sabato 9 gennaio 2010

Una forza vuota, un campo di morte


Alla ricerca di un perchè, salgo sulla metro serpente di ferro che mi erutta in faccia un vento caldo e sporco, i tunnel sotterranei di Roma si susseguono come una processione di lombrichi metallici nello scintillio neon dei tubolari e la velocità accelera ingoia rende le sagome i cartelli le fisionomie post-moderne delle stazioni un ammasso centrifugato di non-esistenza, posto davvero sbagliato per darmi una risposta o al limite una giustificazione.
Non sto seduto - guardo gli altri, le vecchie, gli immigrati, i ragazzini che sciamano nomadi e perduti dalla periferia al centro e poi il resto della truppa, impiegati, avvocati, scruto le scarpe, le giacche, gli ombrelli visto che fuori minaccia tempesta.
Roma è una enorme negazione, la verità che scintilla in ogni no sbattuto sul muso - adesso scendo, sono arrivato, sette fermate da Termini.
Mi faccio largo tra la folla, il mio passo è ingombrante e sgraziato, sono su di giri, euforico, alcolico, depresso, abulico, catatonico, assorto in pensieri di un odio pieno, totale, bruciante, un abisso con cui gioco a scacchi da anni ed anni, in attesa che uno dei due prenda il sopravvento e comunichi il prezzo della sconfitta all'altro.
Risalgo la scala mobile, attorno pannelli elettrificati, i graffiti, le macchine distributrici di biglietti e di preservativi il verde scintillante di una farmacia, mi rinserro in un porco dio birroso e vago all'ingresso della stazione, cercando un civico che forse esiste solo nella mia mente, un atavismo risorgente di corde e bruciature; voglio una geografia criminale, perversa e definitiva, devo accontentarmi invece dell'interno in penombra di un club privè convertito alle gioie del sadomaso consensuale.
Non master.
Nè dominante.
Solo, semplicemente, sadico.
Trovo gli altri assisi in un rituale mondano di attrezzatura tecnica, parafernalia estetica e consigli da guru, una new age borchiata, di tacchi a spillo, spanking e soda caustica; il cerimoniere perde gran parte del suo tempo a dilatare nell'aria concetti che pochi dei presenti vogliono trasporre in pratica, molti sono del tutto persi in una silenziosa, caotica, disarticolata, autorappresentazione di gusti stereotipati, codici, postille, limiti.
Io, da persona orribile quale sono, ho impulsi irrefrenabili di sdilinquimento anti-umano, carcasse decomposte rinvenute sul greto di un fiume mi si palesano davanti gli occhi, lo strazio di una madre disposta a passare ogni sua domenica mattina raggiungendo il cimitero dove riposa il suo tenero marmocchio l'eco della sarabanda processuale le lacrime i flash dei giornalisti Porta a Porta Domenica Cinque Barbara D'Urso e Bruno Vespa criminologia e pornografia, criminologia è pornografia.
Sala bassa, su cui si aprono a ventaglio altre salette decorate con foto di gusto fetish ed una, notevole questa lo ammetto, di un cesso incrostato sporco lercio come potrebbero esserlo i fotogrammi del primo Zedd, di un pasto caldo a base di merda e sudore, quel genere di punctum lezzoso da sauna gay, AIDS ed epatite e fisting anale, ventilazione azzerata qui, mi spoglio praticamente nudo, tolgo tutto, rimango solo con la maglia di Satanismo Calibro9, e me ne sto addossato ad un angolo pensando all'odio che ho dentro di me, un odio così grande da non farmi assegnare alcun valore al concetto stesso di vita umana - la sala più grande conta strumenti sadomaso, ha le pareti rosse e nere, abbastanza leggere, tali da poter essere attraversate da parte a parte con un calcio ben assestato, catene, borchie, ed ovviamente tante corde con cui gli astanti regolano il loro compitino.
Sono sicuro non se ne avranno a male molti di loro se rimarco la mia estraneità ontologica, la differenza che percepisco e fiuto palesemente, saranno in fondo proprio molti di loro a non voler avere nulla a che fare con un mostro come me; per loro il sadomaso è un gioco di ruolo, un codice, regole stabilite per esercitare un (mezzo)potere in cui lo schiavo comanda e determina le scelte nodali del padrone. La terminologia stessa del sadomaso rovescia ogni concetto, e rende più ambigue ed increspate le acque per chi aneli alla chiarezza limpida di un Sade o di un Peter Kurten. Fantastico di infortuni, e sangue e molto più di graffi o morsi o circolazione azzerata dai nodi troppo stretti, gli schiaffi sulle natiche sembrano quasi essere compiaciute pacche sulle spalle di compagni di bisboccia.
Continuo a bere, mentre osservo il dipanarsi letterale delle posizioni e delle corde; non voglio frustare una schiava, non voglio indulgere in giochi che mi vedrebbero per forza di cose soccombere al godimento di qualcun altro.
