A volte l'inferno ha nomi esotici.
Dekalb è una cittadina a cento chilometri a nord di Chicago, borgo sonnolento prediletto da studenti del North West. A giudicare dal suo nome e dalla sua morfologia diresti che è destinata a non entrare mai nella cronaca nera.
Come una cattedrale di cristallo stagliata contro la linea d’orizzonte e flagellata senza sosta da raffiche di vento, la Northern Illinois University di Dekalb assiste all’evoluzione dell’ennesimo corso di studi, quietamente adagiata nella sua pace dei sensi; giornata di ordinaria routine, via-vai di studenti per i corridoi, burocrazia, veloci saluti sulla scalinata d’ingresso, le aule accaldate e gremite di studenti vocianti, qualche scherzo, ore di laboratorio a trafficare con embrioni di topo e cadaveri di rane.
Il primo colpo si abbatte come una meravigliosa sorpresa. Lo scoppio sordo tradisce l’umana frustrazione, e la sublimazione di una volontà di potenza lasciata a marcire sotto il pesante pastrano; l’orrore ancora deve arrivare, fermo in seconda fila tra qualche decina di Cabrini-greens, il traffico cittadino impazzito e nuvole di fiato condensate in volute concentriche troppo prese dall’ascendere al cielo per accorgersi di quel ragazzo che ha iniziato a macellare i suoi ex compagni di corso.
La bassa sociologia non appartiene a chi dispensa la morte; solo dopo, solo quando i corridoi gelano nel silenzio, tra rare ed isolate richieste di aiuto e di misericordia, il rantolo degli agonizzanti e le strazianti lacrime dei sopravvissuti a far da ideale cornice, come pure la montante ondata di sirene di ambulanze e polizia, puoi veder emergere nei notiziari dei tentativi di comprensione. I giornalisti non vogliono davvero sapere o far sapere cosa sia successo; molto più prosaicamente ardono dal desiderio di decostruire la carnografia, la sala piena di studenti trasformata in surrogato di poligono, le urla, le recriminazioni, la pietà chiesta e non accordata.
Bullismo. Frustrazioni sociali o esistenziali. Nulla importa più quando i colpi prendono a disegnare traiettorie di morte in quel silenzio accademico, quando aprono gigli di sangue sulle carni di ragazze e di ragazzi, la neve fuori continua a fioccare mentre dentro è il piombo a scendere copioso. Sinistre visioni di un inferno medievale, tavole di un Dorè educato da Commando e da altre tonnellate di action-movies, oh si che splendore di decomposizione cerebrale in quegli istanti di rapida fuga, di occhiate impaurite, quando gli occhi si velano di pianto e si tenta, con l’istinto di autoconservazione elevato all’ennesimo grado, di farsi scudo con il cadavere crivellato del proprio migliore amico o della propria ragazza.
Due pistole ed un fucile, con scientifica metodologia il carnefice comparso dal gelo prende la mira, spara, continua a prendere la mira, seleziona le vittime, uccide, ferisce, solo se ne ha davvero bisogno ricarica; il panico degli altri è la sua più vera corazza, perché nessuno pensa di andargli incontro e di fermarlo, nemmeno quando lui si ferma pensieroso e soddisfatto a ricaricare. Non esistono più eroi, non ci sono i futuri Obama o i marines che se ne andranno in Irak per insegnare un po’ di civiltà, le magliette di Nelson Mandela o di Al Gore i pensieri di solidarietà universale e di aiuto globale finiscono scaricati dritti nel cesso, ed ogni colpo, ogni pallottola, diventa la cartina di tornasole dell’ipocrisia.
Nessuno aiuta nessuno.
Tutti calpestano tutti.
Ogni vincolo affettivo, di autorità, di amicizia è distrutto e fatto a pezzi; professori e assistenti vengono travolti dall’orda impazzita di studenti, ragazze vengono gettate a terra e usate come tappetini, si bada solo a guadagnare nel più rapido tempo possibile l’uscita, una qualunque uscita che adesso sembra irreale e distante come un’oasi nel deserto di ghiaccio.
