(Scatti fotografici di Alfredo Falvo, da "Lost Angels")
L’uomo è in ginocchio sull’asfalto, mentre sotto di lui una macchia di liquido rosso va allargandosi come un piccolo torrente nella stagione delle inondazioni - alle sue spalle un poliziotto che vediamo soltanto dalla cintola in giù, il manganello legato in vita, una radio nella mano guantata, probabilmente ha il busto voltato verso la strada nell’approssimativo tentativo di allontanare i (pochi) curiosi.
Il soggetto dello scatto fotografico è un ispanico coi capelli arruffati, l’espressione stranita e un polmone perforato, uno squarcio longitudinale aperto sul petto da un colpo secco di coltello – la lama è penetrata in profondità ed ecco quel che ci rimane, un immigrato-cristo deposto in evidente stato di shock, il suo sguardo vacuo, perso, sinuosamente languido supera perfino la sofferenza che un simile taglio provoca, supera di un balzo ,fino ad innalzarsi sopra le vette della vita, tutto il grigiore catramato dello Skid Row.
Niente rock n roll nel nome – un quartiere dormitorio di planimetria scombussolata, nel ventre addormentato del serpente che va sotto il nome di Los Angeles, la città degli Angeli. Ma qui gli angeli hanno nella migliore delle ipotesi le braccia tatuate e bucate dagli aghi, costipazione tossica e tanfo di decomposizione, zombies pregni di una non-morte capitalisticamente accettata, invisibili persino alla dimensione della carità; ex veterani del Vietnam convenientemente abbandonati a loro stessi nel nome di Chuck Norris e Rambo, la revanche in celluloide dell’unica guerra persa – non sta bene rammentare con la propria presenza fisica il senso della sconfitta, per questo i reduci fatti di crack e di eroina, con addosso tatuaggi dozzinali, pustole, pidocchi e le giacche con cui hanno combattuto decenni prima, sballonzolano vagolano e vagabondano tra sacchi della spazzatura, campi da basket, ruderi abitativi e falò.
L’architettura è un residuo politicamente avariato di 1997 Fuga da New York, assembramenti cancerosi di edilizia popolare ed alberghi un tempo rinomati ed oggi ridotti ad ostelli per barboni e falliti – il Million Dollar Hotel, quello del film di Wenders/Bono, l’apoteosi della ipocrisia americana, pigione anticipata per l’intero mese, i nomadi non hanno soldi per 30 giorni così si riducono a pernottare per due settimane e poi le due settimane successive si riversano come scarafaggi per le strade o nelle aule fatiscenti dei centri per la carità, che di tanto in tanto si degnano di aprire i battenti.
Lo Skid Row è un campo di concentramento in cui tubercolosi e AIDS fanno il lavoro sporco, eliminando i più deboli, i più malnutriti, i più malati – scene di desolazione senza precedenti, un grattacielo crollato aperto in due come una grotta dentro cui vengono “ospitati” centinaia di barboni, stesi su brandine. Una sorta di ospedale da campo tra lucori arancioni di lampioni e neon morenti, carne umana che va frollandosi nel caldo losangelino mentre attorno lontani ma non troppo i ricchi si arroccano in assetto di autodifesa sulle colline dorate.
Ma questo non è un incubo lynchano, non sono le carpenteriane brigate della morte, lo Skid Row è un ghetto purulento dentro cui fermentano odori, umori, sapori, e il lezzo acre della sconfitta esistenziale.
Puttane senza denti vendono la loro fica malata, mentre un prete regala due dollari ai barboni in fila, file vorticose e composte come quelle per andare a vedere le partite dei Lakers o i funerali di Michael Jackson ma senza paillettes e lustrini– questa gente è morta, innegabilmente. Non importa il fatto che si muovano, che brancolino nel buio, che si disperino, che piangano, che maledicano il cielo cremisi al tramonto agitando i pugni scarnificati da coltellate e dalla denutrizione, sono morti che camminano, mandati avanti dalla mera fisiologia del capitalismo multinazionale.
Bush e Obama qui più che nomi sono semplicemente echi lontani, esotici, il clamore e le esultanze per il primo presidente di colore non hanno mai attecchito perché i fighetti che un tempo chiedevano la liberazione di Nelson Mandela ed oggi si compiacciono per l’elezione di Obama non osano mettere piede nello Skid Row – d’altronde la stessa polizia ha le sue difficoltà, e quando interviene lo fa in forze e col pugno di ferro. Il tasso di omicidi è altissimo, e si può essere ammazzati persino per i resti di un cheeseburger rinvenuti tra la spazzatura, ogni tanto il silenzio è interrotto dalle sirene delle ambulanze, qualche ferito, qualche collassato, qualche tossico in overdose, un matto corvo nero di eco artaudiana urlacchia le sue insopportabili verità gridandole in faccia al mondo – uno scatto impressionante di un tale che viene portato via schiumante in overdose dalla sua stanza dentro il Million Dollar Hotel, alla faccia di Bono e delle campagne stellari pro-Terzo Mondo.
