Uno dei principali tabù culturali della società contemporanea è senza ombra di dubbio la pedofilia - sono estremamente rare le analisi lucide, non gridate nè sensazionalistiche che affrontino questo delicato e scottante argomento. Eppure la prima, grande sorpresa emerge dal termine stesso, dato che una definizione univoca della pedofilia non esiste.
Aldilà delle questioni meramente nominali, un autorevole studioso, Cosimo Schinaia, tra i primi in Italia ad aver approntato una task-force di studiosi, analisti, psicoterapeuti dedicatisi alla analisi e al trattamento di pedofili, ha messo brillantemente in luce come non sia corretto parlare di pedofilia al singolare, ma di come il termine debba essere declinato al plurale.
Pedofilie.
Per lungo tempo tanto la psichiatria quanto la criminologia indulgendo in una sorta di curiosa pruderie (frutto di un equivoco freudiano; quello del bambino perverso polimorfo) hanno evitato qualunque studio serio ed organico, riprendendo il tema pedofilico come surrogato della sodomia. Non solo, ma sempre Freud in due suoi testi decisamente controversi (“Dostoevskji e il Parricidio” e soprattutto “Introduzione al Narcisismo”), e dopo aver fondamentalmente rinnegato la sua originaria impostazione, vede nella accusa di pedofilia un costrutto narcisistico del bambino stesso – questo ha portato gli psichiatri freudiani a sottovalutare in modo enorme la portata del tema o a relegarla al rango di pederastia come sinonimo strutturale del rapporto omosessuale.
In realtà la pederastia classico-ellenica era propriamente quel che noi intendiamo per pedofilia, relazione minore-adulto con tentativo di iniziazione sessuale e culturale (la paidika socratica…ma non solo, basta considerare che il diritto penale ateniese arrivava a considerare lo stesso fenomeno o estremamente formativo oppure estremamente dannoso, la discriminante risiedendo nella condizione di insegnante/pedagogo dell’adulto, cfr. Cantarella “Secondo Natura”), e si trattava eminentemente di pedofilia omosessuale la qual cosa ha fatto scivolare il termine pederastia verso l’omosessualità tout court.
Il “problema” freudiano si è riverberato nella trattatistica psichiatrica, basti pensare che su decine e decine di trattati, manuali, opere monografiche sulle parafilie il termine pedofilia compare solo in tre casi.
Ma lo stesso Krafft-Ebing, a cui Freud si era ispirato per le parti di sessuologia, aveva derubricato la pedofilia, visto che riteneva esservi perversioni ben peggiori come la necrofilia. Questo ha comportato un ritardo mostruoso nell’approccio al tema/problema.
Ad ogni modo per tornare all’assunto di Schinaia, condiviso da molti terapeuti (basta leggere i saggi che compongono il volume “Pedofilia – stato dell’arte sulle perversioni pedosessuali” a cura di Marco Casonato), la declinazione del termine deve essere necessariamente al plurale; perché non esiste una sola pedofilia, ma una molteplicità.
La prima distinzione operata in criminologia è tra pedofilia tout court e perversione pedofila (quella sconfinante nell’abuso) ; tecnicamente la pedofilia (la cui etimologia significa “amore per i bambini”) non implica l’atto sessuale, il quale può essere sublimato dalla mente del pedofilo senza alcuna traccia di contatto.
La perversione pedofila invece, nelle sue varianti (semplice, sadica, omicida), sfocia necessariamente nell’abuso e nei comportamenti criminali di cui leggiamo.
Da cosa nasce la mente pedofila? Fondamentalmente non necessariamente, come sentiamo dire, da abusi ricevuti nell’infanzia – a livello definitorio si tratta di una cristallizzazione narcisistica che fa regredire la mente allo stadio infantile, per cui ci si può relazionare soltanto asimmetricamente con chi è meno formato e strutturato. Più infantile-narcisistico sarà il pedofilo, più piccolo sarà l’oggetto del suo desiderio; tuttavia questo non implica che ci debba essere un relazionarsi sessualmente orientato.
Per lungo tempo la relazione non sessuale (ma che oggi comunque riterremmo morbosa) tra adulto e minore/bambino è stata tollerata e vista come elemento necessitato in alcuni circoli - il caso più eclatante è certamente quello di Lewis Carroll, il matematico autore di Alice nel Paese delle Meraviglie, riconosciuto estimatore di nudi di bambine che in molti casi realizzava egli stesso. La sua modella preferita, Alice Liddell, contribuirà a dare il titolo all’opera letteraria per cui oggi Carroll è maggiormente conosciuto.
Ma l’intera storia della fotografia è costellata di casi simili, anzi si potrebbe dire che la genesi della fotografia si accompagna alla pedofilia, penso ai casi di Oscar Gustave Rejlander, considerato il padre della moderna fotografia, e di Julia Margaret Cameron.
Nessuno dei tre citati ha mai avuto rapporti di abuso/sessuali con i minori utilizzati come soggetti per le loro foto.
Ma anche in letteratura le cose non stavano poi in modo tanto diverso se si considera che il protagonista di Morte a Venezia, Aschenbach, è un pedofilo raffinato ed estetizzante, Stavroghin il protagonista de I Demoni di Dostoevskji è un assassino sadico che confessa con piacere l’omicidio di un ragazzino, ovviamente l’Humbert Humbert nabokovoviano, senza contare nelle arti figurative Hans Bellmer, Balthus (fratello di Pierre Klossowski) – ma da quando, quindi la pedofilia diventa un panico sociale ?