Difficilmente sapremo se l’assassino ha scelto la data simbolo di San Valentino per mettere in atto i suoi proposito di sfoltimento del genere umano, ed in fondo importa poco; importa solo a qualche obeso presentatore tv che grazie a lui avrà risolto i problemi di palinsesto per le prossime quattro settimane. Sfortunatamente per i giornalisti, la cronaca nera non è come il vino e con l’andare del tempo perde di valore. La gente vuole storie nuove, morti fresche e dolorose interviste direttamente dal campo di battaglia, un po’ come la miriade di nuove starlette che si affacciano nel mondo del porno, destinate ad effimera vita di crisalide spermatica.
San Valentino è una giornata del cazzo. Lo aveva capito per primo Al Capone, e solo lui oggettivamente riuscì nella titanica impresa di renderla più interessante del solito, con quel rendez-vous di corpi crivellati e morbido abbraccio di sangue e piombo che ancora oggi incute un certo rispetto. Coppie cinguettanti di amore, tubanti come nella più disgustosa delle raffigurazioni plastiche da spot tv, rituali di ipocrisia consumati sotto l’occhio vigile del killer.
Mettiamola così; esistono buone possibilità che quegli stessi innamorati che si erano in mattinata scambiati languide effusioni e promesse di amore eterno, si siano poi liquefatti e calpestati a vicenda sotto la spinta propulsiva dell’acciaio a canne mozze. Curioso destino quello di chi si umetta le labbra gorgogliano nemmeno fosse un mantra il termine amore, reiterandolo nel tentativo di autoconvinzione, per poi vedersi ogni singola parola ficcata in gola a viva forza da un pazzoide emerso letteralmente dal nulla.
Mi piace pensare che da qualche parte in questo nostro povero mondo del cazzo un emulo di Al Gore o di Bono Vox stesse pontificando con tono vaticinante della necessità di aiutare economicamente il Terzo Mondo o di combattere il surriscaldamento atmosferico, che fosse intento come un Testimone di Geova dell’impegno sociale a convincere platee oceaniche di quanto gretto ed insensibile sia il mondo occidentale, e mentre il demente troneggia sull’auditorium e parla parla parla demagogico come pochi ecco che a milioni di chilometri di distanza un rispettabile killer entra in azione e sventra la cappa di ipocrisia.
Che la pace sia con voi. Bang, bang, bang. Catena di montaggio della morte post-industriale, un colpo un morto o un colpo un ferito; ormai la potenza delle moderne armi da fuoco rende cecchino specializzato persino un qualche tordo miope bullizzato fino al giorno prima. E spara, colpisce, uccide, punta, mira, tace in rispettoso silenzio di modo che unica colonna sonora siano i singhiozzi, gli scoppi sordi, le grida di panico e aiuto.
Dove è adesso la carità invocata da Bono Vox per i popoli africani?
Dove sono i concerti Live Aid e il loro disgustoso e zuccheroso carrozzone di buoni sentimenti?
Dove è il grigio travet ex vicepresidente USA Al Gore, riciclato paladino della causa ambientalista?
Si staranno interrogando su queste crudeli notizie, certi che sia il ventre molle e pingue, troppo pasciuto, della società occidentale il mandante della strage; e mentre loro perdono tempo a pensare, o a farsi dire cosa pensare da ben pagati ghost-writers, il nostro eroe del giorno continua la sua opera incessante di pulizia metropolitana
Le mura dell’aula sono tinte di rosso e sforacchiate, come un arazzo di Bayeux fuori tempo massimo. A terra giacciono corpi mutilati dalla furia omicida, bocche ansimano cercando di inalare l’ultimo soffio di aria, i feriti si trascinano faticosamente sulle braccia, lasciandosi dietro una ingloriosa scia di lumaca, campioni di atletica e di football, persone coi fisici asciutti, orgoglio del campus e delle ragazze che possono assaggiarli, adesso piagnucolano invocando il nome della madre e nascondendosi dietro le cataste di cadaveri.
