si pensi che intendo starmene qui a denigrare questa forma di fango parlamentare, davvero, non sarebbe che un mero esercizio di stile dato che la democrazia si denigra benissimo da sola.
Si denigra ogni volta che un Ministro o un suo rappresentante popolare apre bocca e lascia che il vento si porti dietro il suono grottesco della miseria.
Si denigra ogni volta che un tutore dell’ordine inizia ad intavolare una spiegazione precisa e matematicamente strutturata di come un delitto apparentemente semplice sia in realtà una processione di proiettili magici, rimbalzi sbalorditivi, casualità astratta degna di una tela di Mirò. Solo che al posto degli schizzi di vernice rossa e blue e gialla qui c’è il cranio frantumato di un ragazzo, la cui unica colpa era quella di credere troppo ciecamente nella tutela e nella sicurezza e che per questo dormiva sul ciglio di un Autogrill.
Tragico errore, perché la democrazia invece non dorme mai.
La democrazia, le sue pistole fumanti e la logorrea giornalistica che a cadavere ancora caldo iniziava a strepitare di precedenti penali specifici, risse tra tifosi e politici esultanti che non attendevano altro per pontificare di maggiore repressione per assicurare il futuro della democrazia stessa.
Oh, ma che gentili. Che magnanimi. Proprio come quei giudici che condannarono Brasillach a prendersi una scarica di piombo nel sordido ventre carcerario di Fresnes, anche oggi i nostri Ministri e politici appollaiati sugli scranni del Parlamento si nutrono del sangue di cui è cosparso l’asfalto di una piazzola di sosta della provincia aretina. Il tutto, sia chiaro, per dimostrare la supremazia del metodo democratico.
Perché se c’è una cosa di cui sono ben certi tutti gli entusiasti apologeti della democrazia è che essa non contiene nessuna forma di reticenza e che al contrario rappresenta la migliore forma politica per conoscere la verità, ogni scomoda verità.
Quando il Ministro della Giustizia strepita di giri di vite contro i tifosi non sapendo nulla della esatta dinamica dei fatti e ben pronto a gettare la croce della pubblica esecrazione sulle spalle degli appassionati di uno sport domenicale, e venendo poi sbugiardato dalla costante emersione di fatti che vanno in ben altra direzione direi che allora questa meravigliosa democrazia si rivela solo per quello che essa è veramente; un colossale monumento eretto all’ipocrisia.
Quando un Questore assicura che ogni sforzo per raggiungere la certezza e l’acclaramento dei fatti sarà fatto e poi si inerpica in una conferenza stampa (senza domande) in cui le pallottole assumono traiettorie che nemmeno gli uccelli della canzone di Battiato, bossoli magici e detonazioni esoteriche da rimbalzo stellare, effetto boomerang non previsto, continuo a credere che dalla democrazia mi devo tenere lontano il più possibile.
D’altronde quando per strada vedete un escremento di cane, non ci correte sopra. O no?
Quando i giornalisti, gli officianti supremi della verità e della informazione, prendono a vomitare fiumi di liquame comunicativo, a dipingere foschi scenari di guerriglia autostradale, a descrivere la vittima come un pluripregiudicato con “precedenti specifici”, bè ho il sospetto, non tanto vago ma poi fate voi, che questa decantata democrazia sia solo un trogolo dentro cui si azzuffano copiosi e furiosi i maiali.
Diceva Kierkegaard che “il Singolo è per l’uomo, la determinazione dello spirito, dell’essere uomo: la Folla, il numero, è la determinazione dell’animalità”; dimentichi di tutto ciò, o forse ben più memori e più accorti di quello che siamo propensi a concedere loro, i democratici affollano le dimensioni esistenziali di una nuova tipologia umana, l’uomo ingrigito e atomizzato, il mucchio selvaggio della espressione antropologica. Soltanto il numero conta, d’altronde la felicità contemporanea è questione di numeri e di fredda matematica, di quanti voti si sono presi alle ultime elezioni. Tutto il resto diventa un giochetto per passare il tempo tra un reality show, un gossip soffuso e un caso di cronaca nera con cui pasturare per giorni e giorni nell’oggetto oscuro del desiderio.
