Si muore come si e’ vissuto. Soli.
Non basta il simulacro di socializzazione definito amore, ne’ le schiere di amici festanti o i colleghi, le cene di lavoro, le anteprime teatrali, i convegni, le presentazioni di libri, le schermaglie intellettuali, perche’ ad un certo punto della nostra esistenza, mentre le prime ombre della sera scendono sulle strade piu’ o meno affollate, piu’ o meno percorse da volti felici e spensierati, si sente emergere una disperazione cosi’ cupa e nera da far ridere in faccia alla notte che a breve ingoiera’ la triste fisionomia metropolitana.
Lo scintillio lugubre dei neon prende a fondersi con il vagabondare tra le pompe di benzina, le piazzole di sosta ed i cespugli aperti a ventaglio lungo lo sciabordio del Laghetto dell’Eur, Piazza dei Cinquecento, la Piramide Cestia, volti sordidi e reificati di giovani che un eufemismo gentile ci porta a definire “ ragazzi di vita “, e proprio chi quell’eufemismo ha coniato adesso gironzola, le mani rinserrate nel cappotto, tra i saliscendi delle scale, tra le gotiche penombre della Stazione Termini.
Non cerca sesso.
Non cerca sentimento. Le promesse inutili di una fedeltà che solo il denaro puo’ acquistare.
Cerca quel dolore.
Quelle mani.
Quel volto.
Dopo che i calici sono stati posati sul tavolo, mezzi pieni, le risate eclissate convenientemente tra le chiacchiere mondane e lo sparlare da salotto, si e’ scusato, perche’ sentiva un’urgenza viscerale e potente venirgli fuori dal petto, scusato e allontanato dalla tavola, lavate le mani come in una ultima cena laica, poi ha preso l’impermeabile, inforcato gli occhiali scuri che porta anche nel ventre della notte e si e’ dileguato oltre la porta dell’appartamento. Il battito accelerato. La fronte imperlata di sudore, un po’ l’eccitazione, l’anticipazione di sapere, a livello mentale ed emotivo, che avrebbe ben presto passato in rassegna le schiere di ragazzini di vita, la confusione, il non sapere cosa volere e perché cercare qualcosa che non si sa se davvero lo si vuole.
Scende le scale. Triste e contento al tempo stesso. Perche’ tutti quelli che si e’ lasciato dietro, con le loro storie confortevoli e antropologicamente rassicuranti che li tengono lontani dalla sofferenza che lui impone a se stesso, ma che allo stesso tempo li privano del piacere della caccia, delle scorribande notturne, il gusto amaro del pericolo e del mercanteggiare e dello sperma, non possono capire. E devono definirlo ricorrendo a disastrati sociologismi d’accatto.
Lui non compra esistenze.
Compra altre solitudini.
Ragazzi alla deriva, cui il destino non ha riservato altra scelta se non il vendersi. Patetici. Isolati. Condannati. Ma utili. Terribilmente utili.
Lui e’ solo.
Lo e’ sempre stato.
Condannato. Ostracizzato. Ghettizzato. Linciato. Fatto a pezzi. Le sue ossa macinate in una sarabanda di meschinita’ tipicamente italica. E persino nel candore virginale degli amici vede annidarsi il germe di una becera, automatica compassione, e lui non vuole essere compatito; l’appetito elementare di una vita forte non merita di essere piegato ed abbassato dalla ragione dei rapporti meccanici.
Prima che il gallo canti mi avrete rinnegato per ben tre volte, e’ sembrato esclamare silenziosamente mentre prendeva la strada della notte.
E’ quello che non capiscono.
Che non hanno mai capito. Gli esegeti della violenza politica, i poeti che poeticamente decostruiscono il senso ultimo della morte, gli intellettuali dalle uova di lompo ficcate agli angoli bavosi della bocca.
Non se ne cura.
Sa verso cosa sta andando. Lo ha gia’ scritto e descritto con una dovizia di particolari che, oggi, 32 anni dopo, ci lascia sbalorditi. In quel frammento poetico BESTIA CON STILE, contenuto in PETROLIO, in cui perdio gia’ si vede a marcire in una pozza di sangue, le mutande abbassate alle caviglie come neanche nella piu’ becera delle iconografie sulla violenza sessuale. Tutto attorno, notte e nebbia. E le marane borgatare, il ringhio sordo dei flutti marini che si schiantano contro gli scogli.Dove e’ morto non sono germogliati fiori ma solo stupidi monumenti.
E celebrazioni posticce buone per politicanti a corto di trovate propagandistiche.Ma l’omaggio piu’ vero, quello piu’ sincero e disarmante, glielo tributano le fisionomie affamate delle puttane, impettite nel loro orgoglio pornografico lungo i viali della Villa di Plinio e per tutte le strade di Ostia, quelle puttane che in questo giorno cosi’ grigio di un entrante Inverno scopero’ in onore di Pier Paolo Pasolini.
Non basta il simulacro di socializzazione definito amore, ne’ le schiere di amici festanti o i colleghi, le cene di lavoro, le anteprime teatrali, i convegni, le presentazioni di libri, le schermaglie intellettuali, perche’ ad un certo punto della nostra esistenza, mentre le prime ombre della sera scendono sulle strade piu’ o meno affollate, piu’ o meno percorse da volti felici e spensierati, si sente emergere una disperazione cosi’ cupa e nera da far ridere in faccia alla notte che a breve ingoiera’ la triste fisionomia metropolitana.
Lo scintillio lugubre dei neon prende a fondersi con il vagabondare tra le pompe di benzina, le piazzole di sosta ed i cespugli aperti a ventaglio lungo lo sciabordio del Laghetto dell’Eur, Piazza dei Cinquecento, la Piramide Cestia, volti sordidi e reificati di giovani che un eufemismo gentile ci porta a definire “ ragazzi di vita “, e proprio chi quell’eufemismo ha coniato adesso gironzola, le mani rinserrate nel cappotto, tra i saliscendi delle scale, tra le gotiche penombre della Stazione Termini.
Non cerca sesso.
Non cerca sentimento. Le promesse inutili di una fedeltà che solo il denaro puo’ acquistare.
Cerca quel dolore.
Quelle mani.
Quel volto.
Dopo che i calici sono stati posati sul tavolo, mezzi pieni, le risate eclissate convenientemente tra le chiacchiere mondane e lo sparlare da salotto, si e’ scusato, perche’ sentiva un’urgenza viscerale e potente venirgli fuori dal petto, scusato e allontanato dalla tavola, lavate le mani come in una ultima cena laica, poi ha preso l’impermeabile, inforcato gli occhiali scuri che porta anche nel ventre della notte e si e’ dileguato oltre la porta dell’appartamento. Il battito accelerato. La fronte imperlata di sudore, un po’ l’eccitazione, l’anticipazione di sapere, a livello mentale ed emotivo, che avrebbe ben presto passato in rassegna le schiere di ragazzini di vita, la confusione, il non sapere cosa volere e perché cercare qualcosa che non si sa se davvero lo si vuole.
Scende le scale. Triste e contento al tempo stesso. Perche’ tutti quelli che si e’ lasciato dietro, con le loro storie confortevoli e antropologicamente rassicuranti che li tengono lontani dalla sofferenza che lui impone a se stesso, ma che allo stesso tempo li privano del piacere della caccia, delle scorribande notturne, il gusto amaro del pericolo e del mercanteggiare e dello sperma, non possono capire. E devono definirlo ricorrendo a disastrati sociologismi d’accatto.
Lui non compra esistenze.
Compra altre solitudini.
Ragazzi alla deriva, cui il destino non ha riservato altra scelta se non il vendersi. Patetici. Isolati. Condannati. Ma utili. Terribilmente utili.
Lui e’ solo.
Lo e’ sempre stato.
Condannato. Ostracizzato. Ghettizzato. Linciato. Fatto a pezzi. Le sue ossa macinate in una sarabanda di meschinita’ tipicamente italica. E persino nel candore virginale degli amici vede annidarsi il germe di una becera, automatica compassione, e lui non vuole essere compatito; l’appetito elementare di una vita forte non merita di essere piegato ed abbassato dalla ragione dei rapporti meccanici.
Prima che il gallo canti mi avrete rinnegato per ben tre volte, e’ sembrato esclamare silenziosamente mentre prendeva la strada della notte.
E’ quello che non capiscono.
Che non hanno mai capito. Gli esegeti della violenza politica, i poeti che poeticamente decostruiscono il senso ultimo della morte, gli intellettuali dalle uova di lompo ficcate agli angoli bavosi della bocca.
Non se ne cura.
Sa verso cosa sta andando. Lo ha gia’ scritto e descritto con una dovizia di particolari che, oggi, 32 anni dopo, ci lascia sbalorditi. In quel frammento poetico BESTIA CON STILE, contenuto in PETROLIO, in cui perdio gia’ si vede a marcire in una pozza di sangue, le mutande abbassate alle caviglie come neanche nella piu’ becera delle iconografie sulla violenza sessuale. Tutto attorno, notte e nebbia. E le marane borgatare, il ringhio sordo dei flutti marini che si schiantano contro gli scogli.Dove e’ morto non sono germogliati fiori ma solo stupidi monumenti.
E celebrazioni posticce buone per politicanti a corto di trovate propagandistiche.Ma l’omaggio piu’ vero, quello piu’ sincero e disarmante, glielo tributano le fisionomie affamate delle puttane, impettite nel loro orgoglio pornografico lungo i viali della Villa di Plinio e per tutte le strade di Ostia, quelle puttane che in questo giorno cosi’ grigio di un entrante Inverno scopero’ in onore di Pier Paolo Pasolini.
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