giovedì 31 gennaio 2008

Gilles


Siamo abituati a considerare il Medioevo come una età oscura, ora in riferimento alla barbarie dei costumi e al fatto che spesso le controversie ed i rapporti erano regolati dalla forza ora dal fatto che le testimonianze che di quell’epoca ci arrivano sono filologicamente interpolate e appunto ammantate dalla nebbia della non perfetta conoscenza.
Dopo il lento tramonto dell’Impero romano e l’arrivo massiccio delle popolazioni germaniche, la cultura venne letteralmente rinchiusa e ghettizzata nei conventi dove i Monaci trascrivevano e commentavano gli antichi testi filosofici, religiosi e giuridici scampati agli assedi e alle devastazioni. La caratterizzazione religiosa di questi operatori finiva però sin dall’origine per determinare un mutamento del senso e del contesto delle opere che passavano per le loro mani, fino al caso estremo delle scuole dei Canonisti e dei Glossatori che con perfetta scienza e cognizione di causa ritenevano legittimo inserire i loro commenti direttamente nel testo, e non a margine.
Questo processo di stratificazione letteraria e concettuale finisce per mutare geneticamente il significato profondo di istituti giuridici, leggi della Chiesa, lo stesso nascente diritto comune (che prende le mosse dalla fusione di diritto romano, diritto barbaro e diritto canonico) non è altro che una evoluzione di commenti sedimentati su altri commenti lungo una invisibile linea di cui, ad un certo punto, si smarrisce l’orizzonte.
E’ così che biografie e opere letterarie e agiografie, spesso commissionate da governanti, nobili, ecclesiasti, giungono ai nostri giorni e vengono considerate opere di specchiata scienza e indubitabile imparzialità, mentre al contrario se si avesse la possibilità di gettare uno sguardo sulle fonti si vedrebbe che la realtà è ben diversa; ma il problema sta proprio qui, le fonti.
In molti casi, gli amanuensi trascrivono e commentano direttamente da libri che finiranno poi per scomparire, arsi in qualche incendio, rubati e passati di mano ed eclissati a seguito di qualche scorribanda o assedio; quelle che rimangono così sono opere glossate, direttamente interpolate, in cui diviene impossibile scindere la parte originale da quella aggiunta. Ed è questa carenza di fonti a determinare il senso dell’oscurità che aleggia su interi secoli del Medioevo.
E se questo vale per asettici istituti giuridici, famosi filosofi e dottrine della più varia natura, figuriamoci cosa può succedere quando oggetto della indagine diventa una figura sinistra come il Maresciallo Gilles de Rais.
Piuttosto singolarmente infatti il Maresciallo è passato atrraverso le epoche come paradigma di un male feroce, di un sadismo ante-litteram, coacervo di pratiche sataniche, omicidi, abuso di potere e leggende metropolitane che di lui hanno fatto tra l’altro base storica di Barbablù. Fiaba, mistero, racconto orrorifico, e in alcuni periodi anche sublimazione di un mistero gotico, tutto fuorchè storiografia.
Scorrendo rapidamente una bibliografia contenente il nome di Gilles, si vede che preponderante è la quota di romanzi o di opere decisamente meta-storiche, in cui la porzione scientifica è minoritaria rispetto alla ricostruzione narrativa; in alcuni casi si assiste ad un processo di romanticizzazione della figura, fatta assurgere a quella di amante paranoico e disperato che dopo la morte di Giovanna d’Arco si trasforma in lucido e scatenato massacratore di bambini (è il caso del romanzo Gilles et Joan, di Michel Tournier). Oppure, stante la non indifferente componente alchemica, satanica ed esoterica, ecco avanzarsi Crowley con le sue Letture Proibite che ebbero fugace apparizione sulla Rivista Equinox, e che pure ad oggi non sono facilmente reperibili.
Di Gilles si fece ora un pioniere del Sadismo, accomunato a Sade anche dalla scarsità e dalla incertezza di riferimenti biografici (entrambi curiosamente ebbero uguale sorte post-mortem, con la loro sepoltura devastata e ciò che di loro rimaneva disperso; la tomba di Gilles venne fatta a pezzi dai riottosi cittadini durante la Rivoluzione Francese e le sue ossa gettate nel vicino fiume, mentre le ossa di Sade a quanto sembra furono trafugate in piena invasione di Francia da un milite delle Waffen SS), ora un dannato scapigliato che sarebbe poi finito trasfigurato nel La-Bas di Huysmans o in qualche poema del decadentismo più spinto e oppiaceo.
E’ effettivamente difficile, per non dire impossibile, trovare un testo in cui poter scindere racconto finzionale da seria e ponderata ricostruzione storiografica; certo, è la figura stessa che si presta alla sovrastruttura gotica, al racconto di serial killer, alla carnografia spicciola. E’ tutta quell’epoca in cui morte, oscurità, sinistri bagliori della fiamma d’inferno si mescolano ad essere oggetto di una ricostruzione oleografica e in certa misura plastica; come scrive lo storico Pernoud nel suo saggio sulla liberazione di Orleans, a cui Giovanna d’Arco e Gilles presero parte, la stessa figura di Cristo assume le sembianze orrorifiche di un corpo straziato e violato, circondato da ossa, teschi, città in fiamme. E’ l’arte a farsi monito, e monito grave e violento.