La democrazia è riuscita laddove il buon Debord si era spinto esitante e timoroso nella sua opera di analisi delle dinamiche sociali; il detour organico e senza compromessi. Prendete una donna italiana ammazzata da un rumeno, mettete la vicenda in bocca a politici democratici e a giornalisti altrettanto democratici e vedrete che il problema oggettivo diventerà la xenofobia.Prendete un ragazzo di 28 anni che appena staccato da lavoro decide di seguire la sua squadra del cuore da Roma a Milano e viene giustiziato , su una autostrada particolarmente frequentata e trafficata, da un servitore di questa splendida democrazia, assegnate poi il compito di descrivere i fatti ai rappresentanti istituzionali di varia gradazione e ai giornalisti, ai mezzi di comunicazione e vedrete che il problema sarà il tifo violento, la violenza negli stadi.
Fermare la frangia estremistica, diceva il Ministro della Giustizia. Naturalmente sarebbe cosa ottima, se per frangia estremistica intendiamo il volto brutale, crudele e assassino di questa democrazia che per reiterare se stessa non esita ad estrarre una beretta da guerra dalla fondina e ad aprire il fuoco per sedare qualcosa che era già sedato.
Una massa vaticinante di opinionisti, politici, uomini delle istituzioni si è avventata come un branco di sciacalli o come uno stormo di avvoltoi sul cadavere della vittima, avevano fiutato il sangue e scorto l’occasione per fare una bella figura, incidere sul senso popolare afflitto da questi aneliti antidemocratici; si sono tutti lanciati in avanti a pancia nuda, con gli angoli della bocca ancora sporchi della mondezza necrofora, per tutti i pranzi e le cene consumati nel nome del benessere comune e della democrazia.
Alcuni si sono metaforicamente iscritti ai sindacati delle forze di polizia rilasciando dichiarazioni grondanti (democratica) indignazione e (democratica) repulsione per questi schifosi sovversivi del calcio, ed allora giù richieste di leggi speciali, sospensione delle garanzie per i fermati, maggiore sostegno economico e di mezzi; l’indignazione democratica diventa meravigliosa soprattutto quando riluce di quegli stessi bagliori che piacevano tanto a Videla e ad altri democratici sudamericani, i quali avevano almeno il buongusto di non “suicidare” pubblicamente i loro sudditi più riottosi.
Che poi nella vicenda in esame non vi fosse nemmeno rivolta o insurrezione o una più modesta rissa è altro a dirsi. Il cuore democratico non ascolta queste illazioni di secondaria importanza.
Non dovremmo stupirci, almeno io non mi stupisco, se Van Gogh è stato annientato dalla scienza psichiatrica. Nello stesso modo di Antonin Artaud. Perché la democrazia non solo non accetta tutto ciò che esula strumentalmente dai suoi interessi, ma è pure così ridicola e gretta che quando si trova il Genio davanti non può far altro che crocifiggerlo. Scriveva bene Von Salomon, “ragazzo goditi la guerra perché la pace sarà terribile”.
La putrefazione dell’anima convogliata dalla democrazia ha portato molte persone a credere che non esista alternativa, che non ci sia scelta, che davvero i politicanti agiscano per il bene comune. Ancora una volta viene celebrato un drammatico Ecce Homo, e la folla sbavante ed aizzata, ammansita dalla corruzione e dai giochi crudeli del Colosseo per dirla alla Celine, se ne frega, se ne lava collettivamente le mani.
Tutti i bravi ragionieri, gli impiegati di banca, gli operai, le casalinghe fan di Mentana e Vespa, indottrinati tutti al fideistico rispetto per la democrazia, democrazia come valore assoluto, santificano il nome rispettabile del povero agente di polizia che ha agito d’impulso per un fine superiore, lo immaginano prossimo all’essere sbranato dalle belve ultras, da quattro cialtroni esagitati, pregiudicati e magari drogati. Un fremito di eccitazione metasessuale li percorre tutti, roba che nemmeno le prostitute con cui si accompagnano sui viali o le prediche del Parroco sono in grado di provocare.
