Si racconta la storia del rapimento attraverso l'uso di intercettazioni, verbali ed atti che sarebbero ancora coperti dal segreto istruttorio. La pubblicazione del libro era già stata criticata, al momento dell'uscita nel 2007, da Laura Ferraboschi, avvocato di Mario Alessi, indagato insieme a Salvatore Raimondi e Antonella Conserva per il fatto. Il legale aveva presentato un esposto alla procura di Parma che aveva poi girato gli atti ad Ancona.
mercoledì 27 febbraio 2008
Il Baratro
Si racconta la storia del rapimento attraverso l'uso di intercettazioni, verbali ed atti che sarebbero ancora coperti dal segreto istruttorio. La pubblicazione del libro era già stata criticata, al momento dell'uscita nel 2007, da Laura Ferraboschi, avvocato di Mario Alessi, indagato insieme a Salvatore Raimondi e Antonella Conserva per il fatto. Il legale aveva presentato un esposto alla procura di Parma che aveva poi girato gli atti ad Ancona.
martedì 26 febbraio 2008
Nana's Devotion; Saturno Buttò
Si iscrive nel 1971 al liceo artistico di Venezia e successivamente all'Accademia di Belle Arti, diplomandosi al corso di pittura nel 1980. Se si eccettua il decennio legato agli studi, Saturno non lascia mai Bibione, cittadina veneta sul mare, dove vive e lavora.
L'artista sostiene sempre con convinzione l'importanza avuta dall'esperienza veneziana per la sua formazione; il liceo lo inizia al disegno classico ed evidenzia quella che è sempre stata una sua vocazione: la figura. E' un periodo questo di continuo lavoro a matita su carta, in cui non esistono variazioni al rigore monocromatico dei disegni, eccetto una timida comparsa (nell'ultimo anno di liceo) di velature ad acquerello, preludio forse al clima più vivace dell'accademia a cui Saturno approda dopo la maturità artistica nel 1976.
Paradossalmente è proprio l'atmosfera di totale libertà d'espressione che lo convince ad abbandonare, anche se temporaneamente, matite e pennelli a favore di "nuove tecniche" come film, fotografia e varie esperienze legate alle correnti artistiche più in voga in quegli anni quali Body Art e Conceptual Art...
Non cambia però l'interesse per l'elemento umano, che se al liceo viene vissuto in chiave prevalentemente oggettivo anatomico, con l'accademia la ricerca si sposta sul soggetto, sul carattere e le sue implicazioni psicologiche. La "fusione " delle due esperienze determina a partire 1980 (anno dei ritorno a tecniche artistiche più tradizionali) la linea che caratterizzerà anche in seguito tutta l'arte di Saturno: una pittura di forte impatto realistico, basata sul disegno e improntata al tema dei ritratto.
Il successivo decennio si connota per una costante ricerca di perfezionamento della tecnica ad olio che viene interpretata con gusto dei tutto personale che lo condurrà allo stile unico delle tavole degli anni novanta.
Nel 1993 espone per la prima volta in pubblico e pubblica il catalogo monografico "Ritratti da Saturno 1989-1992".
Che cosa prova in questo momento ?