La fuga è il momento della verità; non conta l’allenamento, la forza, la sagacia, conta solo il sangue freddo, glaciale, che riesce a farti capire e prevedere le mosse dell’assassino. L’umanista, l’intellettuale che coltiva illusioni di amore fraterno, rimarrà cristallizzato al suo posto e guarderà fisso il killer, incapacitato a capire per quale motivo un essere umano stia mettendo in atto quello scellerato piano; vorrebbe davvero sapere, capire, chiedere, parlare all’assassino e dirgli di riflettere, ma fortunatamente per noi spettatori le sue ecumeniche stronzate vengono spazzate via da un proiettile calibro 22 che gli conficca nel cranio.
Buon San Valentino, teste di cazzo.
Solo quando il killer si reputa soddisfatto, mentre fuori ruggiscono le pattuglie della polizia, le ambulanze affollano il piazzale di ingresso del Campus, genitori affranti e giornalisti in erezione perenne si danno il cambio nel turbinio dei sentimenti, l’assassino percepisce nitidamente di aver esaurito la sua funzione, rivolge un silenzioso grazie alla NRA e rivolge la canna del fucile contro di sé.
Un ultimo colpo.
E quando lo sentono, echeggiato dalle aule ormai deserte, poliziotti, paramedici, giornalisti, genitori, curiosi, studenti scampati alla strage, rimangono impietriti. Muoiono i rumori.
Dentro, il caldo confortante della morte.
Fuori, solo ghiaccio e silenzio.
Il primo colpo si abbatte come una meravigliosa sorpresa. Lo scoppio sordo tradisce l’umana frustrazione, e la sublimazione di una volontà di potenza lasciata a marcire sotto il pesante pastrano; l’orrore ancora deve arrivare, fermo in seconda fila tra qualche decina di Cabrini-greens, il traffico cittadino impazzito e nuvole di fiato condensate in volute concentriche troppo prese dall’ascendere al cielo per accorgersi di quel ragazzo che ha iniziato a macellare i suoi ex compagni di corso.
La bassa sociologia non appartiene a chi dispensa la morte; solo dopo, solo quando i corridoi gelano nel silenzio, tra rare ed isolate richieste di aiuto e di misericordia, il rantolo degli agonizzanti e le strazianti lacrime dei sopravvissuti a far da ideale cornice, come pure la montante ondata di sirene di ambulanze e polizia, puoi veder emergere nei notiziari dei tentativi di comprensione. I giornalisti non vogliono davvero sapere o far sapere cosa sia successo; molto più prosaicamente ardono dal desiderio di decostruire la carnografia, la sala piena di studenti trasformata in surrogato di poligono, le urla, le recriminazioni, la pietà chiesta e non accordata.
Bullismo. Frustrazioni sociali o esistenziali. Nulla importa più quando i colpi prendono a disegnare traiettorie di morte in quel silenzio accademico, quando aprono gigli di sangue sulle carni di ragazze e di ragazzi, la neve fuori continua a fioccare mentre dentro è il piombo a scendere copioso. Sinistre visioni di un inferno medievale, tavole di un Dorè educato da Commando e da altre tonnellate di action-movies, oh si che splendore di decomposizione cerebrale in quegli istanti di rapida fuga, di occhiate impaurite, quando gli occhi si velano di pianto e si tenta, con l’istinto di autoconservazione elevato all’ennesimo grado, di farsi scudo con il cadavere crivellato del proprio migliore amico o della propria ragazza.
Due pistole ed un fucile, con scientifica metodologia il carnefice comparso dal gelo prende la mira, spara, continua a prendere la mira, seleziona le vittime, uccide, ferisce, solo se ne ha davvero bisogno ricarica; il panico degli altri è la sua più vera corazza, perché nessuno pensa di andargli incontro e di fermarlo, nemmeno quando lui si ferma pensieroso e soddisfatto a ricaricare. Non esistono più eroi, non ci sono i futuri Obama o i marines che se ne andranno in Irak per insegnare un po’ di civiltà, le magliette di Nelson Mandela o di Al Gore i pensieri di solidarietà universale e di aiuto globale finiscono scaricati dritti nel cesso, ed ogni colpo, ogni pallottola, diventa la cartina di tornasole dell’ipocrisia.
Nessuno aiuta nessuno.
Tutti calpestano tutti.