La vittima trasformata in potenziale assassino, furioso criminale da stadio, avanzo di galera “con precedenti specifici”, e il poliziotto in un tremante e sconvolto padre di famiglia tutore della legge e dell’ordine pubblico, certo immaginano le casalinghe con aria sognante e languida lui è il migliore di tutti anche se ora sarà roso dai dubbi dall’angoscia dal rimorso dalla pietà umana quella stessa pietà che l’assalitore ultras non gli avrebbe mai accordato.
I ragionieri invece si godono il loro piccolo paradiso di legalità a tutti i costi. Ben gli sta, ululano nel segreto delle loro stanzette, maledetto teppista di stadio.
Tutto attorno ruota il circo dell’informazione, si susseguono le dichiarazioni, le prese di posizione, invece di tacere nel tentativo di comprendere come siano andate esattamente le cose inizia una feroce gara a chi la spara più grossa, una gara che continuerà per tutta la notte anche quando sarà diventato evidente che “il tragico errore” con cui fanno i gargarismi Ministro degli Interni e Questore di Arezzo è solo una comoda giustificazione insanguinata, un mantra di belle maniere per rabbonire la plebaglia.
Ma non c’è qualche bel reality show? Devono aver pensato le alte cariche dello Stato (democratico), così questa feccia la smette una buona volta di lamentarsi. In fondo la democrazia è una illusione di desideri appagati, un simulacro di buone intenzioni; “la soddisfazione o, come si dice ordinariamente, la felicità, è per natura essenzialmente negativa, senza nulla di positivo. La felicità non è mai originaria, né ci viene spontaneamente; ma si deve sempre alla soddisfazione di un desiderio. Il desiderio, la privazione, sono infatti condizioni preliminari di ogni gioia. Ma con la soddisfazione cessa il desiderio, e quindi anche la gioia.”, scriveva il buon Schopenauer. Come dargli torto?
La democrazia produce alienazione attraverso l’illusione di elargire libertà, sicurezza, appagamento delle richieste sociali. Genera richiesta di un desiderio orientando e polarizzando l’immaginario collettivo in una certa direzione, e poi opera affinchè quel desiderio sia illusoriamente appagato.
Il ragioniere che esulta per l’omicidio gode di una prova di forza esibita così pomposamente, la canna fumante della legge contro l’anarchia violenta dei facinorosi. Dorme sonni tranquilli tra un guanciale imbottito di abuso di potere e un lenzuolo imbevuto del sangue di tutti i giustiziati nel nome della reiterazione del dominio sociale. Nulla lo tranquillizza di più del sapere che la sua libertà è tutelata anche, se non soprattutto, con il piombo.
Tanto che un solerte ex Presidente della Repubblica non perde tempo nel dichiarare, quando da Bergamo, Milano e Roma si solleva il fumo acre della vendetta, irrazionale ed impulsiva ma genuina e perdio viva, che ai suoi tempi si sarebbe sparato e che allora i facinorosi avrebbero perso la baldanza, oltre alla vita (ma questo lui non lo dice, lo lascia solo supporre come in un pessimo film d’azione). Negli stessi istanti si consuma il tragico rituale dei volti ipocritamente contriti, delle tette esibite ma listate a lutto e delle idiozie totali che rappresentano l’ossatura del mondo degli opinionisti calcistici trasformati per l’occasione in criminologi e cronisti di nera.
Geniale un ex direttore di una testata politica che invoca, col volto pingue e sudaticcio e mentro lo vedo penso che se la applicassero su di lui la frenologia lombrosiana non ne uscirebbe tanto bene, delle leggi più dure ed estreme di quelle usate contro i terroristi negli anni settanta. Sarà lieto di sapere che la Procura di Roma, nel perseguire i per ora quattro arrestati notturni, farà gravare sulle loro teste anche la micidiale accusa di terrorismo.
