Ombroso, scontroso, megalomane come si conviene a qualunque scrittore (abituato da sempre a considerarsi strutturalmente ed ontologicamente come un paria di genio, un "rifiuto sociale" di barthesiana memoria), Dante Virgili ha rappresentato per la letteratura italiana una stella cometa dalla scia sagittale carnicina e grondante sangue, ben più maledetto ed incuneato nella nicchia della non-visibilità di un Dino Campana.
Il "maudit" spesso è solo un decadente borghese annoiato che come lo scambista del sabato sera fa gargarismi con termini come "estremismo" e "trasgressione" nel compiaciuto mantra dell'autoconvincimento, tenendosi fintamente lontano dalla massa incarnata nel borbottio sordo e caotico del mainstream ma poi nei fatti, facta concludentia vien da dire, si immerge nella becera omologazione esistenziale; Virgili al contrario, convinto di diventare famoso, ricco, e di poter restaurare la sua visione anti-umana e nichilista finì per attraversare la storia delle nostre lettere del tutto inosservato, solitario, semi-recluso come un Henry Darger prestato alla nostalgia devastante, preso a scrivere, roso dal verme della frustrazione, soldato in territorio nemico circondato dalle dinamiche incomprensibili di una assoluta ottusità...
Il primo libro di Virgili, La Distruzione, è una gemma; una piccola purulenta gemma di decostruzione linguistica che unisce in deviata simbiosi le funamboliche incursioni di un Guyotat con la vivida gelida prosa di un Sade prestato alla gloria crociuncinata dei pleniluni di Bayreuth...giudicato (o accusato) come l'unico scrittore autenticamente filo-nazista delle nostre lettere post-belliche, Virgili è uno straordinario cantore di mondi in fiamme. Celine, certo, Celine che ad esempio Saviano in una sua bella e sorprendente recensione cita come cardine ed elemento nodale, ma soprattutto a mio avviso Drieu La Rochelle e Albert Caraco; del primo, la disperazione algida, metaforicamente ipostatizzata in attimi che richiedono, spenglerianamente, delle decisioni, fuoco fatuo echeggiato dal suicidio come liberazione e dimostrazione della libertà, del secondo l'aderenza ad una visione malinconicamente nichilista, il furore di Breviario del Caos e le strazianti litanie di La Mia Confessione.
L'opera di Virgili è una piccola sorpresa; difficilmente si potrebbe pensare che la nostra narrrativa, troppo protesa a contemplarsi il socialmente rispettabile ombelico, abbia partorito una figura tanto sinistra e lacerante. Un autore capace di assommare nazismo, sadismo, visioni desolanti di morte e dolore atavico in un quadro di rara sofferenza emotiva, giustapponendo il tutt con una accurata sperimentazione linguistica; e dire che la stessa pubblicazione del libro divenne una storia surreale, intensa, degna di essere raccontata, tanto che essa stessa è divenuta un libro Cronaca della fine di Antonio Franchini, scrittore pregevole ed editor della Mondadori (il quale si trovò a vivere la paradossale situazione di rifiutare la pubblicazione del secondo libro di Virgili, Metodo della Sopravvivenza; ad oggi entrambi i testi sono editi da PeQuod, dopo l'oblio mondadoriano protrattosi per decenni). Franchini ripercorre la storia di Virgili, il rapporto conflittuale ma quasi socratico instaurato dall'autore con un gruppo di redattori e funzionari della Mondadori, le liti, le discussioni, la frustrazione patita dall'autore convinto di poter divenire un autore di successo ed invece destinato all'anonimato in vita (esattamente come Caraco).
Tanto Virgili quanto Caraco aderiscono disperatamente a ciò che scrivono, non fingono, non pongono in essere sceneggiature plastificate, non si crogiolano nel maudit a tutti i costi, non indulgono nel mero shock; sono acuti, brillanti, e crudeli.
Proprio come dovrebbe essere.