L’afa romana è stata testimone dell’ennesima bizzarria politico-sessuale, l’assalto al cielo portato dai praticanti di BDSM i quali evidentemente stufi delle discriminazioni subite nella società italiana si sono accodati alla comunità gay; senza forconi né baluginanti fiaccole, ma con più prosaici completi di cuoio addosso e frustini neri stretti in pugno i bdsmers hanno scalato la loro personale Bastiglia, in uno slancio assoluto di devozione ai principii egualitari del 1789 francese.
E’ da tempo che segnali sempre più nefandi ci arrivano dalla sedicente comunità dei praticanti di BDSM – convegni, workshop sul modello di quelli americani, tendenza all’associazionismo culturale e appunto rivendicativo, libri, saggi, attenzione che vira dall’aspetto sessuale a quello controculturale, una preoccupante caduta nel baratro del presunto antagonismo urbano per cui il BDSM diventa una trasgressione al vivere civile, borghese e stereotipato. Continuo a ritenere, come già faceva il R. Vaneigem de Il Libro dei Piaceri, che la trasgressione dei tabù sia il modello principale di reiterazione dello status quo capitalistico, valvola di sfogo facile e plastica per chi annoiato dalla routine potrebbe cominciare a pensare seriamente che non viviamo nel migliore dei mondi possibili – ed ecco allora l’anestetico dei sensi, la morfina dei genitali e delle sinapsi, non la pratica BDSM in sé quanto l’orripilante sovrastruttura intellettualistica che va insinuandosi al suo interno.
Hanno rivendicazioni da fare questi emuli nerovestiti del maggio francese - e se una volta al potere doveva salire l’immaginazione, adesso probabilmente ritengono più confacente allo spirito dei tempi il flogger; eccoci servite persino analisi psicosessualsociologiche di Abu Ghraib e delle torture CIA, il quoziente di liberazione sessuale della vittoria di Obama, e quindi la possibilità di evitare il ripetersi di quegli abusi polizieschi se la società accettasse ed abbracciasse le libere pratiche sessuali “alternative”. Ma se questa gente posasse per un attimo il libro, uno qualsiasi, di W. Reich e si concentrasse più acutamente sul senso interiore ed intrinseco delle pratiche BDSM capirebbe che spirito intellettuale ed idiozia quando parliamo di sesso vanno a braccetto; “molto spesso maschere di cuoio, fruste e attrezzi vari fanno apparire i praticanti di sadomaso assolutamente ridicoli se pensiamo che essi sono consenzienti” ha scritto Peter Sotos.
Non c’è dubbio che l’esibizione di una qualche consapevolezza politica sia un dolce nettare in grado di ripulire parecchie coscienze; non una liberazione verso e per l’esterno, ma una placida accettazione di se stessi perché si è intimamente troppo borghesi, troppo stupidi e troppo insicuri e si finisce per provare vergogna quando ci si confronta coi propri piaceri. Li si vive in modo colpevole, preferendo arricchirli ed abbellirli con formule politiche ed intellettuali che ci rendano meno “sporchi”.
Ed allora ecco scattare la rivendicazione sociale per potersi dire pienamente integrati e socialmente consapevoli pur se i sabati sera invece che a giocare a calcetto si va in qualche dungeon abbigliati come il Macina di “8mm-delitto a luci rosse”; e così nel paradiso carnale di muffe e lucori ambrati, tra gemiti, sussurri e grida, e nel fervore escatologico delle frustate e del dolore è tutto un susseguirsi (metaforico, ma nemmeno tanto...) di “salve ragioniere”, “buonasera avvocato”, spogliatoio, salette appartate e poi via, una volta fuori in giacca e cravatta, prole da educare, macchina e ferie agostane assieme al vicino di casa in qualche villaggio turistico Valtour.