In questo sono tutti concordi ora, i politicanti, i sindacati di polizia, i giornalisti, persino gli ex intellettuali e le veline e gli attorucoli che dal basso di una carriera finita si riciclano nel nulla dei salotti sportivi; c’è una regia, una guida occulta, una strategia politico-eversiva. Vengono sfilate in rassegna le simbologie, le casualità, i gesti, persino gli slogan, così capita che quattro ragazzini intemperanti (resi intemperanti da chi e da cosa? Verrebbe da chiedere ai solerti accusatori, materiali e morali) si trovino a dover rispondere di accuse e reati che li porterebbero a scontare la gioia carceraria in compagnia di Riina, Provenzano e altri rinomati criminali.
Ma la politica è cosa troppo seria ed intelligente perché se ne possano occupare i politici. Vederli ululare e latrare e strepitare in ogni studio televisivo improvvisato, tra volti dimessi e lacrime di coccodrillo e stop pubblicitari chè quelli non possono mancare essendo la linfa vitale della democrazia, è uno spettacolo che rende giustizia a chiunque abbia dedicato la sua esistenza al tentativo di estinguerla la democrazia.
Le fiamme che si levano sui profili assopiti di Roma, durante la lunga notte che segue la morte del ragazzo, e che vengono inquadrate in diretta da giornalisti infreddoliti ed attardatisi tra i monumenti marmorei del Foro Italico e le luci arancio smorto del Lungotevere, diventano il paradigma usato da tutti i difensori della democrazia per dimostrare che avevano ragione loro, che la marmaglia tempestosa si ribella contro il fiore governativo e quindi non merita altro che la ghigliottina. Come in una tragica parodia rovesciata della Rivoluzione francese, è qui il Re a far ghigliottinare chi assaltava la Bastiglia.
Tutti quegli incidenti non avevano una motivazione eversiva. Non nel senso di disegno lucidamente e scientificamente preordinato. Eppure indicano qualcosa che travalica il semplice malessere esistenziale o sociale o l’incacrenirsi dell’odio nutrito per gli uomini in divisa chiamati a tutelare l’incolumità dei probi cittadini; quelle sassate, quei cortei, quelle lingue di fuoco, quelle macchine arse, e le aggressioni e gli scontri e le devastazioni non sono state altro che una pura restituzione di favori, una presa di coscienza di quanto menzognera, malata, putrida sia la democrazia.
Per un intero pomeriggio si sono susseguiti tentativi di innalzare cortine fumogene sulla vera dinamica dell’accaduto, si è spalato letame sulla memoria della vittima, si sono messe in circolo farneticazioni di varia gravità, si sono imbastiti processi sommari, e tutto ciò non ad opera di qualche funzionario reazionario ma proprio di tutto il gotha della nostra bella democrazia. Politici, poliziotti, giornalisti, tutti a falsificare la dinamica, ad inventare, a chiedere repressione, a strumentalizzare, a buttare benzina sul fuoco.
E adesso queste stesse persone si lamentano, o fanno finta di lamentarsi (dato che sanno benissimo come capitalizzarli quegli scontri, tra disegni di legge urgentissimi e repressione già pronta), criminalizzano gli innocenti e assolvono i colpevoli.
Fantastico, davvero.
E potremmo pure dire che il livello di strumentalizzazione viene comunque dopo il fanatismo e l’aderenza al canone democratico; perché la cosa più pericolosa ed assurda è che questi giacobini credono davvero che la democrazia sia un valore. Lo hanno ripetuto per così tanto tempo da aver finito per crederci sul serio.
E’ proprio in momenti come questi che assume un significato sinistro quanto diceva Heidegger, “e tuttavia, proprio quando è sotto questa minaccia l'uomo si veste orgogliosamente della figura di signore della terra. Così si viene diffondendo l'apparenza che tutto ciò che si incontra sussista solo in quanto è un prodotto dell'uomo. Questa apparenza fa maturare un'ultima ingannevole illusione. E' l'illusione per la quale sembra che l'uomo, dovunque, non incontri più altri che sé stesso”. Il democratico, nella sua illusione totalitaria, non riconosce dignità ontologica ad altri che al suo simile.
