ANSA - FIRENZE - Era l'ultimo compagno di merende ancora in vita. L'ex postino Mario Vanni, 82 anni da compiere il prossimo 23 dicembre, è morto lunedì all'ospedale fiorentino di Ponte a Niccheri dove era stato ricoverato per una crisi respiratoria. Da tempo viveva in una casa di riposo a Pelago (Firenze), dopo che per le sue condizioni di salute gli era stata sospesa la pena all'ergastolo per concorso negli ultimi quattro duplici omicidi attribuiti al mostro di Firenze. Nel 1998 se ne era andato il più famoso dei compagni di merende, Pietro Pacciani, il contadino di Mercatale. Nel 2002 era scomparso, invece, Giancarlo Lotti, il pentito.
“Emergeva un accentuato sadismo. Sessualmente perverso, traeva piacere dalle sofferenze inflitte all’oggetto del desiderio; la donna. Ecco, traeva piacere dalle minacce che gli consentivano una erezione del pene che altrimenti era difficilmente raggiungibile” quella che in apparenza sembra la descrizione di uno dei tanti personaggi della poetica sadiana è in realtà un breve stralcio del ritratto che il duo Lucarelli-Giuttari ci fornisce del recentemente scomparso Mario Vanni.
Il postino di San Casciano che ha materialmente coniato l’espressione “compagni di merende”, prima durante gli interrogatori con magistratura inquirente e poliziotti, poi in aula quando chiamato a testimoniare, ancor prima delle domande poste dall’accusa, cercò di discolparsi con quella formula, “io ho fatto solo merende”, che ancora echeggia nella coscienza collettiva italiana.
E’ morto.
Condannato a 4 ergastoli per alcuni degli omicidi ascritti al Mostro di Firenze, da tempo agli arresti domiciliari presso una casa di riposo per motivi di salute e di età, non porta con sé grandi segreti se non quelli che la squadra investigativa non è stata in grado di risolvere durante il corso di decennali e lucrose indagini.
Descrivere un assassino che per anni ha terrorizzato l’Italia, lasciando nella polvere di viottoli sterrati i cadaveri orrendamente mutilati di ragazzi e ragazze, tenendo in scacco le autorità, come un essere gretto, ignorante, stupido, una sorta di nullità balorda a cui per una volta nella vita arride un minuto di celebrità, sia pure declinata in senso omicidiario, è sempre un’arma a doppio taglio; certe volte si ha la sensazione che sia una tecnica per mettere in risalto la propria brillante operatività, il proprio ingegno tattico e deduttivo se si è dei poliziotti o dei magistrati. Da un lato il mostro, e tanto più ottuso e idiota sarà tanto maggiore sarà l’approvazione e il riconoscimento della grandezza etica, morale dell’inquirente che se ne sta beato dall’altra parte della barricata, pensoso e marmoreo come un David.
Però ad alcuni vengono domande; sono sicuro che queste domande non affollino la mente dei cittadini timorati di dio, tutti santa messa e Porta a Porta, ma che statisticamente si leghino in maggioranza al perverso e degenerato universo-mondo delle schifezze umane come il sottoscritto. La principale domanda; se un assassino è idiota, ottuso, stupido, al limite dell’atavismo, e ciò nonostante ha massacrato 16 persone, tenendo in scacco le autorità per decenni, come dovremmo definire gli inquirenti che non sono stati in grado di fermarlo ?
La casalinga che si commuove piangendo calde lacrime davanti al plastico della casa di Cogne troverà questa domanda impertinente ed inopportuna – ma i degenerati, ai quali a volte arride in sorte di poter vedere attraverso certe fumisterie di politicamente corretto, non si pongono scrupoli etici e per il loro profano piacere son soliti porre tutte le domande che vengono loro in mente. D’altronde Ulisse è finito all’inferno, non in paradiso a guardarsi le puntate registrate di Real CSI.
Sarà forse per nascondere questi dubbi che dagli abissi insondabili delle indagini, è emersa una sequenza abbastanza avvilente e carnascialesca di esoterismo, ammucchiate, laido mondo di provincia, abusi intrafamiliari, e soprattutto, stagliato contro gotiche lingue di fuoco, la figura mai accertata di un Uomo Nero, una misteriosa entità aristocratica, raffinata, intelligente, con doppia funzione; da un lato mandante ideologico dei delitti e dall’altro comodo alibi per riscattare l’insipienza degli inquirenti e nettare tutte le piste seguite senza successo.
Il Mostro di Firenze, cooperativa virata al sangue di squartatori guardoni ruderi umani sconfitti dalla vita e lombrosionamente condannati al crimine, merita di meglio, avranno pensato inquirenti, giornalisti, magistrati, sedicenti esperti di delitto seriale; ed ecco allora pittori svizzeri, farmacisti, soggetti altolocati, culturalmente e finanziariamente, per tingere con colori pastosi e scuri le vicende che invece dei poveracci come Pacciani, Vanni e Lotti rischiavano di sporcare e di rendere troppo boccaccesche. Eccessivamente trash.
Noi siamo un paese di dietrologia compulsiva, di paranoia, di cospirazionismo, non possiamo accettare l’idea che qualcosa sia semplice o lineare; pretendiamo di vedere complotti o misteri anche laddove non ce ne sono. Figuriamoci in fatti di sangue tanto sconvolgenti; non ci si può accontentare dell’idea di tre balordi di paese, misogini, maniaci sessuali, alcuni dei quali semi-impotenti, analfabeti e miserandi, dobbiamo costruirci sopra un castello di razionalizzazioni, scuse, giustificazioni celate sotto le pompose definizioni criminologiche e le teorie dietrologiche. Altrimenti sarà difficile parlare di terzo livello, di cerchi infernali, di esecrandi rituali satanici nel ventre cupo della notte, una sorta di profiling a scuola da Huysmans, e ancora più difficile polarizzare l’attenzione della massa e vendere libri – in principio non è stato Dan Brown, ma il Mostro di Firenze.
Non a caso quando Harris, l’autore de Il Silenzio degli Innocenti, venne a Firenze per seguire il caso del Mostro convinto di poterne trarre del materiale soddisfacente per un suo libro, ci si rese conto tutti vedendo l’autore americano fuggire in fretta e furia che la storia non era intrigante per nulla; non c’erano raffinati Hannibal a terrorizzare le notti delle coppiette fiorentine, ma soltanto dei noiosi, pedanti e stupidi esponenti del lumpenproletariat della periferia toscana. D’altronde le piste alla ricerca del misterioso Dottore, il presunto mandante e collezionista feticista delle parti anatomiche asportate ai cadaveri, non hanno condotto a nulla; anzi, sono state il nulla.
Gli stessi inquirenti sono stati costretti ad erigerle facendo ricorso a supposizioni, elementi meramente indiziari e a “testimonianze” irrisolte degli imputati; si arrivò pure a sostenere, in un assoluto detour da incaprettamento logico, che ad un certo punto il mandante, uomo di cultura e di brillante intelligenza, sarebbe stato ricattato da Pacciani e da Vanni – il che suona risibile, posto che un ricco, verosimilmente potentato, davanti ad un effettivo ricatto non avrebbe avuto problemi a far eliminare da qualcuno (magari uno spietato killer albanese) dietro lauto compenso i due scomodi esecutori dei suoi capricci metasessuali.
Sono bastate le avvilenti udienze sul pittore svizzero per far comprendere che si brancolava alla cieca; due semplici parole di Sgarbi, di pura irrisione di quella teoria, a risuonare come epitaffio funebre di determinate fantasie.
Ora che Vanni è morto, non cambierà nulla nella ridda vorticante di supposizioni, articoli, saggi, reportage tv e soprattutto libri; esistono ancora tante “verità” da rendere pubbliche, e da vendere.
Il postino di San Casciano che ha materialmente coniato l’espressione “compagni di merende”, prima durante gli interrogatori con magistratura inquirente e poliziotti, poi in aula quando chiamato a testimoniare, ancor prima delle domande poste dall’accusa, cercò di discolparsi con quella formula, “io ho fatto solo merende”, che ancora echeggia nella coscienza collettiva italiana.
E’ morto.
Condannato a 4 ergastoli per alcuni degli omicidi ascritti al Mostro di Firenze, da tempo agli arresti domiciliari presso una casa di riposo per motivi di salute e di età, non porta con sé grandi segreti se non quelli che la squadra investigativa non è stata in grado di risolvere durante il corso di decennali e lucrose indagini.
Descrivere un assassino che per anni ha terrorizzato l’Italia, lasciando nella polvere di viottoli sterrati i cadaveri orrendamente mutilati di ragazzi e ragazze, tenendo in scacco le autorità, come un essere gretto, ignorante, stupido, una sorta di nullità balorda a cui per una volta nella vita arride un minuto di celebrità, sia pure declinata in senso omicidiario, è sempre un’arma a doppio taglio; certe volte si ha la sensazione che sia una tecnica per mettere in risalto la propria brillante operatività, il proprio ingegno tattico e deduttivo se si è dei poliziotti o dei magistrati. Da un lato il mostro, e tanto più ottuso e idiota sarà tanto maggiore sarà l’approvazione e il riconoscimento della grandezza etica, morale dell’inquirente che se ne sta beato dall’altra parte della barricata, pensoso e marmoreo come un David.