L’integrazione sessuale significa normalizzazione, non normalità; accodarsi alle rivendicazioni sociali avrebbe un senso se esistesse un pericolo di criminalizzazione ed allora si decidesse in maniera organica di autotutelarsi per evitare la galera o la morte sociale. D’altronde i Gay Pride (oggi solo Pride) nascono da un episodio ben preciso e che con l’integrazione degli stili di vita ha poco a che vedere, se non addirittura nulla. E nemmeno possiamo dire che il BDSM sia un orientamento sessuale come lo è l’omosessualità; perché se lo fosse molti dovrebbero ammettere, ma sono certo non farebbe loro piacere, che il vero bdsmer sarebbe Peter Kurten o Ted Bundy e non un panciuto Master di Frosinone desideroso di sperimentare epifanie in cuoio.
Il BDSM è un gioco di matrice sessuale, può essere uno stile di vita ma non va oltre questo; altrimenti dovremmo rimetterci a considerare quelle quattro paroline che ne compongono l’acronimo ed interrogarci sul significato di masochismo e sadismo. Dovremmo prendere un Lawrence Bittaker, i suoi lussuriosi piaceri di dominio totale, tortura estrema e uccisione di teenager e confrontarlo con una qualche attempata casalinga che dopo aver martoriato la schiena del suo slave cambia tono e gli dice “caro non mi ero accorta che è così tardi, scendi a prendermi il pane”.
Il confronto non regge. Se esistesse al mondo un barlume di dignità nemmeno dovrebbe essere tentato. Ma evidentemente il senso della misura, che non è limitazione ma comprensione della propria natura (e che come tale potrebbe aiutare a godere molto di più), non abita più qui.
Ed ecco quindi le associazioni esponenziali di maritini a chiappe di fuori, e donnine in completi leather, le si vede accapigliarsi per la primogenitura dell’idea di creare una comunità, hanno uno statuto giuridicamente vincolante, degli organi di autocontrollo, forse pure di arbitrato…viene da chiedersi, ci sarà pure la necessità di registrazione del contratto master-slave? E in caso di inadempimento contrattuale quale sarà il foro competente? Qualche colpo di flogger in più rispetto a quanto pattuito determina l’insorgere di una responsabilità contrattuale o, nel caso si fosse solo alle prime timide scaramucce, di una responsabilità precontrattuale? Dai preliminari sessuali al preliminare del contratto…e la safe-word ha natura di negozio giuridico recettizio o meno ? Sono domande inquietanti che, ne sono certo, popoleranno le già molto popolose aule di giurisprudenza di una nuova stirpe di studenti. D’altronde non stupisce; chi studia legge già di suo non può che essere o un masochista o un sadico.
Queste associazioni cosa chiedono? Rispetto, evidentemente. Ma rispetto di cosa ? Si intende per rispetto il fatto che mia madre potrebbe andare in salumeria e tra due etti di salame e uno di fesa di tacchino mettersi a colloquiare amorevolmente di scudisciate con la sua vicina di fila senza che nessuno abbia da ridire ? Questa sarebbe la normalità tanto agognata ?
Anche perché oggettivamente non ricordo di retate contro sadomasochisti, omicidi di sadomasochisti e via dicendo (i problemi legati invece alla realizzazione di video e rivste si inseriscono nell’altro contesto della pornografia e della oscenità) – e il lamentarsi perché non si può parlare di nerbate e serate spese nei locali SM mentre si redige il bilancio consolidato in azienda scusatemi ma non mi sembra una grande conquista sociale, anzi mi pare piuttosto un modo per rendere il tutto più grigio, insipido, borghese. Un modo per gettare le perle ai porci.
La prima contestazione che viene mossa a questa mia impostazione è tipicamente egualitaria e progressista; tutti hanno diritto di sperimentare forme alternative di sessualità, quindi è giusto e lecito che se ne parli pubblicamente, che si sviluppi una comunità in grado di guidare passo passo chi si avvicina per la prima volta. Naturalmente questa impostazione potrebbe avere una sua qualche serietà se stessimo parlando di diritti fondamentali per la persona (ma nella mia prospettiva non esistono nemmeno quelli, come non esistono nemmeno i sedicenti diritti umani…rimando a tal proposito alla lettura di Indagine sui diritti dell'uomo di Stefano Vaj, per una piena confutazione della ridicola categoria dei diritti umani), non di piaceri sessuali (piaceri, non diritti !) che sono rigorosamente individuali; non avrei mai potuto pensare che l’ultima frontiera del progressismo sarebbe stata la collettivizzazione dell’orgasmo, difficile da pensare soprattutto perché stiamo parlando di sedicenti libertari.