Non è un caso mi sembra che il Presidente della Repubblica, in visita in un Paese estero in cui la democrazia è concetto considerato al pari della carta igienica, non abbia perso tempo a precisare che l’Italia non è quella delle fiamme e degli assalti alle stazioni di polizia, desideroso di rassicurare tutti sulla tenuta strutturale del Sistema e della appetibilità promozionale e pubblicitaria dell’Italia. La vittima, giustiziata da un servitore di quel Sistema che secondo le parole del Presidente è meraviglioso, scompare, diventa un punto indistinguibile nell’effluvio di retorica patriottarda e democratica.
Ecco, ditemi ora partendo da quale presupposto si potrebbero condannare gli istinti che nella notte dell’omicidio hanno spinto centinaia di persone a guardare in faccia questo splendore chiamato democrazia e a sputargli in faccia il significato profondo del disprezzo. Pronte queste persone incappuciate a rendere indietro il fiele fatto ingoiare fino a quel momento, le delazioni, le infamie, le mezze verità, i misteri, gli insabbiamenti, i proiettili magici, la bassa sociologia di giornalisti e la protervia moralistica di politicanti che forse farebbero meglio prima di parlare di morale a far sparire la cocaina e le prostitute con cui spesso si intrattengono nella loro difficile solitudine romana.
Io non li condanno quei giovani.
Non prendo le distanze.
Se devo provare della rabbia e del disgusto, ebbene ho ben altre priorità su cui scaricare entrambi. I volti sono ben noti perché li vediamo untuosi e gonfi troneggiare sulle pagine dei quotidiani, sugli schermi televisivi.
La croce da portare sul Golgotha del superamento della democrazia schiaccia molto spesso chi si offre di incamminarsi. La salita verso il monte è ardua e dura, proprio come le sassate scagliate in un impeto disperato di ribellione e di odio; immotivate se valutate alla fredda luce dell’analisi ideologica, ma meritate da un Sistema che da tempo si crogiola nella sua riproduzione all’infinito come elemento cardine della sua politica.
In questo sono tutti concordi ora, i politicanti, i sindacati di polizia, i giornalisti, persino gli ex intellettuali e le veline e gli attorucoli che dal basso di una carriera finita si riciclano nel nulla dei salotti sportivi; c’è una regia, una guida occulta, una strategia politico-eversiva. Vengono sfilate in rassegna le simbologie, le casualità, i gesti, persino gli slogan, così capita che quattro ragazzini intemperanti (resi intemperanti da chi e da cosa? Verrebbe da chiedere ai solerti accusatori, materiali e morali) si trovino a dover rispondere di accuse e reati che li porterebbero a scontare la gioia carceraria in compagnia di Riina, Provenzano e altri rinomati criminali.
Ma la politica è cosa troppo seria ed intelligente perché se ne possano occupare i politici. Vederli ululare e latrare e strepitare in ogni studio televisivo improvvisato, tra volti dimessi e lacrime di coccodrillo e stop pubblicitari chè quelli non possono mancare essendo la linfa vitale della democrazia, è uno spettacolo che rende giustizia a chiunque abbia dedicato la sua esistenza al tentativo di estinguerla la democrazia.
Le fiamme che si levano sui profili assopiti di Roma, durante la lunga notte che segue la morte del ragazzo, e che vengono inquadrate in diretta da giornalisti infreddoliti ed attardatisi tra i monumenti marmorei del Foro Italico e le luci arancio smorto del Lungotevere, diventano il paradigma usato da tutti i difensori della democrazia per dimostrare che avevano ragione loro, che la marmaglia tempestosa si ribella contro il fiore governativo e quindi non merita altro che la ghigliottina. Come in una tragica parodia rovesciata della Rivoluzione francese, è qui il Re a far ghigliottinare chi assaltava la Bastiglia.