Ogni vincolo affettivo, di autorità, di amicizia è distrutto e fatto a pezzi; professori e assistenti vengono travolti dall’orda impazzita di studenti, ragazze vengono gettate a terra e usate come tappetini, si bada solo a guadagnare nel più rapido tempo possibile l’uscita, una qualunque uscita che adesso sembra irreale e distante come un’oasi nel deserto di ghiaccio.
Difficilmente sapremo se l’assassino ha scelto la data simbolo di San Valentino per mettere in atto i suoi proposito di sfoltimento del genere umano, ed in fondo importa poco; importa solo a qualche obeso presentatore tv che grazie a lui avrà risolto i problemi di palinsesto per le prossime quattro settimane. Sfortunatamente per i giornalisti, la cronaca nera non è come il vino e con l’andare del tempo perde di valore. La gente vuole storie nuove, morti fresche e dolorose interviste direttamente dal campo di battaglia, un po’ come la miriade di nuove starlette che si affacciano nel mondo del porno, destinate ad effimera vita di crisalide spermatica.
San Valentino è una giornata del cazzo. Lo aveva capito per primo Al Capone, e solo lui oggettivamente riuscì nella titanica impresa di renderla più interessante del solito, con quel rendez-vous di corpi crivellati e morbido abbraccio di sangue e piombo che ancora oggi incute un certo rispetto. Coppie cinguettanti di amore, tubanti come nella più disgustosa delle raffigurazioni plastiche da spot tv, rituali di ipocrisia consumati sotto l’occhio vigile del killer.
Mettiamola così; esistono buone possibilità che quegli stessi innamorati che si erano in mattinata scambiati languide effusioni e promesse di amore eterno, si siano poi liquefatti e calpestati a vicenda sotto la spinta propulsiva dell’acciaio a canne mozze. Curioso destino quello di chi si umetta le labbra gorgogliano nemmeno fosse un mantra il termine amore, reiterandolo nel tentativo di autoconvinzione, per poi vedersi ogni singola parola ficcata in gola a viva forza da un pazzoide emerso letteralmente dal nulla.
Mi piace pensare che da qualche parte in questo nostro povero mondo del cazzo un emulo di Al Gore o di Bono Vox stesse pontificando con tono vaticinante della necessità di aiutare economicamente il Terzo Mondo o di combattere il surriscaldamento atmosferico, che fosse intento come un Testimone di Geova dell’impegno sociale a convincere platee oceaniche di quanto gretto ed insensibile sia il mondo occidentale, e mentre il demente troneggia sull’auditorium e parla parla parla demagogico come pochi ecco che a milioni di chilometri di distanza un rispettabile killer entra in azione e sventra la cappa di ipocrisia.
Che la pace sia con voi. Bang, bang, bang. Catena di montaggio della morte post-industriale, un colpo un morto o un colpo un ferito; ormai la potenza delle moderne armi da fuoco rende cecchino specializzato persino un qualche tordo miope bullizzato fino al giorno prima. E spara, colpisce, uccide, punta, mira, tace in rispettoso silenzio di modo che unica colonna sonora siano i singhiozzi, gli scoppi sordi, le grida di panico e aiuto.
Dove è adesso la carità invocata da Bono Vox per i popoli africani?
Dove sono i concerti Live Aid e il loro disgustoso e zuccheroso carrozzone di buoni sentimenti?
Dove è il grigio travet ex vicepresidente USA Al Gore, riciclato paladino della causa ambientalista?
Si staranno interrogando su queste crudeli notizie, certi che sia il ventre molle e pingue, troppo pasciuto, della società occidentale il mandante della strage; e mentre loro perdono tempo a pensare, o a farsi dire cosa pensare da ben pagati ghost-writers, il nostro eroe del giorno continua la sua opera incessante di pulizia metropolitana
Le mura dell’aula sono tinte di rosso e sforacchiate, come un arazzo di Bayeux fuori tempo massimo. A terra giacciono corpi mutilati dalla furia omicida, bocche ansimano cercando di inalare l’ultimo soffio di aria, i feriti si trascinano faticosamente sulle braccia, lasciandosi dietro una ingloriosa scia di lumaca, campioni di atletica e di football, persone coi fisici asciutti, orgoglio del campus e delle ragazze che possono assaggiarli, adesso piagnucolano invocando il nome della madre e nascondendosi dietro le cataste di cadaveri.