giovedì 21 febbraio 2008
Una insostenibile aura di mortalità neon
La morfologia dei sensi non appaga la voglia di sesso. Ti dici; una volta ancora e poi basta, sarà sufficiente questo ennesimo tentativo di calarsi nell'atmosfera fumosa della strada e poi si potrà dare inizio ad una vita più o meno rispettabile, qualunque cosa significhi rispettabilità. Vuoi un matrimonio in abito bianco, una promessa eterna d'amore, un lavoro con cartellino da timbrare tutte le mattine, dei figli cinguettanti e scorrazzanti per casa ? Cosa ti brucia dentro il petto, e non parlo dell'infarto che ti strapperà all'affetto dei tuoi cari facendo di te meraviglioso padre da lapide tombale, io parlo di bisogno fisiologico alchemicamente trasmutato alla luce, tra i bagliori, del neon rosso. I corpi, come anatomia di un desiderio divenuto deserto e irradiante sezioni geometricamente carnografiche dell'odio, odio come sentimento assoluto, metasessuale, cosciente e lucidamente preordinato alla conquista di ogni singolo metro di terreno, corpi ed odio si uniscono, danzano, brillano nel lucore delle aree depopolate dove chi odia vive e chi non odia perde il suo tempo; cemento, vetro, ferro, il serpente ritorto e contorto tra spire metalliche e post-graffitate, aule industriali da rave, volto spettrale dell'immigrazione sdilinquita nei noduli plastici della prostituzione da strada, non night club, non gang bang rispettabili da villa circonfusa nel verde da piano regolatore decentrato, ma soluzione alla Dachau, in cui il corpo è venduto contestualizzato esibito, assurge a paradigma di un sesso frignante e mercificato, in cui si prende ciò che si vuole solo se si è culturalmente preparati alla battaglia. Le tue risposte sono esaurite davanti l'ultimo boccale di birra, come fosse un algido ricordo da faccia riflessa tra la spuma ed il vociare dei clienti, mi domando da cosa origini questa sicurezza, dove esiste la certezza dell'amore e della compagnia, se mai esiste; perchè di illusioni ne abbiamo viste tante, viste e sentite, come una puntata del nuovo corso di Chi l'Ha Visto. Piace frignare al mondo moderno, come una società di mutuo soccorso che trasla l'amore sui conti correnti bancari e sulle firme d'apertura di credito la nuova famiglia, il nuovo vincolo di sentimenti decisivi, si fa sangue, poca carne, nessuna trasgressione; io rifletto spesso sulla disintegrazione, su quelle vite che naufragano e vanno alla deriva e nel rombo di un aereo o nello sferragliare di un treno si consumano nella notte, direttrici della fine del desiderio, morte delle illusioni, il peso insostenibile della realtà che confligge con l'esistenza, e con le sue urgenze. Le vite scompaiono anche prima della morte, è un dono l'invisibilità, una strada senza ritorno di lunga e dolorosa dignità; le immagini sono fotogrammi sgranati di corpi in vetrina, tra tette, neon, tacchi a spillo e droga, cielo stellato che si ritaglia uno spazio vitale tra i tetti bassi della capitale olandese, traffico a passeggio e puntolini di carne, Casa di Anna Frank, monumenti, case protestanti e puttane, sesso, erotismo, fiche, feticismo e sadismo, nel frullatore si consuma il cortocircuito dei sensi. Chi scompare, chi si allontana, anche se non sa cosa sta facendo, compie una scelta, un ultimo viaggio, e mette malinconia vederne i resti plastificati esibiti da genitori che provano dolore quando ormai è troppo tardi, i pianti, le recriminazioni, i consuntivi esistenziali che virano al rosso, e sentire di sogni e baci e carezze e tante facezie illuminate dalla telecamera, il viaggio della speranza, le domande alle ragazze in vetrina, la droga, il perchè della droga, come si finisce nel tunnel della droga. Mi piacciono i parallelismi metaforici dal sapore topografico, scorie architettoniche prestate alla sociologia facile facile; tunnel della droga, come un anfratto scuro che si stende carsico e malevolo nel ventre molle della città. E mi piace la parola "urgenza"; segnala una velocità, una accelerazione in termini di bisogno, una drammatica assuefazione. Ecco; non capisco perchè non hai fatto la sua stessa scelta, perchè non sei scomparso nella notte, invece di adagiarti su queste dimensioni che oggettivamente non ti rendono giustizia. Adesso ti stai solo giustificando. E non è bene.
mercoledì 20 febbraio 2008
Il Business dell'Orrore
I due coniugi G.C., 49 anni, e di G.L., di 39, raggiunti dall'ordinanza eseguita dalla Squadra Mobile, su ordine del gip del Tribunale di Enna, sono indagati per abbandono di persone minori o incapaci aggravato. Le ragazze non frequentavano le scuole ed erano lasciate libere di girare fino a sera per le vie cittadine senza controllarne in alcun modo i movimenti e le frequentazioni, e senza contribuire alle loro esigenze economiche, al punto da determinare le due minorenni, spiegano gli investigatori, a compiere atti sessuali a pagamento con adulti. Il terzo arrestato è un commerciante di 68 anni, incensurato, accusato di violenza sessuale continuata, consumata e tentata. L'uomo, secondo quanto accertato, pagava 10 euro per ogni rapporto e induceva le sorelle a compiere atti sessuali facendo leva sullo stato di indigenza della famiglia e abusando della loro inferiorità fisica e del loro evidente ritardo psichico. I tre destinatari della misura cautelare sono stati accompagnati presso le proprie abitazioni, a disposizione dell'autorità giudiziaria. Mentre personale dell'Ufficio minori della Divisione anticrimine della questura, ha proceduto al trasferimento delle ragazze presso una struttura di sostegno.
martedì 19 febbraio 2008
Bagliori da un Inferno verde - Druunatic
Feticismo, ossessione compulsiva, ricerca di un Graal di sangue, carne e sperma, immagini la fotografa dall’altra parte dell’obiettivo intenta a dirigere, esigere posizioni e sguardi, eccitata dall’idea di vampirizzare nella fotografia un frammento di vita altrui; la feticizzazione è una cristallizzazione organica del piacere, rendere la modella plastica innestata nella nostra anima, come un cannibale postmoderno nell’algido nitore formale del latex fetish.
Sappiamo tutti perfettamente che la scena sadomaso e fetish ormai è divenuta una risibile variante del carnevale, in cui esiste solo una preoccupazione; quella di assecondare il gusto altrui, di cedersi alle voglie voyeuristiche dei propri simili, ben lieti di condividere gusti e idiosincrasie e scelte di vita. Il tutto scade a moda.
Poche nobili eccezioni, pochi isolati casi ci fanno sperare per un domani migliore, un domani in cui l’artista sia libero di appagare le sue manie e le sue depravazioni quotidiane, i suoi capricci estetici e metasessuali, attraverso il fuoco della creazione; la perfezione della tecnica non è davvero importante, perché sono sempre stato genuinamente convinto che se qualcuno ha una storia interessante da raccontare è meglio che non si lambicchi in sperimentazioni e sofismi espressivi, lasciando da parte l’ampollosa avanguardia e le fumisterie concettuali e focalizzi i suoi sforzi sulla linearità del messaggio. E se a ciò aggiungiamo la sentita necessità di vivere in coerenza i propri piaceri, i casi statisticamente accertati diventano ancora meno.
In totale disaccordo con il sottoscritto, i soloni delle tipizzazioni fetish e SM si guarderebbero bene dal ritenere la fotografia di una Olivia Gay o di uno Stephen Shames fotografia fetish. Talmente avvinti dalle loro comode epifanie consumate nei dungeon-bordello, nello scintillare del latex e del pvc, tra schiocchi farlocchi di frustini, cera fusa ed espressioni di una body-art assai spesso fuori di contesto, questi epigoni della trasgressione in cuoio non comprendono che la soddisfazione del piacere è un imperativo di sublimazione del feticismo; l’ossessiva presenza dell’oggetto del desiderio nei nostri pensieri, nelle nostre opere, nei nostri discorsi, diviene feticismo nella sua più pura accezione.
E allo stesso tempo la povertà morfologica di strade americane, ghetti, slums, cemento grigio come il cielo morente, graffiti di fame e ragazzini malati, drogati, che vendono i loro corpi, ecco l’oggetto delle attenzioni di Shames e della sua carità, compulsione sparata ad alzo zero contro il vizioso sguardo dell’empatico voyeur.
O l’Araki che senza tecnica, senza sosta, senza tregua, col suo cavalletto in mano si insinua nel ventre di Tokyo per cristallizzare il tutto ed il nulla promanante dalla frenesia abitativa della capitale nipponica, polaroid seriali che come le vittime di Albert Fish giacciono adesso spiattellate tra le austere sale del Palazzo Fontana di Trevi, in una esibizione/confronto che ti costringe a guardare nel cuore eccitato di Araki stesso.