La criminalizzazione di massa della relazione adulto-minore prende avvio negli anni trenta, sulla scia di alcuni fraintendimenti psicanalitici (Kraepelin teorizza ad esempio che il pedofilo sia uno psicotico grave…la psicosi comporta e porta ad atti di violenza quasi meccanici, da qui ne consegue che la pedofilia è considerata sempre foriera di violenza) e soprattutto dalla emersione prepotente della riconsiderazione critica del passato, frutto in una certa misura del pensiero della crisi (lo stesso Freud ne “Il Disagio della Civiltà” si lascia andare a considerazioni contraddittorie rispetto alla sua precedente produzione.
Del 1932 uno studio sulla “pedofilia vittoriana” in cui i fotografi che ho citato prima vengono dipinti per la prima volta come “mostri”.
Il “mostro pedofilo” inizia a diventare un paradigma di un più esteso panico sociale – i regimi totalitari, sul versante criminologico, ritenendo il delitto una estrinsecazione borghese ( e quelli a fine di piacere peggio ancora…) abdicheranno allo studio del fenomeno, tanto che il Terzo Reich metterà al bando alcuni testi (anche perché redatti da psichiatri ebrei, come Der Sadist di Berg, sul Mostro di Dusseldorf e Storia di un Lupo Mannaro di Lessing).
Ma a dire il vero le sedicenti democrazie non andranno tanto più in là se si considera che il rapporto Kinsey sulla sessualità negli USA si guardò bene dal prendere in considerazione la pederastia…
Ad un certo punto poi nasce una ulteriore distorsione; la pedofilia diventa funzionale al mantenimento dello status quo.
Diventa “normalizzazione” in senso foucaultiano; si crea il mito negativo, questo mito genera panico e terrore, la proba cittadinanza ne sarà giustamente spaventata e chiederà aiuto allo Status Quo.
Lo stesso Foucault non a caso è ritenuto, a torto o a ragione, il primo organico teorico dell’orgoglio pedofilo (anche se la espressione è eccessiva e decisamente fuorviante), prevalentemente nei suoi saggi sulla storia della sessualità ma soprattutto in La Loi de la Pudeur, pubblicato in Recherces nel 1979, laddove il filosofo francese ricostruisce un caso giudiziario in cui un contadino avrebbe “carezzato” una ragazzina e da cui nacque un infamante processo giudiziario.
Curioso notare come si dica spesso che la pedofilia è un fenomeno in allarmante crescita quando invece gli studiosi del settore devono ammettere candidamente che non c’è nessun aumento, ma al massimo è aumentata la percezione che abbiamo della incombenza pedofila (Miller “Il bambino inascoltato”) nella società contemporanea.
Il crimine pedofilo in realtà non è né in aumento né in diminuzione ma: innanzitutto è metodologicamente scorretto considerare la pedofilia solamente come un “crimine” nel senso giuridico del termine.
Perché questo postulerebbe un approccio soltanto tecnico-repressivo del tutto inutile – visto che il pedofilo non ha alcuna cognizione del commettere un crimine dal punto di vista sociale, può avere rimorsi dovuti alla criminalizzazione e alla percezione di fare qualcosa di “ingiusto” ma in una ottica di formazione relazionale.
Il pedofilo deve essere eventualmente seguito, trattato, non abbandonato e soprattutto non destinato alla morte sociale; la morte sociale implica che il pedofilo estremizzi il suo vissuto e si spinga alla commissione di atti delittuosi spesso omicidiari.
Quello che è davvero in aumento è il numero delle campagne sensazionalistiche che “vendono” la pedofilia come enorme industria internazionale. in Italia il primo tentativo di seguire questa strada si ha nel 1998 con il libro I Santi Innocenti di Claudio Camarca – scrittura emozionale, orrorifica e non tecnica che mira a presentare il “mostro” e a sbatterlo in prima pagina. Questi libri non vogliono informare ma solleticare gli istinti repressivi più bassi; non a caso la pedofilia in questi libri è sempre presentata a braccetto con altri due enormi tabù, il satanismo e il nazionalsocialismo.
La legislazione italiana non aiuta, anzi; sembra redatta sull’onda del sensazionalismo emotivo.
La legge 269/1998, che è la normativa quadro in tema di sfruttamento sessuale di minori e detenzione di materiale pedopornografico, commina sanzioni draconiane senza nemmeno peritarsi a definire i termini pornografia e pedofilia, tanto che come fu messo in luce in vari convegni la sua applicazione letterale potrebbe portare in galera persino un genitore che conservi sul pc le foto del bimbo a cui ha fatto il bagnetto…ma il legislatore si è spinto oltre; il 25 gennaio del 2006 ha fatto un addendum normativo all’art. 600-quater del codice penale, stabilendo il terrificante reato di detenzione di immagini di pedopornografia “virtuale”; l’articolo è una gemma di ipocrisia giuridica, visto che non punisce la detenzione di foto o di materiali reali, ma soltanto di immagini disegnate, in morphing e comunque finte...alla stregua di questa norma, chi ha un Balthus nella sua collezione pittorica o un libro di disegni di Bellmer sarebbe passibile di incriminazione.