La fuga è il momento della verità; non conta l’allenamento, la forza, la sagacia, conta solo il sangue freddo, glaciale, che riesce a farti capire e prevedere le mosse dell’assassino. L’umanista, l’intellettuale che coltiva illusioni di amore fraterno, rimarrà cristallizzato al suo posto e guarderà fisso il killer, incapacitato a capire per quale motivo un essere umano stia mettendo in atto quello scellerato piano; vorrebbe davvero sapere, capire, chiedere, parlare all’assassino e dirgli di riflettere, ma fortunatamente per noi spettatori le sue ecumeniche stronzate vengono spazzate via da un proiettile calibro 22 che gli conficca nel cranio.
Buon San Valentino, teste di cazzo.
Solo quando il killer si reputa soddisfatto, mentre fuori ruggiscono le pattuglie della polizia, le ambulanze affollano il piazzale di ingresso del Campus, genitori affranti e giornalisti in erezione perenne si danno il cambio nel turbinio dei sentimenti, l’assassino percepisce nitidamente di aver esaurito la sua funzione, rivolge un silenzioso grazie alla NRA e rivolge la canna del fucile contro di sé.
Un ultimo colpo.
E quando lo sentono, echeggiato dalle aule ormai deserte, poliziotti, paramedici, giornalisti, genitori, curiosi, studenti scampati alla strage, rimangono impietriti. Muoiono i rumori.
Dentro, il caldo confortante della morte.
Fuori, solo ghiaccio e silenzio.
3 commenti:
tempestivo,non c'è che dire.
Eppure leggendo i tuoi scritti una domanda non può che venire alla mente:se l'ideale di un essere umano compiuto e realizzato si compie nella figura del libertino Sadiano,modello estetico-letterario che trova la sua manifestazione storica e sociale nei vari serial killer,torturatorie,stupratori,ciò non rappresenta per te un paradosso?
Elogiando l'assoluto appagamento del piacere quale consumo pornografico del dolore altrui,non trovi frustrante il non dare sfogo reale a tali pulsioni?
Se a rendere Kurten un genio era la sua lucida volontà di dominio,esercitata fino alle estreme conseguenze,la sublimazione letteraria e giornalistica a cui ti dedichi da molto tempo,non potrebbe essere letta come una forma di fuga da quello stesso ideale umano che promuovi ed esalti?
La mia curiosità autentica.
G
curiosità estremamente legittima, e che nasce fisiologicamente visto che bene o male mi dedico da tanto tempo a rispondere a questa domanda (formulata ovviamente sempre da persone diverse) :)
Senza voler scendere nei meandri della mia psiche (cosa che farebbe ridere, d'altronde chi sono io per autoanalizzarmi?) direi che il percorso di sublimazione che attuo da solo compilando queste liste di depravazione o di violenza, giustapponendo elementi di cronaca nera e mie fantasie o vita personale, è qualcosa che prescinde totalmente dalla volontà di realizzare; sono impulsi diversi, chi realizza spesso (Kurten è una eccellente eccezione) non capisce cosa sta facendo e perchè lo sta facendo, mentre da fuori si può, magari parassitariamente, vivere attraverso le esperienze altrui. Ma alla fine stiamo parlando di realizzazioni personali che passano attraverso i tortuosi percorsi del piacere, e l'infliggere dolore come esercizio sadico ad esempio mi interessa in modo limitato (e te lo dico da praticante di SM), mentre ricevo una gratificazione maggiore, e qualitativamente più appagante, proprio attraverso il processo di scrittura.
Il perchè non esiste, o magari esiste ma se ne sta tra le ombre, direi che ad un certo punto si tratta di un percorso che un anglosassone definirebbe..a matter of fact.
Ad ogni modo questi ultimi scritti sono molto diversi da quello che scrivevo prima, e per un motivo preciso; il serial killer e le sue gesta posso sublimarlo e usarlo per i fini letterari e meta-sessuali, l'assassino di massa invece ha sovrastrutture metapolitiche e assolutamente non sessuali.
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