Pur con tutte le adeguate cautele del caso, cautele dettate dalla personalità delle urgenze sessuali che differenziano, l’arte della fotografa underground danese Druunatic percorre gli stessi sentieri. Sentieri intessuti di fini arabeschi di carne e sesso e in alcuni casi anche di cliches fetish ricontestualizzati; l’esperienza di Druunatic nel momento creativo è quella di un atto di appropriazione dell’esistenza della modella-partner, ideale vittima che soggiace e si piega alla volontà di chi la riprende, ed eterna, nello scatto.
Una serie fatta di assordante chiaroscuro verdognolo, camera di morte e di dolore intessuto di smeraldo, ombre, sinuose forme femminili, acqua che sciaborda nella vasca, guardi quegli occhi e dentro le iridi leggi il sapore del piacere che Druunatic prova nella costruzione del set.
Dimostra il suo talento anche negli scatti di ambiente religioso, in cui l’austero silenzio delle chiese protestanti danesi si unisce in sinergia porno-decsrittiva a crocifissi barocchi e cascate di luce ed abiti talari autentici; fotografie di non secondaria importanza, pur se magari meno viste e considerate dai frequentatori del sito Web della fotografa. E che invece confermano l’importanza del percorso formativo ed umano di Druunatic, alle prese con la soddisfazione dei suoi bisogni primari.
La sua dimensione schiettamente underground, autodistribuzione-autoproduzione, la porta a collaborare con magazine del settore Fetish, il Fetish di Marquis, SkinTwo, A, anche se certamente merita di più; merita soprattutto di non essere confusa con la massa amorfa di gotici da dopolavoro. Troppo differenti le motivazioni, troppo differente il contesto di azione e di vissuto.
Come l’immagine rovesciata di un Se Stessi, quella immagine richiamata nella drammaturgia di Sarah Kane o nel languore dolciastro e ossuto della poesia di Trakl, gli scatti di Druunatic sono un fotografare la sua stessa anima, una via crucis di masturbazione, sadismo, piacere saffico, clitoridi stropicciati e furiosamente smanettati, seni strizzati, gambe flessuose, calze a rete, sangue, tacchi alti, corsetti.
Emerge l’Inferno interiore, in tutta la sua maestosa grandezza, tra ierofaniche presenze post-demoniche, quale party fetish nel Nono Cerchio trasmutato alchemicamente in forma dissoluta di scantinato gotico.
Lunga vita all’Inferno.
sabato 16 febbraio 2008
Manikarnika Ghat
venerdì 15 febbraio 2008
Il Sadico Criminale
Solo ghiaccio e silenzio
Il primo colpo si abbatte come una meravigliosa sorpresa. Lo scoppio sordo tradisce l’umana frustrazione, e la sublimazione di una volontà di potenza lasciata a marcire sotto il pesante pastrano; l’orrore ancora deve arrivare, fermo in seconda fila tra qualche decina di Cabrini-greens, il traffico cittadino impazzito e nuvole di fiato condensate in volute concentriche troppo prese dall’ascendere al cielo per accorgersi di quel ragazzo che ha iniziato a macellare i suoi ex compagni di corso.
La bassa sociologia non appartiene a chi dispensa la morte; solo dopo, solo quando i corridoi gelano nel silenzio, tra rare ed isolate richieste di aiuto e di misericordia, il rantolo degli agonizzanti e le strazianti lacrime dei sopravvissuti a far da ideale cornice, come pure la montante ondata di sirene di ambulanze e polizia, puoi veder emergere nei notiziari dei tentativi di comprensione. I giornalisti non vogliono davvero sapere o far sapere cosa sia successo; molto più prosaicamente ardono dal desiderio di decostruire la carnografia, la sala piena di studenti trasformata in surrogato di poligono, le urla, le recriminazioni, la pietà chiesta e non accordata.
Bullismo. Frustrazioni sociali o esistenziali. Nulla importa più quando i colpi prendono a disegnare traiettorie di morte in quel silenzio accademico, quando aprono gigli di sangue sulle carni di ragazze e di ragazzi, la neve fuori continua a fioccare mentre dentro è il piombo a scendere copioso. Sinistre visioni di un inferno medievale, tavole di un Dorè educato da Commando e da altre tonnellate di action-movies, oh si che splendore di decomposizione cerebrale in quegli istanti di rapida fuga, di occhiate impaurite, quando gli occhi si velano di pianto e si tenta, con l’istinto di autoconservazione elevato all’ennesimo grado, di farsi scudo con il cadavere crivellato del proprio migliore amico o della propria ragazza.
Due pistole ed un fucile, con scientifica metodologia il carnefice comparso dal gelo prende la mira, spara, continua a prendere la mira, seleziona le vittime, uccide, ferisce, solo se ne ha davvero bisogno ricarica; il panico degli altri è la sua più vera corazza, perché nessuno pensa di andargli incontro e di fermarlo, nemmeno quando lui si ferma pensieroso e soddisfatto a ricaricare. Non esistono più eroi, non ci sono i futuri Obama o i marines che se ne andranno in Irak per insegnare un po’ di civiltà, le magliette di Nelson Mandela o di Al Gore i pensieri di solidarietà universale e di aiuto globale finiscono scaricati dritti nel cesso, ed ogni colpo, ogni pallottola, diventa la cartina di tornasole dell’ipocrisia.
Nessuno aiuta nessuno.
Tutti calpestano tutti.
Ogni vincolo affettivo, di autorità, di amicizia è distrutto e fatto a pezzi; professori e assistenti vengono travolti dall’orda impazzita di studenti, ragazze vengono gettate a terra e usate come tappetini, si bada solo a guadagnare nel più rapido tempo possibile l’uscita, una qualunque uscita che adesso sembra irreale e distante come un’oasi nel deserto di ghiaccio.
Difficilmente sapremo se l’assassino ha scelto la data simbolo di San Valentino per mettere in atto i suoi proposito di sfoltimento del genere umano, ed in fondo importa poco; importa solo a qualche obeso presentatore tv che grazie a lui avrà risolto i problemi di palinsesto per le prossime quattro settimane. Sfortunatamente per i giornalisti, la cronaca nera non è come il vino e con l’andare del tempo perde di valore. La gente vuole storie nuove, morti fresche e dolorose interviste direttamente dal campo di battaglia, un po’ come la miriade di nuove starlette che si affacciano nel mondo del porno, destinate ad effimera vita di crisalide spermatica.
San Valentino è una giornata del cazzo. Lo aveva capito per primo Al Capone, e solo lui oggettivamente riuscì nella titanica impresa di renderla più interessante del solito, con quel rendez-vous di corpi crivellati e morbido abbraccio di sangue e piombo che ancora oggi incute un certo rispetto. Coppie cinguettanti di amore, tubanti come nella più disgustosa delle raffigurazioni plastiche da spot tv, rituali di ipocrisia consumati sotto l’occhio vigile del killer.
Mettiamola così; esistono buone possibilità che quegli stessi innamorati che si erano in mattinata scambiati languide effusioni e promesse di amore eterno, si siano poi liquefatti e calpestati a vicenda sotto la spinta propulsiva dell’acciaio a canne mozze. Curioso destino quello di chi si umetta le labbra gorgogliano nemmeno fosse un mantra il termine amore, reiterandolo nel tentativo di autoconvinzione, per poi vedersi ogni singola parola ficcata in gola a viva forza da un pazzoide emerso letteralmente dal nulla.
Mi piace pensare che da qualche parte in questo nostro povero mondo del cazzo un emulo di Al Gore o di Bono Vox stesse pontificando con tono vaticinante della necessità di aiutare economicamente il Terzo Mondo o di combattere il surriscaldamento atmosferico, che fosse intento come un Testimone di Geova dell’impegno sociale a convincere platee oceaniche di quanto gretto ed insensibile sia il mondo occidentale, e mentre il demente troneggia sull’auditorium e parla parla parla demagogico come pochi ecco che a milioni di chilometri di distanza un rispettabile killer entra in azione e sventra la cappa di ipocrisia.