Tutti quegli incidenti non avevano una motivazione eversiva. Non nel senso di disegno lucidamente e scientificamente preordinato. Eppure indicano qualcosa che travalica il semplice malessere esistenziale o sociale o l’incacrenirsi dell’odio nutrito per gli uomini in divisa chiamati a tutelare l’incolumità dei probi cittadini; quelle sassate, quei cortei, quelle lingue di fuoco, quelle macchine arse, e le aggressioni e gli scontri e le devastazioni non sono state altro che una pura restituzione di favori, una presa di coscienza di quanto menzognera, malata, putrida sia la democrazia.
Per un intero pomeriggio si sono susseguiti tentativi di innalzare cortine fumogene sulla vera dinamica dell’accaduto, si è spalato letame sulla memoria della vittima, si sono messe in circolo farneticazioni di varia gravità, si sono imbastiti processi sommari, e tutto ciò non ad opera di qualche funzionario reazionario ma proprio di tutto il gotha della nostra bella democrazia. Politici, poliziotti, giornalisti, tutti a falsificare la dinamica, ad inventare, a chiedere repressione, a strumentalizzare, a buttare benzina sul fuoco.
E adesso queste stesse persone si lamentano, o fanno finta di lamentarsi (dato che sanno benissimo come capitalizzarli quegli scontri, tra disegni di legge urgentissimi e repressione già pronta), criminalizzano gli innocenti e assolvono i colpevoli.
Fantastico, davvero.
E potremmo pure dire che il livello di strumentalizzazione viene comunque dopo il fanatismo e l’aderenza al canone democratico; perché la cosa più pericolosa ed assurda è che questi giacobini credono davvero che la democrazia sia un valore. Lo hanno ripetuto per così tanto tempo da aver finito per crederci sul serio.
E’ proprio in momenti come questi che assume un significato sinistro quanto diceva Heidegger, “e tuttavia, proprio quando è sotto questa minaccia l'uomo si veste orgogliosamente della figura di signore della terra. Così si viene diffondendo l'apparenza che tutto ciò che si incontra sussista solo in quanto è un prodotto dell'uomo. Questa apparenza fa maturare un'ultima ingannevole illusione. E' l'illusione per la quale sembra che l'uomo, dovunque, non incontri più altri che sé stesso”. Il democratico, nella sua illusione totalitaria, non riconosce dignità ontologica ad altri che al suo simile.
Non è un caso mi sembra che il Presidente della Repubblica, in visita in un Paese estero in cui la democrazia è concetto considerato al pari della carta igienica, non abbia perso tempo a precisare che l’Italia non è quella delle fiamme e degli assalti alle stazioni di polizia, desideroso di rassicurare tutti sulla tenuta strutturale del Sistema e della appetibilità promozionale e pubblicitaria dell’Italia. La vittima, giustiziata da un servitore di quel Sistema che secondo le parole del Presidente è meraviglioso, scompare, diventa un punto indistinguibile nell’effluvio di retorica patriottarda e democratica.
Ecco, ditemi ora partendo da quale presupposto si potrebbero condannare gli istinti che nella notte dell’omicidio hanno spinto centinaia di persone a guardare in faccia questo splendore chiamato democrazia e a sputargli in faccia il significato profondo del disprezzo. Pronte queste persone incappuciate a rendere indietro il fiele fatto ingoiare fino a quel momento, le delazioni, le infamie, le mezze verità, i misteri, gli insabbiamenti, i proiettili magici, la bassa sociologia di giornalisti e la protervia moralistica di politicanti che forse farebbero meglio prima di parlare di morale a far sparire la cocaina e le prostitute con cui spesso si intrattengono nella loro difficile solitudine romana.
Io non li condanno quei giovani.
Non prendo le distanze.
Se devo provare della rabbia e del disgusto, ebbene ho ben altre priorità su cui scaricare entrambi. I volti sono ben noti perché li vediamo untuosi e gonfi troneggiare sulle pagine dei quotidiani, sugli schermi televisivi.
La croce da portare sul Golgotha del superamento della democrazia schiaccia molto spesso chi si offre di incamminarsi. La salita verso il monte è ardua e dura, proprio come le sassate scagliate in un impeto disperato di ribellione e di odio; immotivate se valutate alla fredda luce dell’analisi ideologica, ma meritate da un Sistema che da tempo si crogiola nella sua riproduzione all’infinito come elemento cardine della sua politica.