Ma in fondo se il senso della comunità BDSM fosse solo quello di fornire consigli, confrontare esperienze, propiziare incontri sarebbe qualcosa di accettabile; il problema invece è proprio questa parvenza totalizzante di appartenenza ad un club giacobino. L’errore strutturale di questa impostazione sta nel fatto che il BDSM ha a che fare col potere; dato che questo termine evoca, soprattutto nel patetico mondo anglo-americano, ricordi legati ai regimi nazionalsocialisti e fascisti, si è preferito dar vita alla categorizzazione dello “scambio di potere”, qualcosa di più tollerabile e che soprattutto implica un orizzonte relazionale simmetrico. Non sia mai che un qualche afflato antropologico-negativo finisca per insinuare l’ombra delle relazioni asimmetriche in camera da letto; e poco importano paradossi hegeliani di servi che in realtà comandano e di squilibrio nelle relazioni perché qui in gioco è la rivendicazione della parità dei ruoli. Qualcosa di totalmente inaccettabile.
E se così ormai siamo ridotti a brancolare tra mute richieste di amore in una straniante versione BDSM della new age e delle favolette col principe azzurro, non ci è nemmeno dato lo spazio per controbattere o proporre visioni più confacenti all’etica del sadismo; perché i nuovi giacobini della frusta, nel solito impeto di manicheismo ideologico che sempre contraddistingue il giacobino, riconoscono dignità dialettica soltanto a chi la pensa come loro. Gli altri semplicemente non esistono e non meritano alcuna chance.
E così il moralismo si è impadronito del sotto-mondo BDSM, le casalinghe rinate come dominatrici criticano, condannano, mettono all’indice gli impuri, mentre i Master-Soloni sono lieti di ancorare le torture ai capezzoli all’emancipazione femminile e alle canne che si fumavano tra le aule universitarie nel 1968 – un nesso di continuità, di pensiero “libertario”, di trasgressione larvatamente politica, di eversione della comune sessualità eterosessuale, che nella loro (ottusa) ottica accomuna le esperienze del passato e le serate trascorse nei club sadomaso. E vorranno convincerci che il riferirsi alla slave con epiteti tipo “puttana”, “miserabile troia”, “cagna” è soltanto un articolato e complesso esercizio catartico che non mette in dubbio l’intrinseco valore della donna, non sia mai pure qui che qualche femminista dovesse incazzarsi.
La si chiama “cagna” ma in realtà si pensa che sia la migliore, la più brava, la più bella; questo comportamento ha un nome, autoinganno. Ai limiti dell’infantilismo compulsivo, non più gioco ma solo ipocrisia e illusione strettamente avvinghiate per definire un nuovo quadro di nullità. Il doppio volto kierkegaardiano raggiunge nuove vette.
Slave e Mistress che cercano l’amore, la relazione in pianta stabile, l’uomo della loro vita che alterni sapientemente coccole e caning, giustamente anche il matrimonio sadomaso, e l’adozione sadomaso col ciucciotto in leather – disgustoso, e ridicolo. Gli annunci da leggere in codice, ultra contro aenigma, ogni parola ne sottende un’altra, dominazione come blando surrogato dell’affetto, dimostrazione di considerazione mediante il dolore e la sofferenza; ma che senso ha? Alcuni rispondono, il piacere.
Già, ma quale piacere ? Seguendo la linea concettuale del sadomaso all’acqua di rose si arriva grosso modo al grado di piacere che si potrebbe avere dallo scambiarsi la moglie o la fidanzata, dalla normale relazione sessuale eterosessuale. Non pretendo di stabilire assoluti che siano validi per tutti, ma è evidente che non avendo deciso io che BDSM sia acronimo di Bondage Domination Sado-Masochism ed essendoci in questa sigla dei termini ben precisi che implicano alcune cose altrettanto precise direi con buona sicurezza che non sono io ad avere dei problemi. Si sarebbe potuto chiamare Amore Tenerezza Schiaffetti, forse sarebbe stato più confacente alle effettive richieste ed aspettative di molti “praticanti”.