Non esistendo una impalcatura istituzionale in grado di assicurare un ordine, molto spesso violenza, arbitrio e capriccio di nobili diventano gli unici metri di giudizio e comportamento; la vendetta ha una sua valenza accettata, proseguono i giudizi di Dio in tutta la loro cruenza, bande di mercenari ed eserciti regolari durante i loro spostamenti saccheggiano, impiccano, violentano. Non stupisce quindi che il favolista Perrault, attingendo alla mitografia che circonda Gilles, abbia fatto di lui una figura fosca e crudele come quelle che popolano le fiabe dei Grimm.
Intendiamoci, Gilles fu effettivamente, almeno nella seconda parte della sua esistenza, un crudele massacratore di ragazzini, avvinto dalle sue ossessioni alchemiche (in combutta con il mago fiorentino Francesco Prelati) e dai suoi esperimenti, arroccato nel suo maniero e circondato da una corte dissoluta e sanguinaria; ma i suoi crimini, per quanto assurdi, reiterati e brutali, non sono poi così diversi da quelli posti in essere dagli eserciti vittoriosi intenti ad infierire sulle popolazioni vinte.Come ha sottolineato M. Cazacu, nel suo Da Gilles a Barbablu, il percorso di costruzione dell’immagine satanica e mitologica del Maresciallo è stato lungo, ed affidato in prevalenza a fonti orali; leggende passate di bocca in bocca tra le spaventate popolazioni della Bretagna, dell’Angiò e della Vandea ai cui confini si situavano i possedimenti di Gilles; eppure Barbablu nasce dalla singolare crasi della vera storia di Gilles con alcune leggende bretoni concernenti spettri viandanti, massacratori di mogli e altre situazioni macabre.
Il Maresciallo, per molti anni della sua esistenza, fu un Nobile coraggioso, di buona coscienza, servì sotto le armate di Giovanna d’Arco e durante la guerra contro gli Inglesi si distinse per ardore e coraggio; si dimostrò un buon governante, ed una persona decisamente raffinata, almeno per quelli che erano i parametri dell’epoca. Poi ad un certo punto, iniziò in lui un sensibile mutamento del carattere e varie ossessioni si impadronirono della sua anima; uso questo linguaggio, ossessioni ed anima, quasi disperso tra psichiatria e metafisica perché in effetti non ci è dato sapere cosa sia accaduto in lui, che cosa lo abbia spinto a gettarsi di peso nell’omicidio e nella Magia Nera. L’amore per Giovanna d’Arco, e il pensiero della sua atroce morte, come fattore scatenante sono adombrati da vari commentatori, ma sembrano più consoni ad una favola romantica virata in nero piuttosto che ad un tentativo storiografico.
Come ha scritto Ferrero, nel suo Barbablù, la violenza di Gilles è la violenza di un’epoca; quasi non vi sarebbe bisogno di cercare ciò che criminologicamente siamo usi definire “movente”. In un periodo in cui la brutalità omicida è di casa, in cui guerre, carestie ed epidemie falcidiano la popolazione, il comportamento assassino è riprovevole e riprovato ma non esecrato quanto potrebbe esserlo oggi.
Senza considerare il fatto che l’intera storia medievale è costellata di personaggi particolarmente crudeli, responsabili di gesta raccapriccianti, e che però per un motivo o per l’altro non sono mai assurti alla celebrità omicidiaria di Gilles, della Contessa Bathory o di Vlad Tepes; un esempio è il nostro Ezzelino da Romano, individuo che in quanto ad efferatezza non avrebbe avuto nulla da invidiare all’Impalatore dei Carpazi ma che per sua fortuna o sfortuna non trovò né un Perrault né un Bram Stoker.
Non so se esiste un preciso momento in cui il Signore di Rais esce dalla storia per entrare nel mito macabro, ma sembra abbastanza certo che l’interesse nutrito dai Surrealisti per le sue vicende abbia contributo in maniera decisiva a fare di lui una sfuggente ombra satanica; come già avevano fatto con Sade, i Surrealisti si interessano al lato puramente simbolico e di decadente bellezza. L’omicidio, il sangue, le violenze, i castelli, le torce tremule e le notti insonni, abbastanza materiale per generare un orrore corposo e provocatorio come tanto piaceva agli accoliti di Breton.
Ma se nel caso di Sade, i vari Paulhan, Klossowski, lo stesso Breton si erano accapigliati in ipotesi esegetiche sulla valenza della sua opera, lasciando il dato puramente biografico e storiografico in disparte, con Gilles si assiste ad un processo esattamente opposto; anche perché il Maresciallo non era un letterato, non aveva composto altra “opera” se non i cadaveri di centinaia di ragazzini e ragazzine uccisi per delitto sadico.Un punto di svolta è certo quello di Bataille, che raccoglie e con perizia certozina cataloga e ricompone ad unità coerente gli atti del processo contro Gilles. Il suo maestoso libro Il Processo di Gilles de Rais vide la luce nella Francia degli anni sessanta, e si presentò subito come una opera sconvolgente. Non erano mancati ovviamente casi analoghi, mi viene in mente soprattutto Gide, ma sinceramente la figura di Gilles e la mole dei crimini da lui commessi non ammette confronto. Non lo ammette nemmeno per il grado atroce di crudeltà.
Basta d’altronde dare una rapida scorsa alle pagine del libro di Bataille, per trovare descrizioni come la seguente; “per il suo ardore e diletto sessuale, aveva fatto prendere un così gran numero di fanciulli che non sapeva precisare con certezza. Aveva emesso il seme spermatico nel modo più colpevole sul ventre dei fanciulli, tanto prima quanto dopo la loro morte, e anche durante la loro morte. Aveva da solo o con i suoi complici inflitto tormenti inauditi con bastoni, pugnali e coltelli, aveva impiccato i piccoli ad una pertica o a una fune e quando li aveva visti languire aveva commesso con loro il vizio di sodomia” Una lunga, inesausta descrizione di orrori, un tunnel carnografico in cui assistiamo a sevizie, dolore, umiliazione, omicidi in serie, il tutto con una voluttà feroce e ammantata dall’aura satanica.
Sul quoziente esoterico, un ruolo decisivo fu rivestito dall’alchimista Francesco Prelati, fatto venire da Gilles appositamente da Firenze per tentare la disperata operazione del creare alchemicamente l’oro; d’altronde i vizi di Gilles costavano caro, doveva mantenere uno stuolo di complici e procacciatori, di servitori, soldati, e via dicendo, e progredendo nel vizio le sue casse tendevano ad assottigliarsi in maniera preoccupante.
Messi a confronto con le sue gesta, quasi tutti i più quotati serial killer contemporanei impallidiscono e sbiadiscono, ridotti al nulla. Quante siano state le vittime della furia scientifica del Maresciallo non è dato sapere, ma stime abbastanza precise situano il totale tra le trecento e le cinquecento unità. Cifre impensabili oggi, ma che all’epoca erano possibili anche in forza del prestigio, della potenza e della posizione nobiliare dello stesso Gilles. Temuto e rispettato, arroccato nel suo maniero, attorniato da una variopinta ed inquietante corte di lenoni, assassini professionisti e negromanti, Gilles era virtualmente intoccabile; ed è assai significativo che la sua fine, il suo arresto e il conseguente processo siano stati determinati dalle mire espansionistiche del Duca di Bretagna, col quale Gilles era in guerra da tempo, e non dai crimini di cui si era macchiato.Questi crimini, di cui è probabile che tutto si sapesse, gli vennero rinfacciati solo dopo, durante il lungo e penoso dibattimento, a cui accorsero migliaia di persone, anticipando di svariati secoli i nostri Erba e Cogne; ma a differenza di quanto avviene oggi, con masse di voyeur da true crime estranei ai fatti, all’epoca invece centinaia di spettatori erano parenti dei ragazzini massacrati. E fu certo per loro una beffa atroce, vedere che Gilles si pentiva e si contriva chiedendo di morire santo; una beffa degna di Sade, immaginare che sul patibolo moriva Gilles de Rais ed effettivamente nasceva Saint Gilles. Su come sia stato possibile che a un assassino del genere si sia consentita la Santità, aldilà delle mere convenienze nobiliari, tanto Ferrero quanto Bataille ci riportano le testimonianze dei preti che assicurarono la salvezza dell’anima del Condannato; e tutte queste testimonianze concordano sull’effettivo pentimento, un pentimento enorme, incredibile, una vera trasfigurazione che Ferrero imputa alle straordinarie arti simulatorie e mimetiche di Gilles.
Se torniamo al discorso introduttivo sulla scarsità di fonti, diventa paradossale osservare come l’opus di Bataille pubblicato in Italia nei primi anni ottanta da Guanda non sia mai stato più ripubblicato; anzi, non solo non se ne sono avute riedizioni o ristampe, ma nessuna casa editrice si è dimostrata lontanamente interessata all’acquisizione di quei diritti. Il libro in Italia non esiste più, appannaggio solo di collezionisti e biblioteche pubbliche.
Paradossale e offensivo ma comprensibile, soprattutto se consideriamo la consueta pruderie moralizzatrice che contraddistingue l’Italia. Eppure sarebbe bello che in questi anni contraddistinti da amore per la criminologia, scena del crimine, sangue e morte, tornasse alla luce anche il testo di Bataille, tanto per far intendere alle massaie amanti del true crime e di Cogne che l’orrore quello vero non è mai stato piacevole.

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