Rockstar troppo impegnate a salvare il terzo mondo, si sono dimenticate che una appendice della miseria universale se la ritrovano sotto casa – questi uomini annientati, cioraniani inni distrutti alla deriva nel nero della notte, maledicono la loro condizione di cittadini americani, d’altronde chi mai crederebbe alla esistenza di questo piccolo inferno che ricorda Calcutta, Rio o le città peggio messe dell’Africa proprio a pochi chilometri da Malibu e da Hollywood ?
Si produce compassione su scala industriale per un etiope, per un senegalese, ma non certo per un americano – lo stesso Governo centrale americano preferirebbe farsi annientare piuttosto che ammettere il dramma senza fine e senza tempo che gli abitanti dello Skid Row sono chiamati a sperimentare sulla loro pelle scabbiosa.
Qui non entrano i turisti, i curiosi, gli approfondimenti di MTV, i Beach Boys e le epopee hippies sono disperse lungo eoni mai materializzati; un ecosistema sotto-urbano di lumpenproletariat finito, i rammendi, la tristezza, le crisi depressive che portano al suicidio tragico e cantato, voli post-pindarici dall’ultimo piano verso la liberazione del contatto con l’asfalto, poltiglie macilente di intestini srotolati mentre attorno vorticano gli zombies alla ricerca di un graal tossico.
Case del crack e scantinati per vene recise, probabilmente molti degli abitanti che la sera si riscaldano davanti abborracciate palizzate e falò cupibondi non sanno nemmeno come sia fatto il sole, escono solo di notte per bearsi dell’utero amorevole e nero della tenebra, per sfuggire ai lampeggianti blu e persino a coloro i quali dicono, a parole, di voler aiutare. Qui non esiste dignità che una certa quantità di denaro non possa infrangere, scalino più basso della gerarchia della prostituzione, volti rugosi, braccia incartapecorite, indumenti dozzinali e sporchi, nessuna sensualità, scopate vendute per barboni e clienti tagliati fuori dal circuito della prostituzione che conta.
Disneyland-Dachau sola andata – i liberatori si sono persi per strada questa volta, il loro paradiso evidentemente può attendere.Gli abitanti dello Skid Row, loro no.
Bush e Obama qui più che nomi sono semplicemente echi lontani, esotici, il clamore e le esultanze per il primo presidente di colore non hanno mai attecchito perché i fighetti che un tempo chiedevano la liberazione di Nelson Mandela ed oggi si compiacciono per l’elezione di Obama non osano mettere piede nello Skid Row – d’altronde la stessa polizia ha le sue difficoltà, e quando interviene lo fa in forze e col pugno di ferro. Il tasso di omicidi è altissimo, e si può essere ammazzati persino per i resti di un cheeseburger rinvenuti tra la spazzatura, ogni tanto il silenzio è interrotto dalle sirene delle ambulanze, qualche ferito, qualche collassato, qualche tossico in overdose, un matto corvo nero di eco artaudiana urlacchia le sue insopportabili verità gridandole in faccia al mondo – uno scatto impressionante di un tale che viene portato via schiumante in overdose dalla sua stanza dentro il Million Dollar Hotel, alla faccia di Bono e delle campagne stellari pro-Terzo Mondo.
Rockstar troppo impegnate a salvare il terzo mondo, si sono dimenticate che una appendice della miseria universale se la ritrovano sotto casa – questi uomini annientati, cioraniani inni distrutti alla deriva nel nero della notte, maledicono la loro condizione di cittadini americani, d’altronde chi mai crederebbe alla esistenza di questo piccolo inferno che ricorda Calcutta, Rio o le città peggio messe dell’Africa proprio a pochi chilometri da Malibu e da Hollywood ?
Si produce compassione su scala industriale per un etiope, per un senegalese, ma non certo per un americano – lo stesso Governo centrale americano preferirebbe farsi annientare piuttosto che ammettere il dramma senza fine e senza tempo che gli abitanti dello Skid Row sono chiamati a sperimentare sulla loro pelle scabbiosa.
Qui non entrano i turisti, i curiosi, gli approfondimenti di MTV, i Beach Boys e le epopee hippies sono disperse lungo eoni mai materializzati; un ecosistema sotto-urbano di lumpenproletariat finito, i rammendi, la tristezza, le crisi depressive che portano al suicidio tragico e cantato, voli post-pindarici dall’ultimo piano verso la liberazione del contatto con l’asfalto, poltiglie macilente di intestini srotolati mentre attorno vorticano gli zombies alla ricerca di un graal tossico.
Case del crack e scantinati per vene recise, probabilmente molti degli abitanti che la sera si riscaldano davanti abborracciate palizzate e falò cupibondi non sanno nemmeno come sia fatto il sole, escono solo di notte per bearsi dell’utero amorevole e nero della tenebra, per sfuggire ai lampeggianti blu e persino a coloro i quali dicono, a parole, di voler aiutare. Qui non esiste dignità che una certa quantità di denaro non possa infrangere, scalino più basso della gerarchia della prostituzione, volti rugosi, braccia incartapecorite, indumenti dozzinali e sporchi, nessuna sensualità, scopate vendute per barboni e clienti tagliati fuori dal circuito della prostituzione che conta.
Disneyland-Dachau sola andata – i liberatori si sono persi per strada questa volta, il loro paradiso evidentemente può attendere.Gli abitanti dello Skid Row, loro no.
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