Che la pace sia con voi. Bang, bang, bang. Catena di montaggio della morte post-industriale, un colpo un morto o un colpo un ferito; ormai la potenza delle moderne armi da fuoco rende cecchino specializzato persino un qualche tordo miope bullizzato fino al giorno prima. E spara, colpisce, uccide, punta, mira, tace in rispettoso silenzio di modo che unica colonna sonora siano i singhiozzi, gli scoppi sordi, le grida di panico e aiuto.
Dove è adesso la carità invocata da Bono Vox per i popoli africani?
Dove sono i concerti Live Aid e il loro disgustoso e zuccheroso carrozzone di buoni sentimenti?
Dove è il grigio travet ex vicepresidente USA Al Gore, riciclato paladino della causa ambientalista?
Si staranno interrogando su queste crudeli notizie, certi che sia il ventre molle e pingue, troppo pasciuto, della società occidentale il mandante della strage; e mentre loro perdono tempo a pensare, o a farsi dire cosa pensare da ben pagati ghost-writers, il nostro eroe del giorno continua la sua opera incessante di pulizia metropolitana
Le mura dell’aula sono tinte di rosso e sforacchiate, come un arazzo di Bayeux fuori tempo massimo. A terra giacciono corpi mutilati dalla furia omicida, bocche ansimano cercando di inalare l’ultimo soffio di aria, i feriti si trascinano faticosamente sulle braccia, lasciandosi dietro una ingloriosa scia di lumaca, campioni di atletica e di football, persone coi fisici asciutti, orgoglio del campus e delle ragazze che possono assaggiarli, adesso piagnucolano invocando il nome della madre e nascondendosi dietro le cataste di cadaveri.
La fuga è il momento della verità; non conta l’allenamento, la forza, la sagacia, conta solo il sangue freddo, glaciale, che riesce a farti capire e prevedere le mosse dell’assassino. L’umanista, l’intellettuale che coltiva illusioni di amore fraterno, rimarrà cristallizzato al suo posto e guarderà fisso il killer, incapacitato a capire per quale motivo un essere umano stia mettendo in atto quello scellerato piano; vorrebbe davvero sapere, capire, chiedere, parlare all’assassino e dirgli di riflettere, ma fortunatamente per noi spettatori le sue ecumeniche stronzate vengono spazzate via da un proiettile calibro 22 che gli conficca nel cranio.
Buon San Valentino, teste di cazzo.
Solo quando il killer si reputa soddisfatto, mentre fuori ruggiscono le pattuglie della polizia, le ambulanze affollano il piazzale di ingresso del Campus, genitori affranti e giornalisti in erezione perenne si danno il cambio nel turbinio dei sentimenti, l’assassino percepisce nitidamente di aver esaurito la sua funzione, rivolge un silenzioso grazie alla NRA e rivolge la canna del fucile contro di sé.
Un ultimo colpo.
E quando lo sentono, echeggiato dalle aule ormai deserte, poliziotti, paramedici, giornalisti, genitori, curiosi, studenti scampati alla strage, rimangono impietriti. Muoiono i rumori.
Dentro, il caldo confortante della morte.
Fuori, solo ghiaccio e silenzio.
martedì 12 febbraio 2008
Dalla Lista di Schindler alla Lista Nera
sabato 2 febbraio 2008
Il Ragno Rosso
“ Quelli come me non si ispirano ai film, sono i film che si ispirano a quelli come me”
David Harker, assassino cannibale, rispondendo alla domanda se fosse stato ispirato dal film Il Silenzio degli Innocenti
Nessuno può negare che i serial killer siano tra tutte le varie tipologie di delinquenti quelli più fantasiosi; generalmente il crimine viene percepito coma una scorciatoia verso una vita più agevole e semplificata, o come una alternativa al lavoro, ne diventa evidente la morfologia economicistica devoluta ad un insieme di pratiche routinarie che esattamente come un qualunque lavoro ordinario e rispettabile forniscono un salario, mentre invece l’omicidio seriale essendo legato alla soddisfazione di impulsi primari a base sessuale si situa totalmente fuori da questa prospettiva.
E non fatevi ingannare dal termine “modus operandi”, non è routine, non è la ruota di un ingranaggio di morte, e forse non è nemmeno una firma in senso di delimitazione del territorio, ma solo un esercizio di praticità che in alcune condizioni può essere mutato. D’altronde esistono e sono esistiti alcuni killer capaci di mutare modo di uccisione, persino target di vittime, e via dicendo, divenendo imprevedibili e affinando con il tempo le loro arti omicidiarie.
Il giovane polacco Lucian Staniak amava invece la routine omicidiaria, e si curava che ogni suo omicidio somigliasse al precedente; c’è un solo particolare però che rende così peculiare la sua figura. Agiva nella Polonia degli anni sessanta.
Un periodo in cui perfino negli Stati Uniti si ignorava il concetto criminologico di assassino seriale, il termine doveva ancora essere coniato e l’FBI era lungi dal creare speciali squadre che si occupassero delle analisi comportamentali e delle indoli devianti; figuriamoci oltre la Cortina di Ferro, nel paradiso socialista.
Ma Staniak era un tipo particolare anche per altre sue caratteristiche; in primo luogo era un poeta ed un artista, ed anzi unì queste due sue passioni redigendo meticolosamente i biglietti di rivendicazione dei suoi atroci crimini usando della tempera diluita di color rosso. In stile Jack lo Squartatore erano le sue poetiche elucubrazioni inviate alle autorità, e in stile Jack lo Squartatore erano pure i suoi delitti.
“Non c’è felicità senza lacrime, non c’è morte senza vita. Attenti! Vi farò piangere”, non oso immaginare la faccia del redattore che si trovò a leggere questa lettera, alla vigilia della festa nazionale polacca. Non sapeva ovviamente come avrebbe dovuto interpretarla; minaccia di un terrorista, pazzo esibizionista, scherzo di cattivo gusto?
Quando il giorno successivo fu trovato in un parco pubblico il corpo nudo ed eviscerato di una diciassettenne, quella lettera assunse un valore del tutto differente, anche se Staniak non mancò di far pervenire un nuovo messaggio che a scanso di equivoci chiarificava le sue responsabilità.
“Ho raccolto un fiore succoso a Olsztyn e farò lo stesso da un’altra parte, perché non c’è vacanza senza funerale”.
La grafia, incerta ed in colore rosso, fu confrontata con quella della prima lettera e si scoprì che a scrivere entrambi i bigliettini era stata la stessa mano. Le autorità a questo punto si allarmarono, perché non erano evidentemente pronte a livello metodologico ed operativo per far fronte ad una emergenza del genere; non si trattava di un crimine insurrezionale, lato sensu politico, né di un delitto comune dettato da un qualche movente che potesse essere ricostruito ed investigato. Si trattava invece di una feroce e cieca esplosione di furia omicida dettata in apparenza da uno straniato senso del piacere. La scienza criminologica dell’epoca, e quella comunista in genere, non si dimostrava molto propensa, anche per fraintesa pruderie, ad accettare l’idea che una persona potesse sublimare impulsi affini alla sessualità attraverso l’omicidio; non si dimentichi che gran parte delle analisi di delitti sessuali condotte da psichiatri della fine dell’ottocento e degli inizi del 1900 erano state bandite in tutti i principali paesi totalitari, e l’assassino sessuale stesso liquidato come perverso frutto della malata società borghese..
Sei mesi dopo il ritrovamento del cadavere nel parco pubblico, Staniak tenne fede alle sue promesse e macellò una ragazzina di sedici anni che tornava a casa da una manifestazione studentesca, la violentò ripetutamente, la picchiò ed infine la strangolò con del filo di ferro che le tranciò la gola e finì quasi per decapitarla.