Quelle barricate, quelle battaglie metropolitane, non sono state il vagito di una Rivoluzione, di una insurrezione, di qualcosa di organico e pianificato, ma sono state testimonianze sincere e crudamente realistiche del fatto che non tutti vogliono continuare a subire l’orrore del livellamento democratico. Non ci tengo a proporre visioni che vadano aldilà del contingente, e per questo parlo di sensazioni, di emozioni, di sentimenti, di un dolore abbacinante e assassino che dalla traiettoria questa volta davvero magica di un omicidio fatto passare per “tragico incidente” si trasla alla battaglia con le spalle al muro. La battaglia senza promessa di redenzione, lo scontro assoluto contro se stessi, la barricata posta come confine sul baratro dell’Assoluto.
Una montagna cupa e dalla roccia carica di presagi ci attende, ci attende quel simbolo luminescente unica forma di ricompensa per chi dopo mille pericoli, incidenti, sconfitte, ritirate e poi subito dopo nuovi assalti sia riuscito a raggiungere la vetta.Nulla da guadagnare in termini strettamente materiali per chi inizia la scalata, per quello i politicanti ed i giornalisti non possono che considerare dei poveri dementi questi ragazzi che combattono e rischiano. Non comprendono il motivo razionale per cui si dovrebbe dare una simile dimostrazione.
Percepiscono una epidermica avversione al presente stato di cose, ma oltre non vanno. Avvinti solo dai loro festini e dalle loro inutili riunioni e dal controllo burocratico e dalla produzione di spettacoli con cui ammansire la plebe.
Eppure c’è ancora una forza che sovrasta questi grigi burocrati dell’uguaglianza totalitaria, questi vaniloqui verbali da rivista di gossip, questa devastazione etica e questo abbrutimento del Singolo, una forza che riluce assoluta e fiammeggiante come il cielo nell’Altare di Tetschen, dipinto da Caspar David Friedrich.
“Ai due lati prende la forma di colonne gotiche. Rami di palma si innalzano da queste...tra i rami le teste di cinque angeli, tutti in adorazione della croce. Sopra…splende la stella della sera…sotto l’occhio di Dio che tutto vede”.
Un giorno l’Uomo risorgerà dalle sue ceneri e sovrasterà ridendo le rovine, certo di essersi risvegliato da un brutto sogno durato troppo a lungo.
Una montagna cupa e dalla roccia carica di presagi ci attende, ci attende quel simbolo luminescente unica forma di ricompensa per chi dopo mille pericoli, incidenti, sconfitte, ritirate e poi subito dopo nuovi assalti sia riuscito a raggiungere la vetta.Nulla da guadagnare in termini strettamente materiali per chi inizia la scalata, per quello i politicanti ed i giornalisti non possono che considerare dei poveri dementi questi ragazzi che combattono e rischiano. Non comprendono il motivo razionale per cui si dovrebbe dare una simile dimostrazione.
Percepiscono una epidermica avversione al presente stato di cose, ma oltre non vanno. Avvinti solo dai loro festini e dalle loro inutili riunioni e dal controllo burocratico e dalla produzione di spettacoli con cui ammansire la plebe.
Eppure c’è ancora una forza che sovrasta questi grigi burocrati dell’uguaglianza totalitaria, questi vaniloqui verbali da rivista di gossip, questa devastazione etica e questo abbrutimento del Singolo, una forza che riluce assoluta e fiammeggiante come il cielo nell’Altare di Tetschen, dipinto da Caspar David Friedrich.
“Ai due lati prende la forma di colonne gotiche. Rami di palma si innalzano da queste...tra i rami le teste di cinque angeli, tutti in adorazione della croce. Sopra…splende la stella della sera…sotto l’occhio di Dio che tutto vede”.
Un giorno l’Uomo risorgerà dalle sue ceneri e sovrasterà ridendo le rovine, certo di essersi risvegliato da un brutto sogno durato troppo a lungo.
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