E’ da tempo che segnali sempre più nefandi ci arrivano dalla sedicente comunità dei praticanti di BDSM – convegni, workshop sul modello di quelli americani, tendenza all’associazionismo culturale e appunto rivendicativo, libri, saggi, attenzione che vira dall’aspetto sessuale a quello controculturale, una preoccupante caduta nel baratro del presunto antagonismo urbano per cui il BDSM diventa una trasgressione al vivere civile, borghese e stereotipato. Continuo a ritenere, come già faceva il R. Vaneigem de Il Libro dei Piaceri, che la trasgressione dei tabù sia il modello principale di reiterazione dello status quo capitalistico, valvola di sfogo facile e plastica per chi annoiato dalla routine potrebbe cominciare a pensare seriamente che non viviamo nel migliore dei mondi possibili – ed ecco allora l’anestetico dei sensi, la morfina dei genitali e delle sinapsi, non la pratica BDSM in sé quanto l’orripilante sovrastruttura intellettualistica che va insinuandosi al suo interno.
Hanno rivendicazioni da fare questi emuli nerovestiti del maggio francese - e se una volta al potere doveva salire l’immaginazione, adesso probabilmente ritengono più confacente allo spirito dei tempi il flogger; eccoci servite persino analisi psicosessualsociologiche di Abu Ghraib e delle torture CIA, il quoziente di liberazione sessuale della vittoria di Obama, e quindi la possibilità di evitare il ripetersi di quegli abusi polizieschi se la società accettasse ed abbracciasse le libere pratiche sessuali “alternative”. Ma se questa gente posasse per un attimo il libro, uno qualsiasi, di W. Reich e si concentrasse più acutamente sul senso interiore ed intrinseco delle pratiche BDSM capirebbe che spirito intellettuale ed idiozia quando parliamo di sesso vanno a braccetto; “molto spesso maschere di cuoio, fruste e attrezzi vari fanno apparire i praticanti di sadomaso assolutamente ridicoli se pensiamo che essi sono consenzienti” ha scritto Peter Sotos.
Non c’è dubbio che l’esibizione di una qualche consapevolezza politica sia un dolce nettare in grado di ripulire parecchie coscienze; non una liberazione verso e per l’esterno, ma una placida accettazione di se stessi perché si è intimamente troppo borghesi, troppo stupidi e troppo insicuri e si finisce per provare vergogna quando ci si confronta coi propri piaceri. Li si vive in modo colpevole, preferendo arricchirli ed abbellirli con formule politiche ed intellettuali che ci rendano meno “sporchi”.
Ed allora ecco scattare la rivendicazione sociale per potersi dire pienamente integrati e socialmente consapevoli pur se i sabati sera invece che a giocare a calcetto si va in qualche dungeon abbigliati come il Macina di “8mm-delitto a luci rosse”; e così nel paradiso carnale di muffe e lucori ambrati, tra gemiti, sussurri e grida, e nel fervore escatologico delle frustate e del dolore è tutto un susseguirsi (metaforico, ma nemmeno tanto...) di “salve ragioniere”, “buonasera avvocato”, spogliatoio, salette appartate e poi via, una volta fuori in giacca e cravatta, prole da educare, macchina e ferie agostane assieme al vicino di casa in qualche villaggio turistico Valtour.
L’integrazione sessuale significa normalizzazione, non normalità; accodarsi alle rivendicazioni sociali avrebbe un senso se esistesse un pericolo di criminalizzazione ed allora si decidesse in maniera organica di autotutelarsi per evitare la galera o la morte sociale. D’altronde i Gay Pride (oggi solo Pride) nascono da un episodio ben preciso e che con l’integrazione degli stili di vita ha poco a che vedere, se non addirittura nulla. E nemmeno possiamo dire che il BDSM sia un orientamento sessuale come lo è l’omosessualità; perché se lo fosse molti dovrebbero ammettere, ma sono certo non farebbe loro piacere, che il vero bdsmer sarebbe Peter Kurten o Ted Bundy e non un panciuto Master di Frosinone desideroso di sperimentare epifanie in cuoio.