Ormai in preda a raptus in accelerazione, Staniak si dedicò alacremente alla pittura, recandosi sistematicamente presso l’Accademia di pittura della città in cui viveva; tentava sfogando le sue pulsioni artistiche di tenere a bada l’istinto omicida, ben sapendo che se avesse colpito a distanza troppo ravvicinata sarebbe divenuto identificabile. Fu così che si trascinò fino al 1 novembre, festa di Ognissanti, ed in questa occasione mise a segno uno dei suoi crimini più brutali ed efferati, uccidendo (o meglio; martoriando) una giovane donna a colpi di cacciavite ed inserendole nella vagina, nel pieno dell’agonia, un tubo metallico che le aveva slabbrato le grandi labbra e lacerato il clitoride ed i tessuti interni. Per celebrare degnamente quell’exploit, Staniak inviò una nuova missiva ai giornali.
“Solo le lacrime di dolore possono lavare la macchia della vergogna; solo i morsi della sofferenza possono estinguere le fiamme della lussuria”.
Dopo sei mesi, nella ricorrenza del Primo Maggio, festa dei lavoratori e come tale particolarmente sentita in un paesa di comunista di lunga tradizione operaia come la polonia, Staniak mise in atto il suo delitto più raccapricciante; violentò e massacrò una diciassettenne nei sobborghi di Varsavia. Non pago dell’aver martirizzato il cadavere con un coltello affilato, apriì la cassa toracica della vittima e si mise a trafficare con gli intestini, srotolandoli come fossero festoni putrescenti e li attorcigliò sulle gambe nude della ragazza.
La scena che si presentò agli occhi dei poliziotti intervenuti fu sconvolgente.
A questo punto la psicosi era dilagata. Ed i giornali, in forza delle rivendicazioni sistematicamente mandate loro da Staniak, lo soprannominarono Ragno Rosso, proprio perché si firmava sempre con quella vernice diluita di colore rosso. Il primo serio errore, l’assassino lo commise alcuni mesi dopo, alla Vigilia di Natale, quando dopo aver orrendamente ucciso un’altra diciassettenne su un vagone del treno non perse tempo e infilò nella casella postale del vagone stesso la sua lettera di trionfo. Ma i poliziotti questa volta, scoprirono quasi subito che la sorella della vittima, una quattordicenne, aveva subito lo stesso destino due anni prima, sempre per mano del Ragno Rosso; era evidente quindi che entrambe conoscessero il loro carnefice. I problemi di Staniak non finivano però qui; tutte e due le sorelle erano state modelle presso un’accademia pittorica di Cracovia, e gli investigatori avevano accertato che le lettere di rivendicazione erano vergate con una vernice diluita particolarmente utilizzata dai pittori.
Intanto, nei mesi precedenti, erano stati raccolti alcuni indizi che collegavano l’assassino alla città di Katowice. Fu così che la polizia decise di analizzare il registro dei soci dell’accademia dei pittori di Cracovia per vedere quanti di loro fossero originari di Katowice; con loro sorpresa scoprirono che ce n’era uno solo, tale Lucian Staniak. Perquisirono il suo armadietto e trovarono colori rossi e un abbozzo di dipinto che mostrava una donna eviscerata dal cui ventre spuntavano fiori.
Prima che potessero mettergli le mani addosso però Staniak fece in tempo a consumare un ultimo omicidio, ai danni di una studentessa di diciassette anni.
Catturato, venne rapidamente processato ed internato per il resto dei suoi giorni in un manicomio criminale.
venerdì 1 febbraio 2008
Hitler è un problema metafisico ?
No perchè il romanzo, lungi dall'essere metafisico, parte subito chiamando in causa il povero Lupo Fenrir, sublimato nella forma di visione ed apparso al sognante giovanissimo (sette anni) Adolf Hitler, che tornato poi a casa in ritardo viene cinghiato dal dispotico padre in una edizione antesignana della cinghiamattanza. Pensate, il padre non accoglie come giustificazione quella del mitologico Lupo, probabilmente nemmeno lo Stormo Tempestoso sarebbe stato giustificazione degna; tempi grami quelli per gli studenti, se nemmeno le fauci assolute di una divinità potevano evitare le striature a sangue sul culo.