Però ad alcuni vengono domande; sono sicuro che queste domande non affollino la mente dei cittadini timorati di dio, tutti santa messa e Porta a Porta, ma che statisticamente si leghino in maggioranza al perverso e degenerato universo-mondo delle schifezze umane come il sottoscritto. La principale domanda; se un assassino è idiota, ottuso, stupido, al limite dell’atavismo, e ciò nonostante ha massacrato 16 persone, tenendo in scacco le autorità per decenni, come dovremmo definire gli inquirenti che non sono stati in grado di fermarlo ?
La casalinga che si commuove piangendo calde lacrime davanti al plastico della casa di Cogne troverà questa domanda impertinente ed inopportuna – ma i degenerati, ai quali a volte arride in sorte di poter vedere attraverso certe fumisterie di politicamente corretto, non si pongono scrupoli etici e per il loro profano piacere son soliti porre tutte le domande che vengono loro in mente. D’altronde Ulisse è finito all’inferno, non in paradiso a guardarsi le puntate registrate di Real CSI.
Sarà forse per nascondere questi dubbi che dagli abissi insondabili delle indagini, è emersa una sequenza abbastanza avvilente e carnascialesca di esoterismo, ammucchiate, laido mondo di provincia, abusi intrafamiliari, e soprattutto, stagliato contro gotiche lingue di fuoco, la figura mai accertata di un Uomo Nero, una misteriosa entità aristocratica, raffinata, intelligente, con doppia funzione; da un lato mandante ideologico dei delitti e dall’altro comodo alibi per riscattare l’insipienza degli inquirenti e nettare tutte le piste seguite senza successo.
Il Mostro di Firenze, cooperativa virata al sangue di squartatori guardoni ruderi umani sconfitti dalla vita e lombrosionamente condannati al crimine, merita di meglio, avranno pensato inquirenti, giornalisti, magistrati, sedicenti esperti di delitto seriale; ed ecco allora pittori svizzeri, farmacisti, soggetti altolocati, culturalmente e finanziariamente, per tingere con colori pastosi e scuri le vicende che invece dei poveracci come Pacciani, Vanni e Lotti rischiavano di sporcare e di rendere troppo boccaccesche. Eccessivamente trash.
Noi siamo un paese di dietrologia compulsiva, di paranoia, di cospirazionismo, non possiamo accettare l’idea che qualcosa sia semplice o lineare; pretendiamo di vedere complotti o misteri anche laddove non ce ne sono. Figuriamoci in fatti di sangue tanto sconvolgenti; non ci si può accontentare dell’idea di tre balordi di paese, misogini, maniaci sessuali, alcuni dei quali semi-impotenti, analfabeti e miserandi, dobbiamo costruirci sopra un castello di razionalizzazioni, scuse, giustificazioni celate sotto le pompose definizioni criminologiche e le teorie dietrologiche. Altrimenti sarà difficile parlare di terzo livello, di cerchi infernali, di esecrandi rituali satanici nel ventre cupo della notte, una sorta di profiling a scuola da Huysmans, e ancora più difficile polarizzare l’attenzione della massa e vendere libri – in principio non è stato Dan Brown, ma il Mostro di Firenze.
Non a caso quando Harris, l’autore de Il Silenzio degli Innocenti, venne a Firenze per seguire il caso del Mostro convinto di poterne trarre del materiale soddisfacente per un suo libro, ci si rese conto tutti vedendo l’autore americano fuggire in fretta e furia che la storia non era intrigante per nulla; non c’erano raffinati Hannibal a terrorizzare le notti delle coppiette fiorentine, ma soltanto dei noiosi, pedanti e stupidi esponenti del lumpenproletariat della periferia toscana. D’altronde le piste alla ricerca del misterioso Dottore, il presunto mandante e collezionista feticista delle parti anatomiche asportate ai cadaveri, non hanno condotto a nulla; anzi, sono state il nulla.
Gli stessi inquirenti sono stati costretti ad erigerle facendo ricorso a supposizioni, elementi meramente indiziari e a “testimonianze” irrisolte degli imputati; si arrivò pure a sostenere, in un assoluto detour da incaprettamento logico, che ad un certo punto il mandante, uomo di cultura e di brillante intelligenza, sarebbe stato ricattato da Pacciani e da Vanni – il che suona risibile, posto che un ricco, verosimilmente potentato, davanti ad un effettivo ricatto non avrebbe avuto problemi a far eliminare da qualcuno (magari uno spietato killer albanese) dietro lauto compenso i due scomodi esecutori dei suoi capricci metasessuali.
Sono bastate le avvilenti udienze sul pittore svizzero per far comprendere che si brancolava alla cieca; due semplici parole di Sgarbi, di pura irrisione di quella teoria, a risuonare come epitaffio funebre di determinate fantasie.
Ora che Vanni è morto, non cambierà nulla nella ridda vorticante di supposizioni, articoli, saggi, reportage tv e soprattutto libri; esistono ancora tante “verità” da rendere pubbliche, e da vendere.
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