Il BDSM è un gioco di matrice sessuale, può essere uno stile di vita ma non va oltre questo; altrimenti dovremmo rimetterci a considerare quelle quattro paroline che ne compongono l’acronimo ed interrogarci sul significato di masochismo e sadismo. Dovremmo prendere un Lawrence Bittaker, i suoi lussuriosi piaceri di dominio totale, tortura estrema e uccisione di teenager e confrontarlo con una qualche attempata casalinga che dopo aver martoriato la schiena del suo slave cambia tono e gli dice “caro non mi ero accorta che è così tardi, scendi a prendermi il pane”.
Il confronto non regge. Se esistesse al mondo un barlume di dignità nemmeno dovrebbe essere tentato. Ma evidentemente il senso della misura, che non è limitazione ma comprensione della propria natura (e che come tale potrebbe aiutare a godere molto di più), non abita più qui.
Ed ecco quindi le associazioni esponenziali di maritini a chiappe di fuori, e donnine in completi leather, le si vede accapigliarsi per la primogenitura dell’idea di creare una comunità, hanno uno statuto giuridicamente vincolante, degli organi di autocontrollo, forse pure di arbitrato…viene da chiedersi, ci sarà pure la necessità di registrazione del contratto master-slave? E in caso di inadempimento contrattuale quale sarà il foro competente? Qualche colpo di flogger in più rispetto a quanto pattuito determina l’insorgere di una responsabilità contrattuale o, nel caso si fosse solo alle prime timide scaramucce, di una responsabilità precontrattuale? Dai preliminari sessuali al preliminare del contratto…e la safe-word ha natura di negozio giuridico recettizio o meno ? Sono domande inquietanti che, ne sono certo, popoleranno le già molto popolose aule di giurisprudenza di una nuova stirpe di studenti. D’altronde non stupisce; chi studia legge già di suo non può che essere o un masochista o un sadico.
Queste associazioni cosa chiedono? Rispetto, evidentemente. Ma rispetto di cosa ? Si intende per rispetto il fatto che mia madre potrebbe andare in salumeria e tra due etti di salame e uno di fesa di tacchino mettersi a colloquiare amorevolmente di scudisciate con la sua vicina di fila senza che nessuno abbia da ridire ? Questa sarebbe la normalità tanto agognata ?
Anche perché oggettivamente non ricordo di retate contro sadomasochisti, omicidi di sadomasochisti e via dicendo (i problemi legati invece alla realizzazione di video e rivste si inseriscono nell’altro contesto della pornografia e della oscenità) – e il lamentarsi perché non si può parlare di nerbate e serate spese nei locali SM mentre si redige il bilancio consolidato in azienda scusatemi ma non mi sembra una grande conquista sociale, anzi mi pare piuttosto un modo per rendere il tutto più grigio, insipido, borghese. Un modo per gettare le perle ai porci.
La prima contestazione che viene mossa a questa mia impostazione è tipicamente egualitaria e progressista; tutti hanno diritto di sperimentare forme alternative di sessualità, quindi è giusto e lecito che se ne parli pubblicamente, che si sviluppi una comunità in grado di guidare passo passo chi si avvicina per la prima volta. Naturalmente questa impostazione potrebbe avere una sua qualche serietà se stessimo parlando di diritti fondamentali per la persona (ma nella mia prospettiva non esistono nemmeno quelli, come non esistono nemmeno i sedicenti diritti umani…rimando a tal proposito alla lettura di Indagine sui diritti dell'uomo di Stefano Vaj, per una piena confutazione della ridicola categoria dei diritti umani), non di piaceri sessuali (piaceri, non diritti !) che sono rigorosamente individuali; non avrei mai potuto pensare che l’ultima frontiera del progressismo sarebbe stata la collettivizzazione dell’orgasmo, difficile da pensare soprattutto perché stiamo parlando di sedicenti libertari.
Ma in fondo se il senso della comunità BDSM fosse solo quello di fornire consigli, confrontare esperienze, propiziare incontri sarebbe qualcosa di accettabile; il problema invece è proprio questa parvenza totalizzante di appartenenza ad un club giacobino. L’errore strutturale di questa impostazione sta nel fatto che il BDSM ha a che fare col potere; dato che questo termine evoca, soprattutto nel patetico mondo anglo-americano, ricordi legati ai regimi nazionalsocialisti e fascisti, si è preferito dar vita alla categorizzazione dello “scambio di potere”, qualcosa di più tollerabile e che soprattutto implica un orizzonte relazionale simmetrico. Non sia mai che un qualche afflato antropologico-negativo finisca per insinuare l’ombra delle relazioni asimmetriche in camera da letto; e poco importano paradossi hegeliani di servi che in realtà comandano e di squilibrio nelle relazioni perché qui in gioco è la rivendicazione della parità dei ruoli. Qualcosa di totalmente inaccettabile.
E se così ormai siamo ridotti a brancolare tra mute richieste di amore in una straniante versione BDSM della new age e delle favolette col principe azzurro, non ci è nemmeno dato lo spazio per controbattere o proporre visioni più confacenti all’etica del sadismo; perché i nuovi giacobini della frusta, nel solito impeto di manicheismo ideologico che sempre contraddistingue il giacobino, riconoscono dignità dialettica soltanto a chi la pensa come loro. Gli altri semplicemente non esistono e non meritano alcuna chance.
E così il moralismo si è impadronito del sotto-mondo BDSM, le casalinghe rinate come dominatrici criticano, condannano, mettono all’indice gli impuri, mentre i Master-Soloni sono lieti di ancorare le torture ai capezzoli all’emancipazione femminile e alle canne che si fumavano tra le aule universitarie nel 1968 – un nesso di continuità, di pensiero “libertario”, di trasgressione larvatamente politica, di eversione della comune sessualità eterosessuale, che nella loro (ottusa) ottica accomuna le esperienze del passato e le serate trascorse nei club sadomaso. E vorranno convincerci che il riferirsi alla slave con epiteti tipo “puttana”, “miserabile troia”, “cagna” è soltanto un articolato e complesso esercizio catartico che non mette in dubbio l’intrinseco valore della donna, non sia mai pure qui che qualche femminista dovesse incazzarsi.
La si chiama “cagna” ma in realtà si pensa che sia la migliore, la più brava, la più bella; questo comportamento ha un nome, autoinganno. Ai limiti dell’infantilismo compulsivo, non più gioco ma solo ipocrisia e illusione strettamente avvinghiate per definire un nuovo quadro di nullità. Il doppio volto kierkegaardiano raggiunge nuove vette.
Slave e Mistress che cercano l’amore, la relazione in pianta stabile, l’uomo della loro vita che alterni sapientemente coccole e caning, giustamente anche il matrimonio sadomaso, e l’adozione sadomaso col ciucciotto in leather – disgustoso, e ridicolo. Gli annunci da leggere in codice, ultra contro aenigma, ogni parola ne sottende un’altra, dominazione come blando surrogato dell’affetto, dimostrazione di considerazione mediante il dolore e la sofferenza; ma che senso ha? Alcuni rispondono, il piacere.
Già, ma quale piacere ? Seguendo la linea concettuale del sadomaso all’acqua di rose si arriva grosso modo al grado di piacere che si potrebbe avere dallo scambiarsi la moglie o la fidanzata, dalla normale relazione sessuale eterosessuale. Non pretendo di stabilire assoluti che siano validi per tutti, ma è evidente che non avendo deciso io che BDSM sia acronimo di Bondage Domination Sado-Masochism ed essendoci in questa sigla dei termini ben precisi che implicano alcune cose altrettanto precise direi con buona sicurezza che non sono io ad avere dei problemi. Si sarebbe potuto chiamare Amore Tenerezza Schiaffetti, forse sarebbe stato più confacente alle effettive richieste ed aspettative di molti “praticanti”.
Un cerchio di rigorosa idiozia – si rivendicano diritti, si ama il proprio dominante, si spera di mettere su famiglia con lui e di godere dei diritti rivendicati ed ottenuti. La famigliola sadomaso come specchio dei tempi. Aveva ragione Marx, "la storia tende a ripetersi, la prima v0lta è tragedia, la seconda farsa".