Kurten che sale il patibolo non si preoccupa della folla urlante o di cosa possa pensare il boia, vuole solo sapere se avrà la possibilità di godere del suo stesso sangue - Ian Brady che redige le sue meticolose, scrupolose, introspettive memorie non si cura di Myra e dei suoi desideri, pensa solo al raggiungimento di un grado elevatissimo, assoluto potremmo dire, di potere e di piacere.
Non ho nulla a che fare col sadomaso, e sono certo che questo solleverà lo spirito di molti praticanti sconvolti ed alterati da certe associazioni di idee; ma per me i dungeon sono le cantine di Marcinelle e il vano puzzolente del Murder Mac e la fornace di John Gacy e i video di Paul Bernardo e la casa di Fred West, non un locale attrezzato con tanto di tessera di ingresso. Non ho una scissione esistenziale da celebrare sottoscrivendo uno statuto - H24 l'ossessione è con me, il piacere che devo raggiungere, assemblare e costruire.
Le convenienti giustificazioni di Picozzi nella posta della serie True Crime o il povero Roy Hazelwood che deve sbrodolarsi in Storie di perversioni criminali, quando ci informa di come i poliziotti della squadra anti-stupro prima del suo arrivo fossero dei decerebrati pervertiti molesti - godevano, ci dice, nel chiedere fino allo sfinimento particolari morbosi ed inutili ai fini delle indagini alle vittime straziate, scatenando in loro un cortocircuito emotivo.
Hazelwood ama le ragazze (stuprate), ha cura della loro personalità, non vuole sottoporle ad inutili ordalie, le coccola, le vezzeggia, e si pone definitivamente al loro fianco, come un Andrew Vacchs fuori tempo massimo, piena oleografia calvinista americana di famiglie, tacchino arrosto e picnic...ciò nonostante i suoi libri, e questo in particolare, seguono pienamente la direttrice pornografica del maggior numero di dettagli sanguinosi.
Non riesco ad immaginare un buon libro true crime privo di dettagli, sangue, dolore, sofferenza, morte, sventramenti, stupri descritti didascalicamente come sequenze pornografiche; Hazelwood, non me ne abbia, non fa eccezione.
Come non la fanno gli autori pubblicati e curati da Picozzi - e non bastano le prese di distanza, o le commoventi ma inutili dediche alle vittime, come fanno Fornari in Il Caso giudiziario di Gianfranco Stevanin e il duo Lucarelli-Giuttari in Compagni di Sangue, il prodotto ultimo è pornografia per titillare masse di casalinghe attempate.
La scusa del "voler comprendere" non attacca - è lo stesso Hazelwood a doverlo ammettere.
Rispondono, le casalinghe, agli stessi impulsi di questi praticanti sadomaso; violenza pudica, posticcia, controllata, e socialmente accettata.
Lasciano cadere ai loro piedi il flusso enorme della vera pornografia, gli stralci di giornale, le notizie, il sangue da cronaca nera, il sadismo reale e si focalizzano solo su esercizi di stile in passamontagna e cuoio - ma come dice Peter Sotos, assai spesso maschere di cuoio, catene e fruste fanno apparire stupidi i bdsmers quando essi sono consenzienti.
Penso al martello di Peter Sutcliffe, al colpo secco che frantuma la scatola cranica di qualche prostituta da poco prezzo, le pinze con cui Bittaker e Norris hanno seviziato delle adolescenti sballate di marijuana, alle interminabili agonie delle vittime di Dean Corll - loro non sapevano cosa fossero SSC, safe-word, ed in generale i codici paradigmatici e sicuri del sadomaso.
Ma loro godevano. E godevano davvero.
Il mondo necessiterebbe di più Ted Bundy e di meno Pat Califia - sessualmente eccitante il libro Stazione Termini. Storie di droga, Aids, prostituzione di Chiara Amirante, una carrellata di barboni, immigrati lerci, malati di AIDS, omosessuali degenerati e casi umani alla deriva attorno la planimetria sconnessa della stazione centrale, trovo notevoli le interviste, il senso perduto di esistenze prive di valore, la suprema sofferenza, la certezza di non avere nessuno accanto, nessuno che rappresenti un'ancora di salvezza.
Un approdo.
Niente amore, nessun diritto, carne al macero pasturata dai ritmi iper-accelerati del capitalismo industriale, invisibili ai più: Amirante, pur indulgendo in pietas tipicamente cristologica, raccoglie una variegata umanità da Castello di Silling, e le sono grato per questo.
Lascio le Pauline Reage ai praticanti avvinti e vinti, in certi casi, da nodi troppo complessi, e mi tengo la disperazione, i tagli, la lagnante automutilazione, i sogni distrutti, la patetica consistenza delle menzogne rifritte, mi tengo il plastico di Cogne, la barba di Picozzi, i vermi che pasteggiano coi cadaveri e gli occhi arrossati di pianto di una madre.
Vorrei essere il poliziotto che le ha amaramente dato la notizia...quel momento in cui senti chiaramente che niente sarà più come prima, il dolore diventa irresistibile, una sorta di estasi come quella narrata da Bataille in Le Lacrime di Eros, un puntuto supplizio cinese di lembi di carne strappati e occhi riv0lti al cielo.
Formulazione icastica di un piacere post-sadiano.