domenica 2 dicembre 2007

La donna di Bangkok




Prima che LE IENE rendessero popolare intervistare con spirito sofferente ed empatico le puttane di strada, trasformandole in maitre a penser ed osservatrici privilegiate di questa nostra società, e prima ancora che William T Vollman si intruppasse tra i bordelli pulciosi del porto di Saigon e tra i neon scintillanti di Patpong per riscattare l'inutile esistenza di una prostituta minorenne ( e scriverne poi convenientemente sui principali magazine statunitensi e farne poetica per qualche suo libro avant-pop ), l'industria del sesso conosceva solo fugaci momenti di gloria mediatica devoluta a cronaca nera, rinvenimento di cadaveri, storie di deportazioni, schiavitù.
Poi la pornografia è stata miracolosamente scoperta e sdoganata, salvata dall'inferno underground in cui era stata relegata, Siffredi è emerso nei film della Breillat, Selen alle prese con la dogmatica dei reality show, Moana Pozzi assurta a celebrità postuma e glorificata nei libri, Eva Henger ed il Gabibbo. Un quoziente di merceologia sessuale si è insinuato nella coscienza collettiva, ed è stato funzionale a scardinare le residue resistenze psichiche e culturali, di modo che lunghi servizi e reportage sulle puttane ( il settore più sommerso e rimosso della sex industry ) potessero inondare i palinsesti. Una volta infatti che la gente si era assuefatta a tettone, culi, cazzi, linguaggi scurrili, il passo non è stato poi molto lungo.
Anche perchè, ammettiamolo, nella percezione comune tra pornografia e prostituzione non esiste una grande differenza, ed io stesso non mi sentirei di porre troppo in dubbio la sussistenza di un nesso tra le due cose.
Certamente, a sentire una pornostar intervistata troverete sempre dei risibili ed offensivi sottesi filosofici, sentirete parlare di scelte di vita ( scelte consapevoli, sia ben chiaro ), di mondo dorato e fantastico, di trasgressione, un entusiasmo naive, talmente plastificato da disturbare. Ma, non è forse lo stesso posticcio entusiasmo delle puttane che per fermarvi e convincervi a farvi un giretto con loro vi mostrano le tette ? Lo stesso genere di gioia, indotta da ricatti e degrado morale e deprivazione emotiva e pestaggi fisici, che costringe, letteralmente, le prostitute ad approcciarvi con fare disinibito e aggressivo, linguaggio da trivio e modi squisitamente pornografici ?
Nessuno, IENE e William Vollman a parte, crede che queste donne possiedano il benchè minimo fascino. Nessun carisma, nessun valore, nessuna dignità. L'interesse nasce nel constatare come questo algido supermarket della carne sia in realtà un mercato di esistenze e vite infrante, che potete acquistare comodamente tramite dvd o scopando una albanese morta di fame.
Le pornostar sono puttane esattamente nella stessa misura in cui lo sono le donne di strada, ma non solo per il cartellino col prezzo che recano appiccicato ai loro pingui quarti di carne; entrambe vengono da un uguale background di miseria, di confusione, di promesse fumose, e stanno lì a vendersi, ad autoassegnarsi un trito valore esistenziale, a credere di poter avere una prospettiva o un futuro radioso ( o, un futuro tout court ).
L'intervistatore delle IENE che cerca di mettere la puttana a suo agio durante l'intervista parte dal presupposto che la donna sia interessata ad avere un contatto umano che prescinda dal dover spompinare un vecchio pervertito, e così Vollman e le sue idiote prese di posizione tra i bordelli e le saune tailandesi. Il contatto umano non si esaurisce nello scambiare quattro chiacchiere sul mestiere di prostituta, che è, e questo tanto LE IENE quanto Vollman lo sanno bene, una ulteriore mercificazione. Ma trascende la misera situazione umana della donna, e trasvola direttamente nel Limbo delle promesse non mantenute. Perchè una volta che la telecamera sarà spenta e l'intervista esaurita, ed il geniale intervistatore se ne sarà tornato a casetta, lei, la miserabile puttana, continuerà a vendersi, a soffrire, presumibilmente a fare una fine orrenda e divenire un grigio numero nelle caselle statistiche sul crimine. E la puttana salvata e redenta da Vollman, per fini letterari, che prospettive avrà ? Diventare una lady americana sputtanata, letteralmente, su ogni tabloid dal suo salvatore ? Leccarsi come una cagna ferita le cicatrici ancora sanguinanti e le memorie orrende del dolore e delle violenze ?
In GOOD WOMAN OF BANGKOK, documentario artistico ed umanitario che precede gli scaltri tentativi sopra enunciati, la prostituta Aoi di cui il regista si innamora sembra ineluttabilmente condannata al fato della miseria di strada; nonostante lui le dica chiaramente di amarla, la riverisca, la colmi di attenzioni e di affetto ( il lettore mi perdonerà se trovo proprio in questo l'aspetto più disgustoso del film ) , e addirittura le compri un appezzamento di terra da coltivare a riso ( per garantirle un futuro contadino lontano dalla sex industry ), quando poi dopo un anno di lontananza dalla Tailandia torna dove la trova ? A battere in una sauna particolarmente disgustosa di Bangkok . Il regista è giustamente sconvolto, ma conserva sufficiente raziocinio per continuare a tenere il dito premuto sul tasto play della sua videocamera e garantirci così tutto lo struggente pathos del nuovo incontro.
Fosse roba di fantasia, sarebbe un finale da soap opera. Sfortunatamente per i protagonisti, è tutto vero.

Nessun commento: